La promozione di Troiani e Gava: come lo Stato rivendica le violenze di Genova

7 / 11 / 2020

Ci sono fatti con i quali il nostro Paese non riesce a fare i conti. O meglio, ci sono fatti per i quali lo Stato italiano ha deciso di fare i conti solo nell’ottica di proteggere se stesso, di autoassolversi tentando in ogni modo la strada della mistificazione. Il caso di Genova 2001 rappresenta un paradigma in tal senso: se da un lato è vivida una memoria collettiva in grado di traghettare nel presente lo “spirito di Genova”, dall’altro appare sempre più chiaro che quella “macelleria messicana” non abbia rappresentato un unicum, ma sia stato un passaggio di fase nella gestione dell’ordine pubblico e nel contenimento dei movimenti sociali in Italia, e non solo.

Ha fatto molto discutere in questi giorni la promozione di due funzionari di polizia annunciata pochi giorni fa dalla ministra dell’Interno Lamorgese e dal capo della polizia Franco Gabrielli. Si tratta di Pietro Troiani e Salvatore Gava, che per i fatti di Genova sono stati condannati in via definitiva a tre anni e otto mesi, oltre ad aver ottenuto l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Il primo per aver introdotto due bombe molotov all'interno della scuola Diaz, il secondo per averne falsamente attestato il rinvenimento. Oltre alla condanna penale specifica, va sempre ricordato che per il massacro avvenuto alla Diaz lo Stato Italiano è stato condannato dalla CEDU (la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo), in una sentenza che parlava apertamente di violazione, per mano della Polizia italiana, dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Articolo relativo al “divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti”.

Uno sfregio, dunque. Un tentativo di riaprire la ferita di quei giorni di “democrazia sospesa”. E non sarebbe assolutamente la prima volta, perché la lista di agenti e funzionari delle forze dell’ordine protagonisti delle violenze di Genova che hanno fatto carriera è davvero lunga. Il caso più emblematico è senza dubbio quello di Gianni De Gennaro, capo della polizia nel luglio 2001, processato e assolto in una sentenza molto controversa per l’irruzione alla Diaz[1], ma che nel corso degli anni  ha scalato i vertici degli apparati statali diventando prima sottosegretario durante il governo Monti e poi designato alla presidenza di Finmeccanica durante il governo Letta. Grida vendetta anche la nomina, avvenuta nel dicembre 2017 e avallata questa volta da Marco Minniti, di Gilberto Caldarozzi alla vicepresidenza della Direzione Investigativa Antimafia; Caldarozzi è stato condannato a tre anni e otto mesi perché mise la firma nei verbali che attestavano l'esistenza di prove fasulle usate all'interno della Diaz. Carriere d’oro anche per Francesco Gratteri, diventato responsabile della Direzione anticrimine centrale, e Vincenzo Canterini, promosso a Questore: entrambi sono stati condannati in via definitiva sempre per i fatti della Diaz.

La lista è ancora lunga, ma ci fermiamo qua, provando a fare una considerazione conclusiva. Proprio in questa lunga lista si scorge qualcosa che va al di là dell’autoassoluzione o del riconoscimento della violenza poliziesca come una sorta di merito professionale. Questi scatti di carriera testimoniamo che lo Stato italiano ha ampiamente rivendicato l’operato di Genova sul piano politico, assorbendolo di fatto nel DNA dell’ordine post-democratico che vede la sua gestazione proprio in quei giorni.

Probabilmente, e la storia si appresta in questo ad essere realmente magistra vitae, qui ci troviamo di fronte a qualcosa che va oltre un cambio di passo nella gestione di piazza. Qui ci troviamo di fronte a un cambio di postura del potere che agisce su più livelli e che si autoalimenta proprio grazie a personaggi come Troiani e Gava che diventano vice-questori nel pieno di una pandemia. Come se la “normalità” da salvaguardare sia quella di lavare con lodi e promozioni il sangue ancora spalmato sui muri della Diaz.



[1]Nell'aprile 2008 viene richiesto il rinvio a giudizio per De Gennaro per istigazione alla falsa testimonianza e ill 1º luglio 2009 il pm chiede che gli siano attribuiti due anni di reclusione per pressioni sull'ex questore di Genova Francesco Colucci affinché dichiarasse il falso sugli eventi alla scuola Diaz. L'8 ottobre 2009 nella sentenza di 1º grado, De Gennaro viene assolto, ma il 17 giugno 2010 viene condannato in appello ad un anno e quattro mesi di reclusione per istigazione alla falsa testimonianza nei confronti dell'ex questore. Il 23 novembre 2011 viene infine assolto in quanto "non c'erano prove sufficienti di colpevolezza", ma poco più di un anno dopo Francesco Colucci è però condannato a due anni e otto mesi per falsa testimonianza in favore di De Gennaro, lasciando molte incongruenze relative al processo nei confronti dell’ex capo della polizia.