Kobane - Con le guerrigliere kurde che combattono l'Isis

Connivenza turca ed emergenza umanitaria raccontata da Jacques Beres, cofondatore di Medici senza Frontiere

9 / 10 / 2014


Jacques Berès, fondatore di Médécins Sans Frontières, racconta l’orrore appena tornato dal fronte di guerra sul confine turco-siriano in una conferenza stampa a Parigi nella sede della rivista La Règle du Jeu diretta dal filosofo Bernard Henry-Lévy :

«È da oltre quarant’anni che faccio questo mestiere. Ma ciò che ho visto in queste ultime settimane in Siria è peggio di qualunque cosa io abbia mai visto in tutta la mia carriera. Se l’Occidente non agisce in fretta sarà un genocidio». 

«La guerra in Siria è un orrore: ho visto corpi bruciati, fatti a pezzi, senza gambe, braccia o senza testa, di cui molti civili. Il mio lavoro, in due settimane di missione, è quasi derisorio. Ogni giorno riesco al massimo a fare 7 o 8 operazioni. Basta un bombardamento dei jihadisti dell’ISIS per provocare decine di feriti. Ogni giorno ci sono decine di questi attacchi».

Tra i guerriglieri morti o feriti per difendere il Rojava dalla barbarie delle orde del Califfo ci sono molti giovani e molte donne. «La percentuale delle donne che combatte nelle file dell’YPG/YPJ (Unità di Protezione Popolare) – racconta Berès - è molto alta. Almeno il 40% dei guerriglieri che ho operato in seguito a gravi ferite provocate da esplosioni, missili e bombe sono donne. Questa è una caratteristica unica nella regione. Le strutture della società sono laiche, il ruolo della donna qui è importante, a capo di ogni istituzione ci sono generalmente un uomo e una donna, una visione nettamente in contrasto con la misoginia tipica di queste zone del Medioriente e soprattutto che cozza con la visione integralista che vogliono imporre i seguaci del Califfo. Sono stato a un chilometro dal fronte di battaglia con l’ISIS. Ho visto molte donne guerrigliere e anche giovani respingere gli assalti dei jihadisti con armi modeste. I giovani sono armati di coraggio, spesso vengono dal Kurdistan turco per aiutare la popolazione a difendere le città dalla morsa dell’ISIS. Ma sono equipaggiati solo di vecchi kalashnikov».

E le armi promesse dall’Occidente? « Non le abbiamo viste – racconta Berès – abbiamo visto invece non solo guerriglieri ISIS ma addirittura carri armati transitare nella regione passando per il confine turco. La Turchia continua ad avere un atteggiamento più che ambiguo rispetto all’ISIS e ai Curdi di Siria. In ballo ci sono non solo interessi strategici ma anche economici».

Il Rojava, Kurdistan occidentale, è infatti anche una terra ricca di petrolio che attira le mire non solo dell’ISIS ma anche della Turchia. «In questa regione – spiega Berès – ci sono 1173 giacimenti di petrolio. La maggior parte di questi era a pieno regime prima dello scoppio della guerra. Basti sapere che il 60% del petrolio siriano proveniva da qui. Oggi sono fermi ma il potenziale energetico è altissimo. Per questo la regione, prima dello scoppio della guerra civile, era tra le più floride di tutta la Siria. Oggi continua ad accogliere tante minoranze. Qui ci sono moschee, sinagoghe. Se ISIS conquista il Kurdistan occidentale sarà la fine di tutto».

E Kobanê? «È oramai un’enclave. In questa regione è passato prima l’ESL (Esercito Siriano Libero), poi il Fronte Al Nusra, ora la città è assediata dall’ISIS. La frontiera è stata chiusa ermeticamente dalla Turchia che ha innalzato un muro di cemento armato alto 5 metri. Qui non passano né armi, né medicinali neanche un pacco di riso o un litro di latte. La Turchia fa ostruzionismo. I Curdi si difendono da soli sapendo di essere stretti in una morsa, con i soldati turchi da un lato e le orde di jihadisti dell’ISIS dall’altro. Sanno di non poter fuggire da nessuna parte. Una cosa è certa. Se la città di Kobanê cadrà nelle mani dell’ISIS la Turchia avrà una reponsabilità enorme nel genocidio che ne seguirà».