della Redazione di Carmilla
Un
intero libro contro Carmilla! (1) Accidenti, che onore! Noi, secondo
l’autore (il dottor Giuseppe Cruciani, titolare della rubrica La Zanzara
su Radio 24, collaboratore di Panorama e di La 7), saremmo una lobby di
inaudita potenza, capace di mobilitare fior di intellettuali di destra e
di sinistra (da Erri De Luca a Tiziano Scarpa a Marco Müller, da
Bernard Henri-Lévy a Philippe Sollers a Gabriel Garcîa-Márquez) in giro
per il mondo. Il tutto a partire dalla “lista della vergogna”, cioè
dalla nostra raccolta di firme (del 2004) a sostegno di Cesare Battisti.
Uno spietato assassino responsabile di tre, anzi quattro delitti
trent’anni fa, oggi titolare di una vita agiata in una prigione
brasiliana.
Come mai, disponendo di simile potere, lo avremmo usato non per cause
più illustri (tipo la verità su Piazza Fontana, la riapertura
dell’inchiesta sulla morte di Pinelli, ecc.), bensì per appoggiare un
oscuro portinaio della Rue Bleue, scrittore di romanzi in edizione
economica, quasi sconosciuto in Italia? Come mai attorno a un criminale
latitante si è mossa una fetta così consistente di “culturame”? Siamo
grati al dottor Cruciani per avercelo spiegato.
Il “culturame” in questione (i nomi sono centinaia, inclusi il mite Beppe Sebaste o il moderato Sandro Provvisionato, conduttore Mediaset) vive accanto al caminetto nostalgie e fantasie feroci, ai limiti dell’onirismo, degli anni Settanta e Ottanta. Si illude che esista ancora un mondo in cui lo scontro sociale non è mera formula, in cui la stratificazione in classi sussista intatta, in cui poteri incontrollabili politico-economico-criminali pratichino l’arbitrio ed esercitino una selezione per censo. Il dottor Cruciani, saggiamente, censura tale atteggiamento disfattista e antistatuale, che non prende atto di come va il mondo. Lo chiama “disprezzo per lo Stato”, accusa chi lo coltiva di istinti “psicotici”. Ha ragione. C’era da affidarsi a occhi bendati a una “democrazia” che non era che una sequela di prepotenze palesi e occulte. Collusioni tra Stato e mafia, stragi protette o istigate da segmenti degli apparati di difesa, condizionamenti internazionali, corruzione a ogni livello. Più tardi si è saputo dell’esistenza di Stay Behind (Gladio) e della P2. Ancora più tardi l’intera classe politica del periodo postbellico è sparita dalle scene: chi in prigione, chi in esilio, chi in un sordido riciclaggio sotto nuove sigle. Ma il dottor Cruciani ci spiega che quella – definita nell’ ’88 “lo Stato del ricatto”, da un noto eversore quale Gherardo Colombo - era una democrazia perfetta, quanto l’attuale. Ha senz’altro ragione. Invece ha torto marcio chi dice che, a quel tempo, qualcosa non andava, e non va tuttora.
Specialmente per quanto riguarda i processi per terrorismo vero o supposto della fine degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta. Non quelli alle BR, che fanno storia a sé, ma quelli intitolati Torregiani, Tobagi, 7 Aprile. Maratone giudiziarie in cui, spesso, chi aveva commesso i crimini peggiori se la cavava con pochi anni di prigione, grazie al pentimento o alla dissociazione, oppure non veniva neppure indagato (vedi il caso Tobagi); mentre chi cadeva sotto i colpi del pentitismo si trovava sottoposto a pene smisurate. Il dottor Cruciani omette di soffermarvisi, ma avrebbe dovuto iscrivere nei ranghi del sovversivismo anche Amnesty International, che per due volte richiamò l’Italia per via dei suoi processi “d’emergenza”, anche in rapporto al caso Torregiani; il giurista Italo Mereu, che in un saggio famoso più volte ristampato, Storia dell’intolleranza in Europa (Bompiani), mise a confronto le procedure emergenziali italiane con quelle dell’Inquisizione (Cruciani: “Come si fa a discutere seriamente con chi sostiene per esempio che il reato di ‘concorso morale’ in omicidio sia ispirato direttamente alle procedure dell’Inquisizione?”, p. 143); magistrati democratici, come Amedeo Santosuosso, che si ribellarono al tipo di legislazione che dovevano imporre, e pagarono il loro gesto con ostacoli alla carriera. Invece il dottor Cruciani santifica opportunamente la figura del pentito (“lo strumento dei pentiti, comunque lo si voglia giudicare, si rivelò fondamentale”, p. 142), di cui resta esponente emblematico Carlo Fioroni. Il quale, probabilmente, disse un sacco di balle (vedi qui), ma sicuramente lo fece a fin di bene.
