Il 14 e il 15 settembre 2019 si terrà a Roma l’Assemblea nazionale “Energie in Movimento”, negli spazi occupati di via del Caravaggio e di Lucha y Siesta, entrambi sotto sgombero. A questo link il form di partecipazione ➡️ https://bit.ly/2k0C5Vj
Energie in movimento - Assemblea Nazionale
L’attuale
situazione politico-istituzionale ci consegna un quadro estremamente mutevole e
di grande incertezza. Ciò che è certo è invece il violento attacco sferrato
contro i poveri e i migranti, contro chi si organizza nelle piccole e grandi
città, nei mari e nelle campagne, contro chi pratica azioni di solidarietà -
tutte questioni trattate sempre più come materia di ordine pubblico.
Le due Leggi
Sicurezza, le scellerate misure economiche, le politiche sulle grandi opere che
ci parlano solo di speculazione e distruzione di territori e comunità, e l’uso
sempre più spregiudicato del razzismo istituzionale, non fanno altro che
rafforzare un senso comune fatto di intolleranza e violenza verso migranti,
rom, poveri, donne e soggettività lgbtqiapk+ e chiunque si opponga a uno stato
di cose sempre più opprimente.
Da questo punto di
vista, la città di Roma è un terreno di sperimentazione di politiche urbane
sempre più escludenti. Infatti da mesi è in atto un costante attacco alle
tantissime esperienze di autogestione così come agli spazi abitativi vissuti da
migliaia di persone, come ad esempio quello di Via Cardinal Capranica,
sgomberato lo scorso luglio, e lo stabile di Viale del Caravaggio, sempre più a
rischio nonostante la conclamata mancanza di soluzioni alternative.
A questo clima
repressivo ha però corrisposto la costruzione collettiva di spazi di
discussione e mobilitazione e di diversi momenti di radicalità, che hanno
saputo rispondere in più forme: dai presidi anti-sgombero al corteo cittadino
dello scorso 22 giugno, passando per le piazze pubbliche in solidarietà agli
sbarchi delle navi delle tante ONG, in difesa della libertà di movimento e
contro l’approvazione del Decreto Sicurezza Bis, fino alla complicità verso chi
subisce atti di razzismo, come accaduto nelle periferie romane di Torre Maura e
Casal Bruciato.
Allargando lo
sguardo dalla città di Roma all'Italia intera, vorremmo aprire uno spazio di
discussione e confronto per tutt* coloro che nell’ultimo anno hanno costruito
tante e diverse forme di mobilitazione e resistenza: dalle contestazioni di
piazza contro le politiche di governo fino ai salvataggi in mare, dai cortei
contro il Nulla Che Avanza a quelli contro le Grandi Opere fino a chi ogni
giorno cerca di rompere le frontiere di mare e di terra.
Da chi si organizza
contro lo sfruttamento e per il diritto di sciopero a chi difende il proprio
diritto all’abitare e alla città, senza dimenticare le grandi e fondamentali
lotte in difesa della terra, della biodiversità e dei popoli indigeni contro il
modello capitalista che sta distruggendo il futuro di tutt* noi.
Per questo il 14 e
15 settembre vogliamo costruire una due giorni nazionale articolata in plenarie
e tavoli tematici di discussione e confronto negli spazi dell’occupazione
abitativa di Via Caravaggio e di Lucha y Siesta.
PROGRAMMA 14-15/09
Sabato 14 settembre
negli spazi dell'occupazione abitativa di Via del Caravaggio n 105/107.
- Mattina
h 10 - h 11 :
Accoglienza
h 11 - 13 :
PLENARIA introduttiva e metodologica
h 13 - 14 : Pranzo
- Pomeriggio
h 14:30 - h 16:30 :
prima serie di Work Shop
1) Frontiere
interne, migrazioni, confini nelle città
2) Lavoro e welfare
3) Guerra
all'autogestione e diritto alla città: organizziamoci contro il Nulla che
avanza!
