Le dinamiche della crisi globale e le scelte dei movimenti tra soggettività e beni comuni.

Fumata grigia

di Antonio Musella

14 / 5 / 2010

Le nubi che si sprigionano sull’Europa non sono solo quelle del vulcano islandese che periodicamente blocca gli aeroporti del continente. I fumi della Grecia, quelli delle emissioni provenienti dall’Asia che si spostano verso il vecchio continente, addensano l’atmosfera della crisi globale i cui assetti risultano sempre in movimento e necessitano continuamente dell’aggiornamento delle chiavi di letture che pensavamo fino a pochi mesi fa fossero le più opportune.

Mentre il neo multilateralismo imposto dalle potenze emergenti, da Cina, Brasile, India, vede l’assenza dell’affermazione del modello e dell’egemonia americana in chiave green economy, come fino a pochi mesi si poteva prevedere, nel vecchio continente la bancarotta greca delinea uno scenario delle dinamiche di dominio diverse da quelle che ci saremmo attese.

La Germania della cancelliera Merkel, uno stato nazione, si pone come ago della bilancia del salvataggio del paese dell’agorà, dove la ribellione sociale non riesce ad andare oltre l’opposizione disperatissima alle misure di austerity, senza avere la capacità di fornire prefigurazione di scenari di fuoriuscita dalla crisi alternativi.
A conferma di ciò l’intero piano di aiuti varato il 9 Maggio, un piano da 700 miliardi per i paesi della zona euro, prevede un sistema di aiuti integrati da parte di Ue e Fmi che prevede a priori, ovvero prima ancora di voler/poter chiedere il beneficio degli aiuti, l’accettazione da parte degli stati membri delle misure di austerità generalizzate. A Portogallo e Spagna, ad esempio, è stato chiesto il recupero di due punti del debito pubblico entro il 2011. Questo piano rafforza il ruolo degli stati nazione, basta guardare la provenienza del fondo : 700 miliardi di cui solo 60 presi dalla cassa dell’Unione, e ben 440 presi dai bilanci degli stati membri, ed altri 200 provenienti dal Fondo Monetario Internazionale. Il senso del rafforzamento del ruolo dei singoli stati è dato ulteriormente dal fatto che il piano approvato risulta essere alternativo alla proposta iniziale : un sistema di emissioni di titoli garantiti dalla Ue che avrebbe rafforzato il ruolo economico sovranazionale sia dell’Unione sia della Bce.

Un passaggio che acutizza notevolmente i processi di governance, che potremmo definire come dinamica di affermazione del dominio senza compromessi, in particolare nell’accettazione aprioristica dello stato di austerità per tutti. Gli stati europei dispensano austerità, sangue e sacrifici che in Grecia significano per i dipendenti pubblici la riduzione degli stipendi, mentre non si mettono affatto in discussione nè i grandi patrimoni e soprattutto non si coercisce in nessun modo il meccanismo di profonda corruzione della classe politica greca che ha ridotto il paese sull’astrico.
Di certo quando si parla di un ruolo degli stati nazione, si parla di “un ruolo non esaurito degli stessi” quindi senza mai commettere l’errore di definire gli stessi come nel 1800.

Da un lato l’euro e’ la sola moneta al mondo senza uno stato nazione capace di difenderla, apprezzarla/deprezzarla, quindi pienamente in una dinamica economica macroregionale e sovranazionale. Allo stesso tempo l’assenza di una vera dimensione europea, ad esempio nei termini della cittadinanza, del diritto, della regolamentazione del mercato del lavoro, ci raccontano di come una tendenza non ci racconta mai completamente uno scenario dato. 

Una dimensione delle dinamiche del potere globale diversa rispetto a quella che siamo stati abituati a leggere, forse in maniera corretta, da dieci anni a questa parte.

Una situazione di crisi globale in cui ciò che sconcerta maggiormente è l’incapacità del malcontento generale di trasformarsi in movimento dal basso contro la crisi capace di reclamare altro.

Non sarà così…per ora.
Questo dopo più di un anno di crisi e di attesa dell’esplosione del conflitto sociale generalizzato in tutta Europa invocato come il miracolo di San Gennaro, possiamo affermarlo.