Circa un quarto del libro del dottor Cruciani è dedicato a invettive
moralistiche largamente condivisibili contro gli intellettualoidi che
dimenticano la pietà umana (sentimento che lo stesso Cruciani non pare
estendere alle recenti vittime della Freedom
Flotilla) in nome della rivoluzione da farsi in salotto,
raggruppati attorno al serial killer Cesare Battisti. Quegli
intellettuali sono finalmente denunciati uno per uno e inchiodati alle
loro pazzesche responsabilità. E’ vero che, ogni volta che cita qualcuno
di quegli scrittori, poeti, cineasti, il dottor Cruciani pare avere
attinto, per le notizie biografiche, da Wikipedia; è vero che suona un
po’ sconcertante udire definire Erri De Luca un “bestsellerista,
cioè uno che vende centinaia di migliaia di copie” (p. 71), quasi fosse
Fabio Volo o Federico Moccia; è vero che colpisce trovare Massimo
Carlotto inchiodato, ancora una volta, a un ipotetico delitto in cui
ormai non crede più nessuno. Ma non si può pretendere che il dottor
Cruciani, preso dalle sue attività radiofoniche e adesso anche
investigative, legga dei libri.
Terminato il suo excursus enciclopedico, attraverso vari paesi europei e
due continenti (tanti sono i sostenitori-fiancheggiatori di Battisti
nel mondo), Cruciani termina enunciando un’amara verità: “Se andiamo a
guardare bene, sono gli stessi nomi, gli stessi intellettuali che
qualche anno più tardi avrebbero gridato allo scandalo per l’arresto in
Svizzera del regista franco-polacco Roman Polanski” (p. 156).
In verità, come Carmilla non ci siamo mai occupati di Polanski, però,
chissà, potrebbe essere.
Provvisoriamente conclusa la sua requisitoria iniziale, il dottor
Cruciani entra nel merito del caso Battisti. Avevamo sostenuto che
contro Cesare Battisti esistevano solo le deposizioni di pentiti e
dissociati. Cruciani ci smentisce clamorosamente e stabilisce la verità:
contro Battisti esistevano solo le deposizioni di pentiti e dissociati.
Più, va detto, voci raccolte da un paio di amanti tradite. Le quali
ricevono un curioso trattamento. Se la testimonianza era a favore degli
imputati, Cruciani cita un giudice secondo il quale, con la disinvoltura
sessuale regnante negli anni Settanta, il tradimento non poteva essere
movente per una confessione (p. 144); mentre lo ridiventa se la
deposizione è a sfavore di Battisti.
Il pentito principale si chiama Pietro Mutti. E’ vero che tante volte si
contraddice, ritratta, modifica. Il dottor Cruciani, con esemplare
onestà, si guarda dal negarlo. Anzi, con felice intuito, giudica tale
circostanza un sostegno alla verità. (“D’altronde anche i pentiti, così
massacrati dai terroristi di tutto il mondo, sono esseri umani. Dunque
gli errori di memoria, invece di squalificare definitivamente una
persona, potrebbero persino essere indice di sincerità”, p. 126). Con
simile premessa, il piatto è servito, e vale – a ben vedere – per tutti i
pentiti della Storia.
Successivamente, il dottor Cruciani si addentra nella ricostruzione
della trista epopea di Cesare Battisti, a partire dal delitto
Torregiani, ma non prima di averci inchiodato allo sporco trucco da noi
escogitato, evocato fin dalle prime pagine del libro e richiamato
infinite volte in seguito. Quale trucco? Avere detto che Cesare Battisti
non aveva potuto essere l’esecutore materiale dell’omicidio Torregiani e
di quello Sabbadin, avvenuti lo stesso giorno quasi alla stessa ora,
l’uno a Milano e l’altro nei dintorni di Udine. Cruciani ci accusa non a
torto di fare il gioco delle tre carte, visto che nel caso Torregiani
Battisti fu individuato quale organizzatore e nel caso Sabbadin quale
esecutore.