4) Contro il
decoro, nos mueve el deseo!
h 17:00 - h 19:00 :
seconda serie di Work Shop
5) Frontiere
esterne, migrazioni e libertà di movimento
6) Diritto
all'abitare - Con ogni mezzo necessario
7) Emergenza
climatica: policy globali e locali e prospettive di movimento
Domenica 15 settembre negli spazi della Casa
delle Donne Lucha y Siesta. Roma Italia.
h 10:30: Plenaria
conclusiva della due giorni di assemblea nazionale.
h 13:00: Pranzo
h 15:00: Ripartenze
Testi introduttivi ai tavoli di lavoro di sabato pomeriggio:
1) Frontiere
interne, migrazioni, confini nelle città
Le città e gli
spazi urbani sono crossing zone, luoghi nei quali le politche sulle migrazioni
sperimentano disparità e rifiuto dove, come in mare, si tenta di respingere,
attraverso la negazione di accoglienza e dignità, migliaia di persone scampate
al Mediterraneo.
A contrastare
questa strategia di mobbing, che si caratterizza con il divieto dell'iscrizione
anagrafica per i richiedenti asilo, le retate urbane, le quotidiane
intimidazioni razziste e le discriminazioni istituzionali, centinaia di
cittadini attivisti e volontari hanno occupato interi metri quadri di suolo,
pubblico e privato, sottraeondolo all'odio e all'intolleranza e trasfomamdoli
in veri e propri safe place dove ricostruire cittadinanza e comunità solidale.
Vertenzialita,
controinformazione, supporto legale, accoglienza informale dal basso abbattono
frontiere in un percorso concreto di opposizione sociale e civile, con
l'obbiettivo di ribaltare il sistema sovranista di "selezione" ed
esclusione.
Il tavolo intende
confrontarsi sulle reti, buone pratiche di solidarietà e disobbedienza civile
per ampliare e connettere questi luoghi urbani costruendo strumenti di
replicabilità e campagne comuni di accoglienza.
2) Lavoro e welfare
Parlare oggi di
lavoro vuol dire fare i conti con una realtà complessa, quasi sempre distorta
nel dibattito pubblico e mediatico, utilizzata come uno slogan vuoto dalle forze
politiche che in questi anni si sono succedute al governo e che, nessuna
esclusa, hanno portato avanti un progetto di smantellamento di diritti, salari
e welfare strettamente connesso alla dottrina della maggiore produttività come
conseguenza di livelli crescenti di flessibilità.
Un dibattito che
sia all’altezza delle sfide epocali che ci troviamo ad affrontare deve essere
in grado di immaginare strumenti per riconnettere il tessuto frammentato del
mondo del lavoro, ricostruire rapporti di forza vantaggiosi, prendere parola
sulle condizioni materiali, sui diritti e sulla liberta di lavoratrici e
lavoratori, intervenire nei settori “classici” così come all’interno di nuove
modalità di sfruttamento intensivo, come quello della gig economy, tenere
insieme il lavoro dipendente e quello autonomo impoverito.
Salario minimo,
reddito e welfare universale, gender pay gap, riduzione di orario per liberare
tempi di vita, fiscalità progressiva, permesso di soggiorno slegato dalla
prestazione lavorativa: queste sono solo alcune delle rivendicazioni che i
movimenti precari e le realtà sindacali conflittuali hanno portato avanti negli
anni, strumenti da non leggere in contrapposizione tra loro ma utili a
rilanciare campagne e mobilitazioni per tornare a prendere parola in maniera
incisiva e per trovare un terreno comune per tutte le soggettività che
subiscono uno sfruttamento crescente e un isolamento che ne indebolisce le
capacità di lotta.