Nel nostro paese, quello che Moddy’s dice di essere tra i prossimi paesi sull’orlo della bancarotta dimostrando come un’agenzia di ranking comanda l’andamento delle borse mondiali, nessuna onda lunga dei movimenti del 2008-2009 è riuscita a sopravvivere a se stessa. Siamo in una fase particolarmente difficile per le soggettività politiche di movimento, in cui la necessità di un aggiornamento dell’analisi di fase sull’andamento della crisi globale, deve necessariamente proiettarci verso la problematizzazione della declinazione di alcune categorie. Dall’avvento della crisi globale abbiamo intensificato il ragionamento intorno alla moltitudine come una categoria che si traducesse in un percorso di ricomposizione di classe come storicamente lo abbiamo inteso.

Una definizione che in passato ci ha aiutato probabilmente sia a leggere in maniera più efficace la composizione tecnica del lavoro che ci trovavamo davanti, sia a comprendere meglio lo sviluppo dei ragionamenti intorno alla categoria stessa.

Abbiamo appreso dal campo però, come questo processo di ricomposizione di classe continui ad essere una tendenza verso la quale non si spostano i segmenti sociali frutto della scomposizione del mercato del lavoro. Le dinamiche di crisi invece che avvicinare i segmenti sociali pare li allontanino, rendendo il lavoro di costruzione di percorsi di conflitto sociale sempre più difficili per chi, come la mia generazione, ha assunto un bagaglio formativo e culturale del metodo politico frutto del piano elaborativo della fine degli anni novanta. Forse dovremmo cominciare a ragionare introno all’assunto che la scomposizione di classe e’ un dato strutturale e che il processo rivoluzionario non può più misurarsi con l’elemento della ricomposizione come fase indispensabile.
Ogni condizionale e’ d’obbligo, ma penso che bisogna avere sempre la capacità di cogliere dei limiti soggettivi nell’analisi ma anche porsi il problema della definizione aggiornata delle categorie.

Il terreno della prassi ci porta a dover sperimentare intorno a nuovi capisaldi le nostre esperienze di lotta nella misura in cui gli assunti da cui siamo partiti fino ad ora non riescono a produrre le conseguenze attese.

Elementi di ragionamento questi che si misurano con l’empasse elaborativa e pratica che le soggettività di movimento subiscono nel nostro paese da almeno un anno a questa parte. Uno stato di immobilismo a cui va dato necessariamente, anche in termini provocatori se vogliamo, uno scossone.     

I limiti che fino ad ora non hanno permesso che si sviluppasse un idea di programma post socialista all’interno delle soggettivita’ di movimento, vanno anche ricercati nell’impossibilita’ di fornire, dall’onda in poi, degli esempi di movimento reale a cui ispirarsi per veicolare temi e questioni prioritarie intorno a cui mettersi al lavoro.

In mezzo a tanti limiti ed a tante incapacità soggettive (ove per soggettive si intende in merito alla composizione del corpo militante e della soggettività stessa) le lotte in questo paese, sebbene con livelli diversi non si sono fermate.

L’acqua, la salute, l’ambiente, ora il nucleare che vede il sorgere delle prime reti e dei primi comitati in tutto il paese, hanno rappresentato e rappresentano il lavoro principale delle soggettività politiche in questo anno.

Un lavoro che è maturato in ambiti plurali, provando a costruire relazioni, in parte nuove ed in parte no, con tutti coloro che intorno alla questione dei beni comuni intendono mettersi in movimento.

Acqua, ambiente, nucleare, questioni che sembrano darci anche due stimoli ulteriori alla discussione sulla fase complessiva.

Il primo aspetto è quello della ricerca costante dell’affermazione di un piano etico nuovo ed alternativo a quello del capitale che si muova proprio dall’affermazione dei commons.

Per bene comune non abbiamo mai inteso esclusivamente i beni naturali, ma abbiamo sempre provato a declinare una idea del bene comune in una sua accezione più ampia, come affermazione dei bi/sogni della moltitudine, un claims che ci aiuta a definire meglio bene comune come un processo riappropriazione per se.

Intorno ai temi dei beni ambientali si sono sviluppate in questi anni una serie di preziose relazioni, che in parte, hanno aiutato in tanti a riprendere il filo della prassi, provando, a partire dai territori, a produrre conflitto ed a riaffermare un metodo.