Il dottor Cruciani, che non ha tempo per leggere, non ha notato una
nostra risposta
recente a un suo collega di Panorama, Giacomo Amadori:
“Amadori sembra ignorare che, ormai da quattro anni a questa parte, e
anche in questi giorni, tutti i media che contano, in Italia, in Francia
e adesso in Brasile, seguitano a presentare Battisti come l’uccisore
materiale di Pierluigi Torregiani e il feritore del figlio Alberto.
Incluso lo stesso Panorama, il settimanale su cui scrive Amadori, in un
articolo di Giuliano Ferrara del 15 marzo 2004 (si veda qui;
ma si dia un’occhiata anche alle puntate successive, qui
e qui).
(…) Chi conosce la verità non può che replicare che Battisti non può
avere assassinato due persone contemporaneamente, a Milano e in un
paesino del Veneto, alla stessa ora.”
Ma il dottor Cruciani non deve scusarsi, anzi. La logica di un instant
book è quella che è, e l’autore non è certo tenuto a documentarsi
su tutto. Ci attribuisce ogni nequizia e a noi non resta che chinare il
capo, davanti all’indignazione dell’illustre moralista. Ciò che non
abbiamo commesso avremmo potuto ben commetterlo, data la nostra
connaturata bassezza.
Nelle sue dettagliate ricostruzioni storiche – “questa è storia”, annuncia a un certo punto, e si intuisce che gli sono rimasti nella penna la maiuscola e l’esclamativo – il dottor Cruciani dà rilievo a talune interpretazioni comunemente ritenute destituite di fondamento, e le allinea disinvoltamente alle altre per rafforzare i suoi assunti. Per esempio, cita una dichiarazione tardiva di Angelo Epaminonda, secondo il quale il rapinatore ucciso da Torregiani nel ristorante Transatlantico era un mafioso fatto giungere in aereo da Catania, al preciso scopo di derubare il gioielliere (pp. 53-54). Ora, suona un po’ improbabile che un delinquente intenzionato a svuotare una gioielleria vada a coglierne il titolare non in negozio, ma in un ristorante, e chieda di consegnare il portafoglio a lui e ad altri clienti. Il particolare inattendibile serve però alla causa generale di cui si fa banditore il dottor Cruciani, cioè dimostrare la meschinità di Battisti e compagni e, per traslazione, di chi difende il primo. Giustissimo. Se non il metodo, lo scopo.
Panorama, il settimanale che si onora della collaborazione del dottor
Cruciani, ha opportunamente lodato l’ampia bibliografia che lo stesso
Cruciani ha saputo raccogliere. Per essere precisi, non c’è nessuna
bibliografia, ma, in nota, un bel po’ di articoli di giornale e alcuni
atti giudiziari. Facciamo notare, incidentalmente, una piccola lacuna.
Il dottor Cruciani si interroga, per diverse pagine, sui moventi
dell’uccisione del direttore del carcere di Udine Santoro. Del
dissociato Arrigo Cavallina conosce un libro solo, dal titolo singolare:
La piccola tenda d’azzurro che i prigionieri chiamano cielo (ed
Ares, 2005). Se avesse letto anche un altro libro del Cavallina, Distruggere
il mostro (Librirossi, 1977), forse le ragioni dell’attentato gli
sarebbero state più chiare.
Perché ci soffermiamo su un dettaglio così insignificante? Perché i
libri non letti (o letti ma non utilizzati?) dal dottor Cruciani sono un
bel po’. Se avesse conosciuto La mappa perduta non avrebbe
sbagliato per difetto il numero degli indagati per appartenenza ai
Proletari Armati per il Comunismo, se avesse avuto tra le mani Le
torture affiorate si sarebbe interrogato meno sulle violenze nel
corso dell’istruttoria Torregiani (cui, a quanto pare, fu sottoposto
persino Pietro Mutti, per sua stessa ammissione su... Panorama! 25
gennaio 2009, riquadro). I due libri sono stati pubblicati dalla casa
editrice Sensibili alle Foglie nel 1994 – con riedizione ampliata nel
2006 – e nel 1998.