Come dicevamo, non
si parte da zero: lo straordinario lavoro fatto nella logistica o tra i
braccianti in lotta, settori a composizione fortemente migrante, il movimento
femminista transnazionale di “Non una di meno”, che ha saputo dare nuovo
significato allo sciopero a livello globale e ha affrontato moltissime di
queste tematiche in maniera trasversale, l’esplosione del movimento per la
giustizia climatica che proprio negli scorsi mesi ha tentato di utilizzare lo
sciopero come strumento di lotta e agitazione, le molte realtà che si occupano
di precarietà e provano a sviluppare nuove pratiche di sindacalismo sociale:
esistono molti percorsi da conoscere e tentare di mettere in connessione e
questo tavolo rappresenta un’occasione per farlo. Mettere in comune idee,
spunti e mobilitazioni che possono, e devono, entrare in connessione, costruire
relazioni virtuose e traiettorie di ampio respiro è una sfida che pensiamo non
sia più rimandabile.
3) Guerra
all'autogestione e diritto alla città: organizziamoci contro il Nulla che
avanza!
In Europa, e non
solo, una densa onda reazionaria di è abbattuta travolgendo schemi e simboli,
rianimando idee sopite di razza e nazionalismo, piantando semi di razzismo e
sfruttamento.
Questa lenta ma
sempre più evidente dinamica sociale ha spinto le forse liberali e democratiche
in una rincorsa a destra su temi quali sicurezza, degrado, immigrazione; ha
approfondito i solchi già scavati con le lotte del movimento operaio negli
ultimi 2 secoli in tema di lavoro e diritti.
Di fronte a questo
poche voci hanno voluto farsi sentire con chiarezza e determinazione, spesso
relegati nella solitudine, schiacciati in dinamiche territoriali, descritti
come “popolo del no”.
Tra queste voci non
sono mai mancate quelle dei centri sociali e occupazioni, realtà animate da
collettivi che da anni rappresentano una vera e propri anomalia. Lo
rappresentano in termini di longevità, visto che nel resto di Europa un
processo di normalizzazione e distruzione si è vi delineato già a partire dagli
anni 90. Ma anche in termini di lettura politica, visto che questi spazi nati
in opposizione al sistema neoliberale e con una straordinaria capacità di
socialità, si sono trasformati, attraversati ormai da tre generazioni, provando
faticosamente a rappresentare un’alternativa.
Questa alterita’
fatta di relazioni e cultura, ma anche di lotte quotidiane, rappresentano nei
quartieri in cui sono una solida forza. Amati o odiati, esistono nel tessuto
sociale costruendo sempre un punto di vista alternativo, spesso più complicato
della facile retorica della sicurezza e del razzismo, sono comunità larghe,
meticce ed inclusive, offrendo strumenti di riflessione ed organizzazione.
La necessità di
doversi mettere in discussione, proprio alla luce di una nuova fase, sta
facendo compiere a molti delle riflessioni approfondite proprio sul senso dei
nostri spazi, di quale capacità di aggregazione e riconoscimento politico e
sociale abbiamo, di quali forme organizzative dotarsi.
Una riconversione
per uscire dall’empasse di isole a paradigma di comunità autogestite connesse
in un processo costituente di istituzioni dal basso, radicali e partecipative.
In grado di decidere e difendere i propri diritti, a partire dai propri stessi
territori. Riflessione che parte da quelle forme di welfare e diritti che
all’interno dei nostri spazi vengono organizzati e condivisi.
È proprio in questa
fase, gli spazi sociali subiscono uno degli attacchi più profondi e strutturati
da parte del potere delle istituzioni. Richieste di sgombero e sgomberi veri e
propri si materializzano, indipendentemente da quale rappresentanza politica si
trovi a governare le istituzioni del paese o delle singole città. La scelta di
dover risolvere e silenziare queste esperienze è un tratto distintivo delle
politiche di governance, spesso che si lega alla voracità di speculazioni
edilizie o di opere nocive, non di rado persecutorie e rabbiose quando le
nostre posizioni creano consenso e forza resistente.
L’ultimo decreto
sicurezza ne è un esempio esplicito, con norme tese ad eliminare decine di
esperienze occupate ed autogestite, con una bere e proprie liste stilate in
collaborazione tra Viminale e prefetture.
