L'Europa della crisi

10 / 6 / 2009

Cosa consegna alla riflessione dei movimenti la tornata elettorale del 6-7 giugno? Trovano o meno conferma i ragionamenti che si sono accumulati in questi anni sulla crisi della rappresentanza politica? Due domande secche, alle quali è possibile replicare, per ora, in modo parziale, ma non per questo indeciso.
In primo luogo occorre sottolineare che la crisi porta con se un pesante spostamento del voto a destra. Protezionismo e nuovi sovranismi sembrano definire il lessico politico del presente, laddove la globalizzazione ha tradito il sogno di prosperità e di sviluppo. In generale il voto per le destre è, seppur in modo diversificato, un voto euroscettico che guarda con ostilità e con freddezza alla nuova stagione multilaterale inaugurata dalla politica obamiana. Ad essere rilanciato piuttosto è il ruolo degli Stati, la loro capacità di gestire la crisi e le nuove povertà, le frontiere e la sicurezza. Non c'è dubbio, il paradigma sicuritario è ben radicato nell'immaginario di milioni di persone, interpreta al meglio le loro paure, stimola con forza il loro risentimento. Il processo costituente europeo invece non è minimamente entrato nel dibattito pre-elettorale, tanto e tale il disinteresse sociale per la questione. Il desiderio di un'Europa in grado di polverizzare nazionalismi e piccole patrie e di promuovere welfare universale e cittadinanza aperta è stato sostituito dall'idea di un'Europa degli Stati, dura con i migranti e disomogenea nei diritti.
L'affermazione non solo in Italia (basta pensare all'Austria o all'Olanda) di forze razziste e xenofobe ne è conferma piena.
La partita è scritta una volta per tutte? Un pacato «ottimismo della ragione» ci suggerisce di pensarla diversamente. Stiamo solo all'inizio della crisi e non è per nulla scontato che le destre riescano a rispondere alle domande di sicurezza sociale che, ad adesso, ne hanno fatto la fortuna elettorale. Una crisi sempre più profonda sul terreno del reddito e del lavoro, dei diritti e della cittadinanza, potrebbe avere effetti sociali tutt'altro che prevedibile e lineari. La verifica come al solito la faranno le lotte, ma assumere questa larghezza di ragionamento sulla tendenza ci aiuta a non cedere a letture catastrofiste o, peggio, ad ondeggiamenti depressivi. Mai come nella crisi emerge in primo piano il carattere relazionale, striato e dunque «polemico» del sociale: il voto non ci restituisce alcuna sostanzialità unitaria, semmai ci impone di fare i conti con le passione tristi che innervano la composizione sociale e produttiva. Il sostegno alle destre o alle forze politiche come la Lega, infatti, ci parla della forza di modelli politici divisionali e partitivi, la retorica razzista, in questo senso, è materialmente radicata dentro la rottura dei modelli universalistici. Nello stesso tempo questo “essere di parte” può con estrema facilità cambiare di segno, incontrare desideri e spinte di altra natura: l'importante, per i movimenti, è affrontare la sfida a questo livello, senza replicare alle mutazione in corso con sdegno moralistico o con debolezza remissiva.
Tornando all'Europa non può non essere preso in considerazione un altro elemento: la crisi delle sinistre, da quella socialista a quelle populiste o radicali. I dati francesi o tedeschi o italiani parlano molto chiaro, le forze che con più insistenza si richiamano alle tradizioni politiche del novecento perdono consenso ovunque, salvo in Grecia. La lista anticapitalista francese, ad esempio, per molto tempo al centro di una significativa attenzione mediatica, ottiene un risultato modesto, fisiologico per la politica francese. Ancora in Francia, mentre i socialisti crollano, si afferma la nuova lista ecologista di Cohn-Bendit, lista che più di altre tiene assieme un discorso forte sull'economia della conoscenza e sul new-deal ecologico, senza disdegnare concessioni ampie al realismo bellicista (do you remember Kosovo?).
La crisi in sostanza continua a proporci la fine dalla sinistra, della sua capacità di successo nella nuova composizione di classe, laddove emergono inaspettati fenomeni come quello dei Pirati svedesi o laddove la domanda di opposizione e di rottura si mescola con tensioni forcaiole e giustizialiste (è il caso dell'Idv in Italia).
Si è esaurita, infine, la possibilità di tenere assieme conflitto, istanze radicali e consenso? Indubbiamente si è esaurito una volta per tutte lo spazio tradizionale di questa relazione, l'astensionismo diffuso, tutt'altro che marginale, ne è prova evidente.
La ricerca dell'indipendenza però deve fare i conti con smottamenti continui e cambiamenti di rotta, nella consapevolezza che la catastrofe economica è solo all'inizio e che con forza continueranno a mutare coordinate e orientamenti. Per i movimenti cogliere appieno la sfida significa situarsi in questo passaggio, con il coraggio di sperimentare e la cautela dell'intelligenza. Rifuggire la coppia euforia e depressione è il modo migliore di mettere a verifica tensioni e virtualità che esistono e attraversano la società della crisi.


* Dottorando di ricerca in Filosofia politica