Soprattutto, alla bibliografia inesistente del dottor Cruciani manca il
romanzo di Cesare Battisti Le Cargo sentimental (Editions
Losfeld, 2003). E ha fatto bene a ometterlo, perché altrimenti sarebbe
stato difficile sostenere che Battisti non ha mai preso le distanze
dalla lotta armata.
Non seguiremo il dottor Cruciani nelle ricostruzioni apparentemente
puntigliose dei vari omicidi (tutte del tipo: il tale pentito ha sentito
dire dal talaltro dissociato che...; oppure, l’ex amante di Battisti
riferisce che lui le ha confidato...). Questa nostra certo strumentale
omissione deriva da un fatto: noi, come Carmilla, non abbiamo mai
sostenuto, nemmeno nell’appello “della vergogna”, che Battisti sia
innocente. Abbiamo posto in dubbio la dinamica di alcuni delitti che gli
sono attribuiti, ma se lo abbiamo difeso è per ragioni che con
l’innocenza non hanno nulla a che vedere. Ne parleremo tra breve.
Invece saltiamo direttamente al capitolo 7 sulle “incredibili menzogne”
di cui saremmo responsabili, che il dottor Cruciani stigmatizza con
furore radiofonicamente rodato. Ci stendiamo dunque noi stessi sul
lettino operatorio, ormai tanto privi di voce da non osare nemmeno
chiedere pietà.
Vediamole, queste menzogne infami. Che poi, curiosamente, si riducono a
una, o a una e mezza.
Il capitolo destinato a inchiodarci si apre con un assalto frontale
alla casa editrice Derive Approdi, rea di avere pubblicato il libretto Il
caso Cesare Battisti: quello che i media non dicono. Sono due
pagine di insulti, ben corroborate dal fatto che tra i fondatori figura
il famigerato Franco Berardi, detto Bifo. “Tanto per capirci, Berardi
crede ancora nell’utopia di un mondo ideale, un luogo che non sia
dominato dalle leggi capitalistiche di mercato e dove possa realizzarsi
il motto ‘lavorare meno, lavorare tutti’” (p. 133). Mio Dio, che
imbecille! (Bifo, naturalmente, non certo il dottor Cruciani).
Seguono altre pagine di insulti contro Serge Quadruppani. Cruciani non
sa nemmeno in questo caso chi sia, visto che lo presenta, tra l’altro,
come collaboratore di Libération (un quotidiano che, per quanto ne
sappiamo, Quadruppani detesta). Ma che importa? “Uccidili tutti, Dio poi
farà la sua scelta”, diceva un pio vescovo, durante la crociata contro i
catari.
Infine veniamo noi.
Colpevoli, anzitutto, di avere equivocato i contenuti e sbagliato,
nell’opuscolo Il caso Cesare Battisti, la datazione di una
lettera al Corriere della Sera del sostituto procuratore Armando
Spataro, da noi fissata al gennaio 2008. Quell’articolo esiste davvero,
ci avvisa Cruciani, solo che fu pubblicato dal Corriere il 23 febbraio
2009. Ciò suona un po’ strano, visto che il nostro libretto fu finito di
stampare proprio nel febbraio 2009, e consegnato due mesi prima.
Che la svista sia invece dello Sherlock Holmes di Radio 24? Non sia mai.
Come certi grandi criminali, tipo il dr. Mabuse, noi di Carmilla
abbiamo doti paranormali e facoltà precognitive, e nemmeno ce ne
rendiamo conto.
Comunque quella lettera esiste. Sta qui.
Spataro prima classifica Battisti tra gli "organizzatori", poi chiede,
retoricamente, se è giusto mandare libero chi ha "giustiziato" un
macellaio e un gioielliere. Gioca ancora una volta sull'equivoco. Ma è
colpa di Carmilla l’attribuire a un probo magistrato pessime intenzioni,
e di ciò ci scusiamo.
Veniamo alla nostra “incredibile menzogna”. Abbiamo scritto, ne Il
caso Cesare Battisti e nelle nostre FAQ, che Pietro Mutti incolpò
Battisti del delitto Sabbadin, poi, messo alle strette dalla confessione
di Diego Giacomin, ritrattò, ammise la sua partecipazione e declassò il
ruolo di Battisti da esecutore a complice.
