Grazie, Mario!

Da Quaderni Rossi e "Operai e capitale": la grande eredità teorica e politica di Mario Tronti, scomparso il 7 agosto 2023

8 / 8 / 2023

Mario Tronti fu con Raniero Panzieri tra i fondatori dei Quaderni Rossi nel 1961, insieme a un gruppo di marxisti eretici, contrapposti alla logica della Terza Internazionale, dello stalinismo e dell’egemonia dell’Unione Sovietica sul movimento operaio internazionale, con il suo determinismo e meccanicismo teorico e opportunismo pratico.

Ai Quaderni Rossi aderirono importanti figure, quali Romano Alquati, Toni Negri e altri. Fu un grande laboratorio di innovazione teorico-pratica da cui maturarono concetti che sono fondamentali anche ora: l’inchiesta operaia di fabbrica, la “conricerca militante” nel cuore della fabbrica fordista - in particolare la Fiat di Torino, centro di un grande ciclo di lotte -, l’analisi della composizione di classe, tecnica e politica, lo studio e la conoscenza dell’organizzazione capitalistica del lavoro dall’interno stesso delle lotte, in un nesso indissolubile tra teoria e pratica. Conoscere il nemico, per meglio colpirlo!

Nel 1963 si manifestò la frattura interna ai Quaderni Rossi ad opera di un gruppo che fonderà dal 1964 al 1967 la rivista Classe operaia, guidata soprattutto da Mario Tronti. Si trattava di colpire i punti nevralgici del sistema di sfruttamento in fabbrica, non solo con gli strumenti dell’analisi teorica, ma con i mezzi di una prima organizzazione politica, superando la logica sindacale. La lotta degli operai di fabbrica è direttamente lotta politica, senza mediazioni: operai contro capitale, classe contro classe!

Nel 1966 viene pubblicato Operai e capitale da parte di Tronti, che rimane una parte fondamentale della sua opera ed una pietra miliare del pensiero operaista. Emerge il concetto del “punto di vista operaio”, un punto di vista ferocemente di parte, dal quale guardare la totalità del processo di produzione e riproduzione del capitale.

Classe operaia viene pubblicata fino al 1967, quando la redazione si spacca: da una parte i fautori di una logica entrista nel P.C.I., che ritengono di utilizzare tatticamente la conquista del potere politico per consolidare i risultati e le conquiste delle lotte operaie degli anni ’60. All’opposto, un’altra parte di militanti intendono sviluppare una visione strategicamente rivoluzionaria nel segno dell’autonomia di classe rispetto alle istituzioni politiche. I primi si raccolgono attorno a Mario Tronti e al concetto di “autonomia del politico”; i secondi trovarono in Toni Negri il maggior rappresentante dell’autonomia di classe, dando vita a Potere Operaio e successivamente ad “Autonomia operaia” (leggi Elia Zaru, Traiettorie globali nella tradizione politica dell’operaismo Antonio Negri da «Quaderni Rossi» e «Classe Operaia» a Empire).

Nel pensiero negriano degli anni ’70, l’operaio diventa “sociale”, così come la fabbrica diventa sociale e diffusa: la contro-rivoluzione neoliberista destruttura l’organizzazione autonoma degli operai di fabbrica, spinge lo sfruttamento oltre le sue mura, precarietà, disoccupazione, flessibilità, rottura dei legami collettivi, individualismo, sfruttamento selvaggio senza regole.

Ma nel pensiero di Negri il paradigma operaista rimane centrale: si tratta nelle nuove condizioni di ricomporre questa frantumazione, ricostruire la classe dentro la moltitudine del lavoro sfruttato e comandato, con il metodo dell’inchiesta dentro le nuove lotte e della tendenza, campo aperto in cui costruire e sperimentare, dagli esiti incerti e mai predeterminati, ma indispensabile per l’agire rivoluzionario.

La rottura che si consuma tra il gruppo di Tronti e quello di Negri si genera proprio dal rifiuto del “compromesso storico” ante litteram con lo Stato-nazione e le sue istituzioni.

Ma facciamo un passo indietro, dai Quaderni Rossi a Classe Operaia: le basi teoriche sono Storia e coscienza di classe di György Lukács, ma soprattutto la lettura dei Grundrisse di Marx, da cui l’esperienza operaista trova la sua linfa vitale. Il nodo centrale è la questione del “Soggetto della rivoluzione”, la soggettivazione del lavoro vivo, la trasformazione della classe in sé in classe per sé, la presa di coscienza del proprio ruolo antagonista nel sistema di dominio del capitale.

Lo stesso Tronti nei suoi vari scritti ed interviste lo riconosce: «Si tratta, su questa base, di partire dalla scoperta delle leggi politiche di movimento della classe operaia, che subordinano materialmente a sé lo sviluppo del capitale»; «Prima la forza lavoro, poi il capitale, mosso dalla forza del lavoro vivo»; «La forza lavoro conta due volte dentro il sistema del capitale: una volta come forza che lo produce, un’altra volta come forza che si rifiuta di produrlo. Una volta dentro il capitale, un’altra volta contro il capitale». Sono queste alcune citazioni tratte da Operai e capitale, la grande raccolta di analisi di Tronti.

Dentro e contro dal punto di vista di classe: Tronti opera una sorta di rivoluzione copernicana. Prima vengono le lotte, esse spingono in avanti lo sviluppo capitalistico, lo costringono a modificarsi, non il contrario. Fino al punto in cui l’applicazione della scienza e della tecnologia riducono al minimo il lavoro necessario e si pongono al limite del “rovesciamento”, della liberazione del lavoro sfruttato e comandato, la liberazione di tempo. Un processo rivoluzionario, in cui si avvertono gli echi dei Grundrisse, non certo come automatismo meccanicistico, ma come attività della soggettività di classe.

Non si parla qui degli operai come mito fabbrichista, ma della “classe operaia”, del cervello sociale, dell’intelligenza diffusa, della forza-invenzione del lavoro vivo, delle sue capacità innovative, conoscenze, abilità, competenze. Ciò che Marx definisce general intellect. Certo, il capitale si ristruttura continuamente rispetto ai movimenti di classe e al sapere collettivo per espropriare, fare propria questa potenza, trasformandola in nuovo dominio e forme di sfruttamento.

La controrivoluzione neoliberista lo dimostra, eppure la contraddizione e il rapporto antagonistico tra lavoro (che Tronti intende sempre come forza-lavoro) e capitale permane, assumendo forme sempre nuove, nuove combinazioni, orizzonti e prospettive rivoluzionarie, dove alcun compromesso e mediazione è possibile. La rivoluzione non è un singolo evento insurrezionale, la presa del palazzo d’inverno, ma un processo sulla lunga durata, non lineare, a salti, discontinuo, ma che si riapre sempre, poiché il capitale è un rapporto irriducibilmente dualistico ed antagonistico.

Grazie Mario, per tutti gli spunti che ci hai dato, sia sul piano teorico che pratico: Operai e Capitale rimane un testo fondamentale per tutti noi!