Dal botta e risposta tra la Polizia di Stato e Roberto Saviano su Twitter alle dichiarazioni di Franco Gabrielli, dal continuo uso della forza nei confronti dei contestatori di Salvini alla sempre maggiore libertà d’azione in materia di sgomberi, le forze dell’ordine vanno acquisendo un ruolo politico e pubblico finora sconosciuto. Questo è l’effetto delle politiche autoritarie dell’attuale governo, ma anche il frutto di un graduale inviluppo dello Stato di diritto, in Italia e in Europa. Donatella Della Porta, professoressa di Sociologia Politica alla Scuola Normale Superiore di Firenze e direttrice del centro di ricerca sui movimenti sociali COSMOS, risponde ad alcune domande sulla questione fattele da Lettera43.
DOMANDA. Come giudica quel tweet in cui la
polizia di Stato ha replicato a Saviano scrivendo «che pena leggere commenti
affrettati e ingenerosi per dispute politiche o per regolare conti personali»?
RISPOSTA. Seppur nel linguaggio dei social
media, non è un tipo di risposta che normalmente una burocrazia dà: entra nel
dialogo e nel commento politico.
Sarebbe potuto succedere altrove?
Una reazione così non la potrei immaginare in altri Paesi europei.
Un’istituzione che non dovrebbe essere di parte ha utilizzato un linguaggio
partigiano, per di più attaccando una persona che è già nel mirino della
criminalità organizzata.
C’è da preoccuparsi?
Un po’ sì, perché la polizia di Stato è molto eterogenea, con posizioni diverse
anche rispetto alla democrazia. Ci sono forti tendenze corporative e
conservatrici. Mentre arrivano indicazioni politiche di intervento duro e di
radicalizzazione del conflitto. Sono segnali allarmanti.
Quanto contribuisce il comportamento di
Salvini a peggiorare il quadro?
C’è una tendenza di lungo periodo anche pre-Salvini nell’orientare gli
interventi della polizia in una direzione rigida e dura e non di dissuasione o
di contenimento.
Per esempio?
Anche durante i governi a guida Pd era iniziata una escalation di repressione
netta nei confronti di alcuni tipi di azioni di protesta politica o di
manifestazioni di solidarietà verso i migranti.
Ma un ministro che indossa la divisa
della polizia e presta i vestiti alla fidanzata non si era mai
visto.
Sono messaggi. Nel suo stile di comunicazione è un modo per dare sostegno alle
ali estreme. Come i discorsi sulla chiusura dei negozi di marijuana legale o
nel caso del Congresso della famiglia di Verona: cerca l’appoggio dalle
frange radicali. Tipo quando si fa vedere con tifosi violenti di calcio
sottoposti a Daspo. Ma è una retorica contraddittoria.
In che senso?
Da un lato si dice «legge e ordine» e dall’altro «legge e ordine sono io». Non
tutti i tipi di reati vengono stigmatizzati da Salvini. Penso per esempio alla
vicenda Siri. O a quando interviene a urne aperte in campagna elettorale. Fa
passare un concetto chiaro: faccio quello che voglio al di là delle regole
democratiche.
La percezione che ha l’opinione pubblica della
polizia è peggiorata?
Già nel passato, a lungo è stata considerata polizia di parte, e anche dal
punto di vista politico è stata utilizzata come polizia del re, e non del
cittadino.
Poi cosa è accaduto?
Negli Anni 80 e 90 c’è stata una legittimazione democratica e una crescita di
fiducia verso la polizia che aveva conquistato un’immagine più congruente col
ruolo che doveva assumere.
Ma sono arrivati il G8 di Genova del 2001 e la scuola
Diaz.
Anche dopo quei fatti c’era stato un recupero di immagine. Ci fu una
riflessione interna sul rischio che un clima di sfiducia poteva avere sul
lavoro di tutti i giorni.
E adesso?
Salvini accentua una polarizzazione che dentro la polizia porta acqua al mulino
dei sindacati più corporativi. Esistono tante sigle in competizione l’una con
l’altra che cercano di avere la meglio anche adoperando un linguaggio radicale
per difendere la polizia da qualsiasi tipo di critica.
Con Roberto Maroni al Viminale era diverso?
Pur essendo stato il primo ministro della Lega a capo della polizia, non aveva
spinto verso la polarizzazione. Salvini non dice «sono il ministro di tutta la
polizia», ma di “quella” polizia. La parte meno convinta del ruolo democratico
delle forze dell’ordine e più disposta a seguire le indicazioni politiche del
ministero.