In tutto l’opuscolo, è uno dei rari passi corredato da una nota, perché
ci limitiamo a riportare qualcosa di scritto da altri (nello specifico,
un brano di Fred Vargas). Ciò non impedisce al dottor Cruciani di
rovesciare addosso a noi, e non alla fonte, la sua giusta ira. Come
andarono veramente i fatti? Mutti apprese in un secondo tempo che
all’omicidio di Sabbadin parteciparono in due, Battisti e qualcun
altro. Poi Giacomin, dissociato, confessò: era stato lui a sparare al
macellaio. Non fece altri nomi. Una terza complice, condannata
all’ergastolo e non menzionata da Mutti, vive oggi in Francia.
Cavolo, correggeremo, la svista (probabilmente voluta) è di gravità
inaudita.
La mezza svista, anch’essa voluta, è poi terribile. Abbiamo citato
due brani in cui Pietro Mutti era stato costretto a ritrattare le sue
deposizioni contro Battisti, di fronte all’evidenza dei fatti. Li
riferivamo a una sentenza del 1993. Sherlock Cruciani si trasforma nel
mastino dei Baskerville e ci azzanna subito: le nostre citazioni non
erano degli inquirenti, ma dei difensori!
Noi ci eravamo limitati a riportare un passaggio della memoria
presentata dagli avvocati di Battisti alla Corte di Strasburgo. Abbiamo
avuto il torto, questa volta, di non indicarlo in nota. Ma le
circostanze indicate erano false? No, erano vere, e risultate in sede
dibattimentale. Per questo classifichiamo la faccenda come “infame
menzogna” a metà.
Esistono altre nequizie che ci possano essere attribuite, nel capitolo
destinato a crocefiggerci? No, il repertorio è esaurito. Restano quelli
che il volgo chiamerebbe “sproloqui”, e noi chiamiamo pensose
riflessioni morali.
Due capitoli sono dedicati en passant alla campagna per
Battisti in Francia (i molti difensori del terrorista sono denigrati, i
pochi oppositori – come lo storico Pierre Milza, l’altro storico e
autore di romanzi d’appendice Max Gallo, ecc. onorati con lunghe
citazioni) e in Brasile.
Terra di teste matte, per il dottor Cruciani. Dato che siamo un po’
stanchi di mulinare le braccia per difenderci, lo rinviamo a uno scritto
di Luca Baiada apparso sulla rivista Il Ponte nel giugno 2009. Forse
Tarso Genro non delirava, quando concesse l’asilo a Battisti. Dallo
scritto di Baiada, il dottor Cruciani potrebbe capire come si scrive un
saggio di peso e ben documentato, se mai avesse bisogno di consigli.
Per la stessa stanchezza rinunciamo a esporre i motivi che ci hanno
spinto (noi Carmilla, non i firmatari della “lista della vergogna”) a
difendere Battisti. Il dottor Cruciani può trovarli elencati in un articolo di
giugno-settembre 2007 dello scrittore Walter G. Pozzi, direttore
editoriale della rivista PaginaUno. Ripete nelle ultime righe la
faccenda del delitto simultaneo, ma il resto dell’argomentazione la
facciamo nostra.
Almeno in questo caso Cruciani ci sarà grato. Gli abbiamo fornito un
altro nome da inserire nella lista del “culturame” da eliminare.
Giunti al termine della rassegna, ci pare di poter dire, molto
rispettosamente, al dottor Cruciani: “Va’, va’, povero untorello, non
sarai tu quello che spianti Milano” (a uso dello stesso Cruciani,
specifichiamo che trattasi di una citazione da I promessi sposi,
di Alessandro Manzoni, noto scrittore ottocentesco lombardo, che ha una
voce abbastanza ampia su Wikipedia).
La prossima edizione del suo libro, se mai ce ne saranno, andrebbe
rivista e un po’ snellita. Così com’è, somiglia a una versione
logorroica di un articolo di Luca Telese (curatore della collana in cui è
uscito il saggio del dottor Cruciani). Si arriva in fondo e si ha
l’impressione di non avere letto nulla. http://www.carmillaonline.com/
(1) Giuseppe Cruciani, Gli amici del terrorista. Chi protegge Cesare
Battisti?, Sperling & Kupfer, 2010, pp. 255, € 17,00.