A partire da queste
prime riflessioni vorremo trovare parole ed iniziative comuni sulla difesa
degli spazi occupati ma, guardando oltre, poter ragionare sul superamento dei
limiti e la condivisone di nuove reti e relazioni.
4) Con ogni mezzo
necessario – Tavolo diritto all’abitare
La necessità di
superare le politiche emergenziali che hanno caratterizzato da
lungo tempo i programmi di governo centrale e locale, a prescindere dalla
collocazione sinistra/destra, deve spingere la nostra riflessione
verso un confronto capace, da una parte ad arginare la svolta securitaria volta
a garantire ad ogni costo il diritto proprietario sopra
ogni cosa e dall’altra, ad immaginare una strutturale progettazione
alloggiativa pubblica basata sul riuso del costruito e su una tassazione
progressiva dell’invenduto privato.
Ragionare in questi termini ci può consentire di concepire l’abitare come bene d’uso capace di contrastare ulteriore consumo di suolo, grandi opere inutili e la voracità della rendita mascherata da formule di rigenerazione urbana fondate sul ricatto economico verso amministrazioni malmesse.
Questo ragionamento si rende ancora più necessario in ragione della ‘discontinuità’ invocata dalla nuova compagine di governo anche in materia di politiche abitative, citate a più riprese nel nuovo ‘programma di governo’.
In definitiva dovremmo misurarci con le nuove forme di controllo delle povertà esibite come strumenti di assistenza verso le fragilità sociali, spostando il tema casa come diritto a quello dell’emergenza, ma che in realtà ledono diritti fondamentali, trasformando le pratiche di lotta consolidate come le occupazioni in attentati contro la legalità negando la relazione tra conflitto e trattativa, riducendo la questione sociale in una mera questione di ordine pubblico a difesa degli interessi della rendita.
Il tavolo si propone di ragionare su questi temi e di articolare campagne che sappiano imporre uno stop a sfratti e sgomberi e alla criminalizzazione di chi si è attrezzato per recuperare reddito indiretto ed evitare di essere espulsa dalle città e dai quartieri dove ha costruito la propria vita. Riteniamo inoltre necessario riprendere il filo del ragionamento su come scardinare legislazioni punitive come l’articolo 5 del Piano Casa Renzi-Lupi, così come ragionare su come esigere ed ottenere politiche abitative che escano da una logica emergenziale per utilizzare il patrimonio esistente e rispondere alla domanda di abitare a partire dalle esperienze di rigenerazione urbana, e autorganizzazione, dal basso.
In ultimo, dovremmo essere capaci di aprire una riflessione su quei dispositivi di legge che mescolando la sicurezza urbana con i flussi migratori, hanno voluto dare un chiaro segno di classe allo scontro praticato, sempre più spesso, dall’alto verso il basso.
La composizione
meticcia di diverse lotte ci interroga sul ruolo che intendiamo avere dentro
questo scontro.
5) Frontiere
esterne, migrazioni e libertà di movimento
I confini sono al
centro della nostra esperienza contemporanea.
Negli ultimi anni
abbiamo assistito a un processo di progressiva frontierizzazione e
militarizzazione delle acque territoriali, con la criminalizzazione delle
migrazioni e del soccorso in mare che ha raggiunto livelli inauditi.
Nonostante la
violenza normativa, amministrativa e fattuale sviluppata dal governo e dagli
apparati di controllo nell’ultimo anno, il rapporto tra migrazioni, territorio
e movimenti e tutt’altro che pacificato. Se le politiche di contenimento il
Libia segnano un passaggio la cui portata storica è ancora da mettere a fuoco,
l’intermittente ma incessante movimento dei migranti che attraversano le
frontiere esterne e interne formalmente chiuse rappresenta il segno di quanto i
dispositivi di contenimento, per quanto feroci, non determino forme di
controllo totali: possono essere contestati e profanati.
La somma tra
pratiche di contenimento e strategie di resistenza non è – ovviamente – a somma
zero. La violenza attraversa le politiche di gestione dei confini interni ed
esterni ed è il carattere dominante di gran parte delle procedure che vengono
applicate dopo lo sbarco.
