Il nuovo Pétain

Lavoro, morale e razzismo nella proposta politica di Sacconi

7 / 9 / 2009

Ispirano una certa ripugnanza a pelle, ma vanno attentamente seguiti perché, oltre tutto, sono fra le poche teste pensanti del Pdl. Ex-socialisti tutti e tre, Tremonti, Sacconi e Brunetta costituiscono una corrente e insieme un elemento di raccordo decisivo fra PdL e Lega.

Stanno venendo fuori in modo esplicito adesso perché è evidente il declino di Berlusconi e si stanno preparando alla guerra di successione, per cui hanno anche uno dei possibili candidati (Tremonti, ovvio). Il superministro scrive libri, pronuncia discorsi, ma in realtà è piuttosto elusivo nel suo vago neo-colbertismo e nelle battute contro gli economisti, le banche, ecc. Brunetta è fin troppo aggressivo, ma di una desolante mediocrità. Sacconi è invero il più esplicito e a volte strategico. In un’ampia intervista sul Corriere del 6 settembre offre un’esposizione articolata del suo pensiero, che riunifica le principali campagne promosse negli ultimi mesi.

Elenchiamole. Al culmine di una serie di manovre per dividere i sindacati e isolare la Cgil (verso cui ostenta un odio viscerale) ottiene un paio di accordi separati. Il primo è la detassazione degli straordinari. Peccato che siamo alla vigilia di una crisi, quando crolla la produzione e di straordinari non se ne parla. Potrebbe però tornare utile in futuro. Poi fa accettare a Cisl, Uil e Ugl il nuovo modello contrattuale che privilegia il momento aziendale sul livello nazionale – una vecchia idea cislina le cui radici stanno addirittura nell’ala più arretrata del sindacato statunitense del dopoguerra (la componente Afl). La differenziazione salariale e territoriale (a spese del Sud) che ne conseguirebbe –sempre a crisi finita– formalizzerebbe la grande rivincita sull’egualitarismo dell’odiato ’68. Peccato che già il neoliberismo ha smantellato i contratti nazionali e spinto al ribasso e alla differenziazione interna il monte salari.

Il dispositivo sacconiano consoliderebbe comunque la tendenza e renderebbe superfluo l’impopolare e inutile ritorno alla gabbie territoriali salariali richiesto a voce rauca da Bossi. Inoltre la Cgil è messa fuori gioco e allontanata dal tavolo delle trattative. Con qualche perplessità la Confindustria inizialmente aderisce. L’ostilità e la vertenzialità operaia sono subito evidente e Bonanni comincia a guardarsi dalle proteste di piazza. Per completare una panoramica sulle idee sociali di Sacconi ricordiamo il suo appello ai giovani ad accontentarsi di lavori umili, fottendo la concorrenza dei baluba immigrati. Non sta certo pensando alla società della conoscenza e neppure all’industria verde come asse per la ripresa. Mica è Obama. Di rincalzo Bossi propone di affidare le terre incolte ai ragazzi disoccupati, così almeno non si drogano. Altro investimento in tecnologie avanzate.


Nel frattempo Sacconi, che fra le sue competenze ha anche la sanità, entra a piede teso nell’affare Eluana Englaro, ordinando ispezioni alla clinica friulana dove si consumano gli ultimi giorni di vita della sfortunata ragazza e batte perfino Giuliano Ferrara e i cardinaloni nella difesa della vita biologica. Severissimo, ovvio, anche con la deresponsabilizzante pillola RU 486, su cui lancia una ritardante inchiesta parlamentare. Grande successo ecclesiale e diffidenza dei concorrenti, in primo luogo Formigoni. Il meeting ciellino di Rimini lo ama, ma proprio in quella sede deve prendere le distanze dalle richieste eccessive di Bonanni, che vorrebbe la detassazione integrale del salario di secondo livello, quello legato alla produttività.

