Crisi permanente dei governi e autonomia di classe

16 / 8 / 2019

L’ennesima crisi di governo aperta a sorpresa da Matteo Salvini, al di là dei suoi aspetti contingenti, ci offre la possibilità di indicare alcuni spunti di riflessione per comprendere meglio il funzionamento della macchina di comando statale in regime neoliberista.

La lezione gramsciana sul Cesarismo

A questo proposito, tornano utili alcune interessanti riflessioni di Antonio Gramsci nei Quaderni riguardanti le trasformazione della forma stato, nella fattispecie da quella liberale a quella fascista. Gramsci, riattualizzando alcune riflessioni di Marx sul Bonapartismo, costruisce la figura storico-politica del “Cesarismo”, ovvero l’autonomizzazione del potere esecutivo, nel quadro della democrazia parlamentare, come sbocco inevitabile della “crisi organica” del capitale e delle sue forme di dominio. 

Va sottolineato che quella che Gramsci definisce “crisi organica” o “crisi di egemonia” è un fenomeno complesso e articolato, che offre molteplici piani di lettura. Ci basti qui segnalare che essa trova fondamento nella crisi della “rappresentanza”, in primo luogo del sistema politico e dei partiti, che non sono più in grado di rappresentare il corpo sociale. Si determina così una frattura fra rappresentati e rappresentanti che mette in grande difficoltà i governi e il meccanismo della rappresentanza nel suo complesso, determinando una conflittualità permanente tra le forze in campo per l’egemonia, che Gramsci chiama “equilibrio catastrofico”. Dal punto di vista più propriamente politico, la ricerca di una nuova egemonia prende invece le forme dei fenomeni cesaristi che sorgono nel dopoguerra in Europa. 

Ma cos’è esattamente il cesarismo? Secondo la celebre definizione del Quaderno 13, § 27, il cesarismo «esprime sempre la soluzione “arbitrale”, affidata a una grande personalità, di una situazione storico-politica caratterizzata da un equilibrio di forze a prospettiva catastrofica». 

Uno tra gli elementi centrali che emerge da questa analisi è la presenza di un capo, di una figura carismatica che domina la scena, ma non è l’unica forma del cesarismo come centralizzazione del comando e dell’esecutivo: può essere anche un gruppo oligarchico, una coalizione, un insieme di interessi. Si tratta quindi di una categoria flessibile, che si dipana in varie articolazioni (anche quella dei governi “tecnici” o del ruolo delle forze di polizia!) e che nella sua figura più compiuta ha assunto in Italia il volto del fascismo come controrivoluzione con una base di massa.

Queste brevi e parziali considerazioni su una parte importante del pensiero gramsciano servono a due cose fondamentali: un discorso di metodo e uno di merito. Sul metodo, nel solco di un’analisi materialista, va analizzata la capacità per i rivoluzionari di cogliere la tendenza storica per agire, a ogni passaggio, su un piano più alto e complesso della lotta di classe. Su questo snodo decisivo emerge il Gramsci leninista e rivoluzionario, tra i pochi in occidente a saper declinare la lezione leniniana in contesti diversi rispetto alla Russia bolscevica. 

Seconda questione, di merito: non possiamo farci suggestionare dalle analogie storiche per definire il presente e pensare che ci possa essere oggi, nella figura di Salvini, una riedizione del fascismo storico tout court, senza analizzare le caratteristiche della trasformazione del modo di produzione post-fordista e post-keynesiano. La controrivoluzione neo-liberista, iniziata negli anni ’70, ha iniziato a smantellare le conquiste operaie su salario e diritti ed ha anticipato, in maniera preventiva, l’emergere di una nuova figura antagonistica, l’operaio sociale. Questo iniziava a emergere al di fuori della fabbrica, nei mille rivoli del lavoro sociale diffuso, nelle prime forme di riappropriazione di ricchezza e di reddito.