Il tema del
salvataggio in mare è centrale e l’azione delle organizzazioni che effettuano
operazioni di solidarietà e soccorso rappresentano un patrimonio comune
imprescindibile. Allo stesso tempo, appare fondamentale, in questa specifica
fase politica, evitare che i discorsi sulle migrazioni siano unicamente
discorsi sulle ONG e sulla criminalizzazione dei soccorsi.
Le frontiere,
infatti, non sono soltanto quelle delle acque territoriali.
L’esperienza del
confine e del confinamento accompagna i cittadini stranieri senza soluzione di
continuità. Hotspot, CPR, Questure ma anche i luoghi di lavoro, di formazione,
di vita sono organizzati intorno alla logica del confine, finalizzata alla
classificazione, all’inclusione differenziata e alla messa a valore.
Da questa
prospettiva è urgente sviluppare iniziative di solidarietà e di contrasto alle
politiche di confinamento ovunque si sviluppino.
Le mobilitazioni
degli ultimi mesi contro i cd. decreti sicurezza e di sostegno alle operazioni
di salvataggio in mare sono la testimonianza di quanto sia giusto, necessario e
possibile mobilitarsi in forma aperta e partecipata su questi temi.
È opportuno
continuare su questa traiettoria e contrastare le forme di confinamento non
solo lì dove sono rese visibili dalle iniziative del governo ma anche lì dove
lavorano quotidianamente sottotraccia.
6) Contro il
decoro, nos mueve el deseo!
Sommerse dal
rumoroso trambusto della politica italiana, le voci dei giovani e dei precari
sono oramai da troppi anni silenziate. Generazioni intere che hanno vissuto il
sistematico smantellamento di scuole ed università dopo decenni di riforme
disastrose, dalla Gelmini alla Buona Scuola, che sono costrette ad accettare
lavori precari e a vivere in città rese inospitali da chi vuole farne centri
commerciali a cielo aperto. La questione giovanile e i difficili equilibri
all'interno dei quartieri e delle città sono temi strettamente connessi tra
loro, in un'Italia della crisi e della stagnazione, 10 anni dopo dall'inizio
del periodo di recessione.
Oggi cosa significa
essere giovani? La risposta non é affatto semplice ma richiede innanzitutto di
abbandonare una definizione "anagrafica" di una generazione per
cominciare a parlare di soggetti le cui forme di vita per essendo precarie e
sconnesse tra loro, hanno dei tratti distintivi che le caratterizzano. Le
nostre vite sono spesso molto diverse ma in un certo modo ci ritroviamo in una
serie di esperienze comuni: giovane è oggi chi migra e attraversa le città
senza sapere quanto tempo rimanerci, chi affronta la disillusione della
"promessa" e gli affanni di un futuro appannato e incerto, chi si
ritrova senza punti di riferimento quando le strade e le piazze vengono
svuotate e trasformate in vetrine, tanto attraenti quanto vuote e spoglie. Che
ruolo abbiamo all'interno delle città che viviamo? Quali spazi di
partecipazione rimangono a noi giovani nelle città dei prefetti, delle
ordinanze anti-movida, dove la cultura e la bellezza viva dei centri storici
diventano accessibili solo ai turisti o durante i grandi eventi organizzati al
solo scopo di ingrossare la rendita?
Non solo siamo
allontanati dagli spazi vitali e di aggregazione delle città ma siamo gli
stessi a cui è stata sottratta l'idea stessa di futuro. La narrazione del
giovane "choosy" e inoperoso è quanto c'è di più lontano da chi non
può rendersi autonomo dal welfare familiare, da chi è costretto ad accettare
stage non retribuiti o con un salari netti di qualche centinaia di euro, da chi
deve passare attraverso tirocini non pagati perchè parte della propria
formazione o della "gavetta". Stiamo parlando di generazioni intere
che hanno subito drasticamente il contraccolpo della crisi. Generazioni senza
voce nel dibattito pubblico, destinate a subire un discorso top-down, senza
alcuna possibilità di formulare risposte dal basso ma a cui è permesso
solamente di subire gli effetti delle riforme imposte dall'alto che puntano a
normalizzare il lavoro non pagato e sfruttato.