Non parlo delle lotte campane. Parlo di come in molte regioni del Nord ad esempio queste pratiche si siano sviluppate in questi anni. Comitati contro inceneritori e discariche, comitati contro il nucleare, in difesa di parchi, spazi pubblici, falde acquifere, aree verdi, nascono in Veneto, in Emilia Romagna, nelle Marche e riaffermano il modello organizzativo dei comitati popolari come centrali della costruzione di partecipazione politica. Stessa cosa avviene a Sud della Campania, a cominciare dall’esperienza di Taranto ed altre disseminate nel Mezzogiorno. Molto spesso queste lotte si sviluppano intorno ad una azione dello Stato sempre più hard. L’utilizzo spropositato dei decreti legge come strumento legislativo, il consumarsi costante della democrazia formale per dare spazio ad una forma di governo in cui una serie di garanzie formali sancite dalla democrazia liberale vengono distrutte, fanno diventare queste esperienze laboratori di nuova democrazia dal basso. In questo modo le lotte per i beni comuni diventano al tempo stesso lotte per la democrazia e contro le forme sempre piu’ aggressive di dominio che nel nostro paese siamo costretti a vivere.

Il secondo aspetto interessante dell’affermazione dei temi legati ai beni comuni come punti di agenda politica per le soggettivita’ di movimento, è legato alla possibilità che queste lotte ci danno di poter agire su diversi segmenti delle moltitudine. La composizione sociale di queste lotte vede nel suo corpo militante una trasversalità in termini socio-economici preziosa. A partire da questa opportunità questo tipo di lotte ci pongono immediatamente sul terreno del fare società.

Non c’è nulla di ideologico nelle battaglie contro l’acqua privata ad esempio. Anzi proprio questa importantissima lotta che si sta sviluppando a livello nazionale diventa terreno di nuova analisi intorno alle istituzioni giuridiche del comune. E’ grazie alla capacità di stare in queste lotte che oggi possiamo riuscire a veicolare i ragionamenti di Micheal Hard sul comune ad esempio, così come i lavori di Ugo Mattei e Alberto Lucarelli.

Le battaglie per i commons ci mettono da subito nella condizione di doverci misurare con scenari di alternativa reale da dover costruire. Non potrà mai bastare dire che siamo contro l’acqua privata, perché noi non siamo nemmeno per la gestione pubblica. Non potrà mai bastare dire che siamo contro il nucleare, perché noi siamo anche contro il fossile. Non potrà mai bastare dire che siamo contro gli inceneritori, perché noi vogliamo rifiuti zero.

Un ulteriore elemento che le battaglie per i commons ci stanno fornendo resta legato alla composizione sociale degli uomini e delle donne che decidono di battersi in loro difesa. Sto parlando della possibilità che abbiamo di ritrovare ,grazie a queste lotte, la possibilità di ragionare ed agire insieme ad altri, condizione indispensabile in una fase come questa. Non siamo riusciti a leggere del tutto alcuni dei fenomeni sociali e politici che in questi mesi si sono manifestati nel nostro paese. I popoli gialli e viola ad esempio, le esperienze dei meet up restano per noi delle relazioni necessarie. Una necessità data dall’esigenza continua di inchiestare la società reale e misurarsi con essa non in termini astratti ma maledettamente reali.

I commons dunque come incipit di una agenda politica tutta da costruire per provare a ripartire nel torpore della crisi globale.

Da questi punti può e deve partire un ragionamento che rimette in campo le ipotesi di costruzione di nuova soggettività politica su base nazionale che abbia voglia di mettersi in gioco davanti ad una situazione complessa come quella che viviamo in questa fase.

Il problema principale resta senza dubbio lo scarso peso specifico che le istanze dei movimenti antisistemici di formazione marxista hanno all’interno del dibattito politico nel paese. Questo non certo per l’assenza della rappresentanza istituzionale.

Piuttosto la “scoperta” del territorio come elemento dell’azione politica in questi ultimi anni ha lasciato come nodo irrisolto la questione di una soggettività piu’ complessiva. Quando i movimenti in difesa dei beni comuni ruggivano nelle piazze nel 2008, e l’Onda surfava negli atenei nel 2009, vivevamo una dimensione in cui il tema della soggettività e dell’organizzazione restavano sullo sfondo come questioni prive di priorità in una dinamica di movimento.

Come del resto è corretto che sia.

Abbiamo ormai assunto l’elemento del territorio come condizione fondamentale nel nostro metodo di lavoro politico. Un approccio che oggi diventa indispensabile proprio per le sfide che abbiamo davanti in questa fase. La stessa formula dei comitati come modello organizzativo sui territori resta un dato irreversibile, e chi ancora fatica a trovare la giusta dimensione dell’intervento politico rispetto al territorio ha davvero difficoltà enormi a cimentarsi nelle sfide che ci attendono.

Detto questo, forse oggi la discussione sulla necessità di una soggettività politica a carattere nazionale ha una sua indubbia priorità.
Una fase questa, da fumata grigia , ovvero quando non sbuffa più il fumo dell’incertezza ma quello della prospettiva deve ancora arrivare.