È qui che assistiamo al declino irreversibile della sovranità dello stato nazione, al dominio del mercato e della competizione su ogni sfera della vita e della riproduzione sociale, alla piena affermazione del capitale finanziario transnazionale (già intuita da Marx nei Grundrisse e nel III libro del Capitale) come leva dei nuovi processi di accumulazione. 

La crisi permanente nell’Italia odierna: Salvini e i “pieni poteri”

Il filo che lega tutti questi eventi è la configurazione di un biopotere totalizzante, che ridefinisce continuamente i suoi dispositivi di controllo sulla potenza della cooperazione sociale e del lavoro vivo. 

Torniamo ad oggi. Salvini che, aprendo la crisi, si propone come l’uomo solo al comando dotato di “pieni poteri” incarna il compimento di questo processo controrivoluzionario, dove il “partito degli affari” e il “partito dell’ordine”, il capo del governo e il capo della polizia devono coincidere perfettamente. 

Ma pur rilevando delle analogie con la formazione del vecchio fascismo, dobbiamo altresì coglierne le differenze storico-politiche: in primo luogo la fine dell’autonomia, seppur relativa, della politica nel quadro della sovranità nazionale. La politica è completamente sussunta nella sfera economica e nelle dinamiche del mercato globalizzato. Gli stati hanno il compito, nell’ordine globale del neoliberismo,  di far circolare senza intoppi ciò che Marx chiamava “valore in movimento”. 

La crisi permanente è la forma di comando dell’accumulazione capitalistica oggi, non un’eccezione: governare nella crisi e attraverso la crisi, creare ordine attraverso il disordine, stabilizzare attraverso la continua riproduzione di instabilità politica, giuridica, istituzionale. Un “sovversivismo dall’alto”, per usare la terminologia gramsciana, perfettamente adeguato alle mutevoli esigenze del mercato e del capitale, alla sua flessibilità e mobilità, al continuo riadeguamento delle forme di sfruttamento ed estrazione di plusvalore, al ridisegno della divisione internazionale del lavoro attraverso una rete fittissima di stratificazioni, segmentazioni, gerarchizzazioni che attraversano territori e popolazioni nell’economia mondo globalizzata. 

In questo magma in continuo divenire, in cui il governo della contingenza e dell’eccezione diventa la norma, non possono esistere strutture rigide e cristallizzate di potere politico, ma dispositivi variabili e cangianti che, di volta in volta, risultano più funzionali a un ordine superiore trans-nazionale: il potere del denaro, della finanza, delle multinazionali. 

No davvero: la dittatura non sta nelle corde della controrivoluzione neo-liberista, dove agisce una “governance” post-democratica e autoritaria, a geometria variabile, che svuota completamente gli ultimi residui, seppur formali, della democrazia rappresentativa e dello stato di diritto. 

Di quali pieni poteri parla Salvini? I “Sovranisti” Lega e MoVimento 5 Stelle si sono già piegati ai diktat della BCE e della Commissione Europea, a dimostrazione della totale vuotezza semantica della parola “sovranità”, così tutti i governi tecnici, politici, di desta e di sinistra prima di loro. 

E allora? Pieni poteri significa intreccio indissolubile tra “partito degli affari” (in primis le grandi opere) e “partito dell’ordine”, con la funzione di reprimere qualsiasi resistenza e movimento di lotta, qualsiasi espressione dell’autonomia di classe che contrasti il libero dispiegarsi dell’accumulazione capitalistica e del mercato. 

Da questo punto di vista, oggi il “cesarismo” è piuttosto incarnato nelle banche e nei poteri imperiali trans-nazionali che in una qualche figura carismatica. Ciò non significa sminuire la pericolosità di Salvini; al contrario, è necessario comprendere le dinamiche di potere per meglio combatterle e per non cadere nella trappola del “fronte democratico e progressista della sinistra” contro il rinnovato pericolo fascista, dove tentano di rilegittimarsi i peggiori affossatori delle lotte operaie e proletarie.