Per quanto la
continua mobilità alla quale siamo costretti renda spesso estranei alla
possibilità di votare o almeno molto più complessa la partecipazione politica
ai processi sociali siamo un importante tema delle campagne elettorali, seppure
indirettamente. I giovani in questo Paese sembrano non aver mai spazio,
continuamente accusati di essere responsabili del "degrado" delle
città, insieme ad altre soggettività marginalizzate come quella migrante e
nera, e sempre più schiacciati da politiche "anti movida" e costretti
a subire l'esponenziale aumento del caro affitti e delle spese generali. Non
c'è spazio nelle città sempre più gentrificate, in affitto giornaliero su
piattaforme estrattive, siamo costretti a ripiegare e a fare i conti con la
nostra fragilità economica e politica.
Ma come si collega
tutto questo alla trasformazione delle città, alle ordinanze repressive e alle
politiche per il decoro? Stiamo assistendo da diversi anni ad una
trasformazione radicale delle città. Queste sono sempre più teatro di
repressione e politiche contro il "degrado": ordinanze contro
l'accattonaggio, la chiusura delle piazze, gli sgomberi degli spazi sociali. Le
città modello si ristrutturano su degli equilibri nei quali la messa a valore
della cultura consegue l'inaccessibilità per tanti; mentre la produzione
artistica e culturale dal basso viene sempre più criminalizzata. La
trasformazione delle città si muove su diversi livelli. Le politiche repressive
e i dispositivi come il DASPO sono sempre più spesso collegate alla
speculazione immobiliare e alla messa a valore degli spazi pubblici, e i
soggetti colpiti sono spesso quelle più facilmente attaccabili, quelli che
hanno meno mezzi per difendersi e organizzarsi, relegabili alla marginalità.
L'inclusione differenziata delle soggettività all'interno delle economie
cittadine disegnano la stratificazione sociale, la geografia dello spazio
urbano ne traccia i confini interni determinandone i livelli di accesso.
Il quadro che andrà
a delinearsi durante la discussione si pone l'obiettivo di toccare diversi
piani, di individuare i punti rottura e i margini di lotta. Di raccontare le
esperienze di conflitto e degli spazi che animano la resistenza. L'attacco alla
socialità a basso costo e la messa a valore degli spazi cittadini,
l'invisibilizzazione e la marginalizzazione delle soggettività mobili sono solo
alcuni dei temi che si affronteranno. Il tentativo è quello di rimettere
insieme le storie che ci riguardano da vicino, organizzarci per ribaltare una
narrazione che ci vuole passivi, al contrario vogliamo riprenderci il nostro
tempo.
Per noi è un
attacco alle forme di vita. E a partire da queste, vogliamo ripartire per
scoprire le trame e rimettere le nostre energie in moto.
7) Emergenza
climatica: policy globali e locali e prospettive di movimento.
Nonostante i
cambiamenti climatici e le gravi conseguenze da questi causate siano da tempo
oggetto di denuncia e preoccupazione, solo nell’ultimo anno sono divenuti
argomento di interesse globale: siamo ormai sempre più vicini e vicine al punto
di non ritorno della crisi ambientale.
Da un lato vediamo
la politica istituzionale, rappresentata nel corso del G7 da Emmanuel Macron
che ha aperto il Summit di Biarritz, invocando una “mobilitazione di tutte le
potenze per scongiurare il disastro ambientale”, dall'altro i movimenti dal
basso, nuovi e meno nuovi, che le piazze di Biarritz le hanno riempite davvero
di mobilitazione.
In considerazione
dell’urgenza della situazione in cui ci troviamo, per la difficoltà di
immaginare una futura declinazione della produzione capitalistica in senso ecologico
e per la grande preoccupazione verso gli effetti sociali che questa crisi sta
generando e genererà, ci sembra fondamentale chiamare un tavolo di lavoro che
analizzi e crei discussione sulle tematiche ambientali e climatiche.