In compenso, in quegli stessi giorni lancia con grande clamore l’idea della partecipazione operaia agli utili aziendali. Anche in questo caso deve frenare l’esuberanza cislina, che vorrebbe estendere la partecipazione alla gestione, per non parlare dell’Ugl, legittima erede del sindacalismo fascista che vede nella proposta la ripresa dell’art. 12 della Carta di Verona, atto costitutivo nel 1944 della Rsi. Pari entusiasmo dimostra la Lega, cui ben si addice l’art. 18 della medesima Carta: «in tal modo il partito dimostra non soltanto di andare verso il popolo, ma di stare con il popolo». Con i migranti al posto degli ebrei stranieri e le banche sempre a rappresentare la plutocrazia finanziaria. A questo punto la Confindustria, per bocca della presidente Marcegaglia, si incazza proprio: a parte che gli utili in questa fase non ci stanno proprio, se e laddove ci fossero (nel caso dei petrolieri), siamo matti a distribuirli? Mentre nel frattempo la Cgil ci incalza con le vertenze per far fallire il progetto cislino di escluderla dalla trattativa? La brava Marcegaglia difende allora l’idea del conflitto contro la collaborazione di classe e soprattutto esalta il grande ruolo storico della Cgil e invita i sindacati a mettersi d’accordo. Moderazione salariale e coesione sociale non vanno d’accordo con la rottura e la concorrenza fra sindacati. Specie quando l’isolato è il più forte e sta proprio nel settore metalmeccanico...


Torniamo all’intervista e vediamo come Sacconi costruisca una cornice ideologica al suo operato. Solidarietà con Dino Boffo, innanzi tutto, tanto per distinguersi dagli ultras berlusconiani. Chi ha gettato la prima pietra? proprio chi «è ostile a lui e a noi», cioè ai moderati cattolici. Insomma, sono i cattocomunisti all’interno della Chiesa ad aver diffuso informative anonime e accuse di cattocomunismo a un bravo liberale, perfettamente organico all’ala neo-socialista del Pdl. Berlusconi avrebbe incautamente abboccato. E cosa fa un bravo cattolico liberale? Si impegna sul terreno della biopolitica, che accomuna nella difesa della vita credenti e non credenti –insomma la linea dell’altro ex-socialista, Giuliano Ferrara (anche lui freddissimo con il Papi furioso). La laicità adulta non si identifica con la liceità (carino! carino!) e questa fa parte «del senso comune del popolo». Cos’è il popolo? E’ l’Italia profonda, non quella «metropolitana delle borghesie elitarie, ma quella fatta dalle piccole comunità e dalle periferie urbane...dove vive la gente semplice e vitale», cristiana e amante dell’umile lavoro. Cara anche al Censis di De Rita. Ai dubbi dell’intervistatore Sergio Rizzo (lui sì liberale) che la nostra Costituzione sia così piena di radici giudaico-cristiane, Sacconi risponde con una raffica anti-relativista e sostenendo che laddove c’è scetticismo non c’è sviluppo sostenibile e trionfano manipolazione genetica ed eutanasia.

Dunque controlli ospedalieri «rigorosissimi» sulla RU 486, per evitare la solitudine dalla donna, e sondino obbligatorio, sempre per la solitudine dei comatosi. Per tutto questo Chiesa e Pdl devono marciare insieme (e Papi darsi una regolata). L’ideologia di fondo è quella pétainista della Repubblica di Vichy (non ne ha ripreso proprio Tremonti il motto: “Dio, Patria e famiglia”?), ruralismo, lotta contro l’aborto e la speculazione bancaria, respingimento degli stranieri (les métèques), protezionismo. La struttura disseminata nordestina come modello industriale e il lavorismo produttivista di stampo leghista come etica –entrambi ormai resi marginali dal declino del fordismo. Di qui le velleitarie richieste di ridimensionare la banche, i settori avanzati e i grandi gruppi industriali. 

Il corrispettivo politico è l’asse PdL-Lega in furente contrapposizione a sindacato e sinistre. La Confindustria non ci sta e comincia a guardare ad altre soluzioni per il dopo-Berlusconi: un rapporto meno assatanato con il Pd, ormai indebolito e costretto a fare da ruota di scorta, interesse per l’Udc e soprattutto per Fini –cioè per un cattolicesimo pragmatico e una destra civilizzata, che se la ride del socialismo nazionale. Entrambe le correnti non aspettano altro che il ritiro di Berlusconi, il cui carisma non è più in grado di perpetuare il brillante amalgama degli anni scorsi fra tradizioni eterogenee e soprattutto di gestire la crisi. A giudicare dalle polemiche di questi giorni, non sarà facile né il ritiro né una ricomposizione. Di certo abbiamo solo la dissoluzione della sinistra (che rende possibile l’emersione dei contrasti strategici nella maggioranza) e la fine del sistema bipolare.

In ogni caso verrà fuori un sistema a geometria variabile con 4-5 schieramenti, in perfetta corrispondenza alla frammentazione multipolare del mondo dopo il declino dell’egemonismo americano. Sempre che non ci sia resistenza sociale. Ma ci sarà!