Manovra finanziaria e nuova riduzione del costo del lavoro

Dietro una tattica confusionaria e a tratti pasticciata, da parte di tutte le forze politiche, si cela una posta in gioco importante: la nuova manovra finanziaria,

Tutti la prospettano come la più dura (sic!) di questi ultimi anni, con ulteriori tagli alla spesa sociale, abbassamento del costo del lavoro, con un ulteriore peggioramento dei minimi salariali per chi già vive oltre i limiti della mera sussistenza e della povertà assoluta. A questo si aggiunge un aumento dell’IVA al 25%, che peserà enormemente sui consumi e le capacità di acquisto dei salari, già ridotti all’osso. 

Chi approverà questa manovra “lacrime e sangue”? La cosa migliore per la Lega è che questa approvazione avvenga da un governo altro a carattere provvisorio, da parte di una coalizione del tutto diversa, un governo del presidente o una soluzione “ tecnica” più o meno mascherata. Insomma, un parafulmine che serva alla Lega per scaricare ogni responsabilità e attaccare l’Europa e le altre forze politiche in campagna elettorale nelle prossime elezioni, facendo il pieno di consenso. 

Attenzione però. L’Autonomia differenziale e la flat-tax sono parole d’ordine strategiche per la Lega, ne rivelano la natura profondamente neo-liberista, corrispondono agli interessi di quel blocco corporativo e interclassista del nord che sta alla base della forza leghista e vanno conseguiti ad ogni costo. Anche per questo è vitale per Salvini avere le mani libere e rappresentare gli interessi di classe di questo blocco sociale e economico.

Il vero obiettivo è in realtà lo smantellamento del welfare nella sua accezione universalistica, il ripristino assoluto del diritto della proprietà privata, una colossale redistribuzione di reddito e ricchezza in forma rovesciata, dal basso verso l’alto. In questo quadro si inserisce la ri-stratificazione gerarchica dei territori, delle loro risorse e ricchezza, le nuove linee di confine, di inclusione/esclusione, un nuovo colonialismo interno sulla base della divisione tra nord e sud, nuove articolazioni del rapporto sviluppo/sottosviluppo, la sostituzione dei diritti universali con una concezione del diritto ineguale e differenzialista. 

Si tratta del tentativo di istituzionalizzare e codificare sul piano giuridico e geopolitico tali differenze, con effetti diretti sulla segmentazione del mercato del lavoro, la creazione di aree come riserva di manodopera a basso costo da usare come pressione al ribasso sui livelli salariali. Non è un caso che questa prospettiva abbia risvegliato recentemente i “bocconiani” - Tito Boeri, Ichino, etc - sempre in prima fila nell’attacco ai salari e alle condizioni di vita dei lavoratori, che ripropongono le “gabbie salariali”, come se l’intera massa del lavoro sociale e l’intera nostra vita non fosse già avvolta da un’infinità di gabbie. Ridurre “il costo del lavoro” in realtà non è altro che il prezzo della forza lavoro necessario per la sua riproduzione, per aumentare il plusvalore ed i profitti dei capitalisti.

Le lotte dell’operaio massa negli anni ‘60/70 si sono sviluppate in tutta la loro potenza proprio contro questi aspetti, contro i cottimo, le gabbie salariali, per l’egualitarismo e il salario come variabile indipendente sganciata dalla produttività, che aveva già in embrione un concetto di reddito garantito sganciato dal lavoro. Queste sono le basi dell’autonomia operaia: un irriducibile punto di vista di classe contro il capitale, per la riappropriazione della ricchezza “comune” contro la legge del profitto. Un processo che ci sta alle spalle, ma che ci parla ancora e che si tratta di riattualizzare in forma nuova rispetto alla trasformazione post-fordista del modo di produzione e della composizione di classe.