Vista la forza
politica creativa che caratterizza le pratiche che le e gli attivisti per
l’ambiente portano nelle piazze, e data l’eterogeneità di esperienze che hanno
reso la tutela ambientale teatro di lotte locali e globali e rivendicazioni
sociali, vogliamo costruire un luogo di confronto il più possibile aperto,
plurale e orizzontale che stimoli un’analisi costruttiva e critica delle
problematiche e che trovi delle risposte potenzialmente applicabili da tutti e
tutte grazie alla condivisione di sensibilità e pratiche eterogenee.
Per questo sarebbe
importante mettere a valore un doppio livello di analisi: un piano globale e un
piano locale, che mettano in questione il sistema della governance e la sua
crisi, rispetto al primo, e il ruolo di spesso secondario dell'advocacy del secondo,
spesso privo di reale potere decisionale.
La profonda
relazione tra fenomeni locali e globali è ben nota alle comunità indigene del
sud America come lo è ai movimenti e alle persone che continuano a lottare
contro le Grandi opere inutili che deturpano e inquinano il nostro paese.
Lo sanno tutte
quelle persone che sono costrette a spostarsi perché la propria casa non è più
un luogo accogliente.
In questo scenario,
che vede, dopo trenta anni, il sistema delle CoP incapace di creare una reale
inversione nel trend delle emissioni, sentiamo la necessità di condividere
alcuni interrogativi rispetto alla direzione nella quale stiamo andando e
rispetto all’alternativa da costruire.
Le politiche
adottate sino ad oggi, a livello locale e globale, non hanno raggiunto gli
obiettivi prefissati ed hanno anzi spesso prodotto esternalità nocive: E’
evidente come il sistema degli ETS (Emission Trading System), cioè la
compravendita sul mercato finanziario dei diritti di emissione di gas
inquinanti, non abbia funzionato come incentivo al rinnovamento tecnologico per
la riduzione dell'impatto ambientale.
Lo sviluppo di
tecnologie basate sull’utilizzo dei combustibili vegetali ha causato il
disboscamento di vastissime aree forestali in Sud America e in Africa con
effetti drammatici per gli ecosistemi locali e per le comunità che li abitano
mentre, a pochi km da noi, il finanziamento pubblico degli inceneritori
-soluzione ben poco ecologica della gestione dei rifiuti- ha disincentivato la
raccolta differenziata ed il recupero delle plastiche e delle altre materie
recuperabili.
Queste ed altre
misure che rispondono alle idee cosiddette di "sviluppo sostenibile"
e "green economy" possono davvero rappresentare una soluzione a lungo
termine per il futuro o vogliono semplicemente mascherare un sistema che
antepone il profitto di pochi al bene degli ecosistemi e delle comunità che li
abitano?
Come ripensare, a
partire da un paradigma ecologico e transfemminista, tanto l’economia e il
lavoro quanto la gestione politica dei territori?
Quanto cioè, il
sistema estrattivista e capitalista, come lo conosciamo, è legato a quello
patriarcale che nelle condizioni di lavoro invisibile e in quello di cura,
riproduce le forme dello sfruttamento delle risorse?
Quali sono i costi
sociali della transizione ecologica e come devono esser distribuiti?
Sulla base di quali
connessioni le vostre organizzazioni/collettivi/realtá fanno convergere
questione sociale e questione ambientale?
Quali sono le forme
organizzative che si stanno dando, e quali quelle che i movimenti sociali
potrebbero immaginare e praticare a livello locale e globale?
Partendo da queste
riflessioni che verranno approfondite e discusse, ci auguriamo un percorso che
sollevi le contraddizioni in seno all'attuale sistema economico e sociale e che
produca idee e ispirazione; speriamo di confrontarci su nuovi o dimenticati
modelli di economia e produzione, di autogestione dei territori e di
organizzazione delle lotte.