Modello Pomigliano

14 / 6 / 2010

Mentre Berlusconi viaggia in Bulgaria e Libia, per abbeverarsi alle sorgenti della democrazia, il vero capo del governo, Tremonti, filosofeggia come al solito, quando è in imbarazzo politico. Da notare il suo sistematico prendere due parti in commedia: quando comizia insieme alla Lega, ostenta di essere un ignorante e di non leggere libri, quando si esibisce alle platee sindacali fa il professore, cita Hobbes e Kafka, disquisisce di Costituzione. In entrambi i casi sorvola sull’economia (di cui è veramente ignorante) e soprattutto sulle sue trascorse previsioni sballate: (a crisi non c’è, la crisi l’abbiamo prevenuta blindando i nostri conti, non ci sarà nessuna finanziaria per il 2010, ma solo un ritocchino nel 2011, ecc. ecc. Stavolta, parlando alla festa Cisl di Levico Terme, l’astuto bugiardo (il Berluska, al confronto, è solo uno sbruffone da Bar Sport) rilancia, come se nulla fosse la deregulation anno ’80. «L'idea è semplice: aggiungere nell'art. 41 della Costituzione il principio del riconoscimento della responsabilità alla persona. Poi la segnalazione di inizio attività con l'autocertificazione e l'idea dei controlli solo ex post e, infine, il riconoscimento della buona fede. Questo deve essere fatto da subito per legge ordinaria e questi cinque principi devono essere blindati con legge costituzionale perché nel nostro sistema, che è bloccato, se non cambi la Costituzione si blocca tutto». Dopo le solite sparate sulle troppe leggi, regole, lacci e lacciuoli di craxiana memoria, il commercialista di Sondrio ha raddoppiato il carico sostenendo che la modifica della Costituzione «non può essere limitata all'art. 41 "ma estesa anche all'art. 118, che è la piramide dei rapporti tra Stato, Regioni e Comuni, introducendo in nome della responsabilità dell'individuo una diversa articolazione della sussidiarietà». Il tutto ribadito in un’intervista al Sole 24 Ore in cui si afferma che tali riforme costituzionali sono ben più urgenti della bicamerale o di altri interventi sull’organizzazione dei poteri.

Sempre alla complice ed estasiata Cisl, invece, il Nostro dichiara con improbabile sicumera: «Quest'anno è l'ultimo in cui si faranno Finanziarie nazionali. Le politiche economiche si faranno nello stesso tempo dell'anno, nello stesso modo tutti insieme. Non ci sarà più un Paese che fa le sue scelte diverse dagli altri». Viva la devoluzione dei poteri dalle nazioni all’Europa. Che purtroppo ci ha imposto e imporrà sacrifici, mentre noi saremmo tanto generosi. Come uscire dalla crisi? Grande battuta di filosofia della storia: «E' finita l'epoca del conflitto tra capitale e lavoro, non ho dubbi» –wow!– «la via giusta è quella dell'economia sociale di mercato, che è la via di Pomigliano», ha detto il super-ministro, accolto dai cislini con frequenti battiti di mani e ricambiati con tanto di citazione sturziana, dichiarandosi «onorato di parlare davanti a una platea di uomini liberi e forti ... non di uomini che sono forti ma non sono liberi, non sono liberi da pregiudizi, da ideologie, da limiti che credo debbano essere superati». Mancanza di chiarezza non gli si può certo imputare, se il modello di economia sociale di mercato è il ricatto “polacco” di Marchionne su Pomigliano e l’adesione servile del sindacato, tanto elogiata anche da Sacconi, sta appieno nella logica degli accordi separati, della nuova conventio ad excludendum nei confronti della Cgil e soprattutto della Fiom.

Quel che conta è l’attacco al costo del lavoro e alla tenuta dell’organizzazione sindacale in fabbrica, la distruzione delle garanzie che consentono di contrattare il prezzo della forza lavoro, in fase sia di crisi che di ripresa. Una ripetizione degli anni ’50, che infatti vede di nuovo il protagonismo aziendalista della Cisl e perfino dei sindacati gialli, la Fismic ex-Sida e la Ugl. Nel contesto però, molto più stringente, della de-localizzazione reale e sbandierata. Non senza una nota comica: mentre Tremonti e Sacconi prendono per modello Marchionne (che se lo può permettere, perché ormai la Fiat si è trasferita fuori d’Italia), Cicchitto attacca Montezemolo, velleitario proponente di un ingresso sul ring politico di esponenti della società civile (cioè industriale) di essere un uomo Fiat e di non potere dare lezioni di democrazia e ancora Tremonti lo accusa davanti ai Giovani Imprenditori della Confindustria di voler sostituire il governo dei “migliori” a quello degli “eletti”. Sembra uno dei dialoghi della Repubblica platonica, invece è solo un pollaio, un elzeviro della Repubblica scalfariana e discretamente filo-tremontiana.

Intanto Enrico Letta medita di ricandidare Bersani alla primarie del 2012, soprattutto di arrivare al 2012 senza elezioni anticipate!, auspicando per il bravo Vendola il ruolo di presidiare la sinistra, per fermare il grillismo e magari altri più sovversivi movimenti: «può essere il nuovo Bertinotti. Ma se fa lui il candidato premier, la vedo complicata». Esattamente il contrario di quello che potremmo auspicare e una brillante ricostruzione di come, in tutto l’arco del decennio, il Pd ha spinto gli utili idioti a massacrare ogni alternativa a sinistra e poi a suicidarsi. Forse Nichi è più furbo o almeno trarrà profitto dal destino del suo precursore e mentore. In politica, mollare i maestri risulta spesso utile. Fra l’altro, se alla sinistra parlamentare riesce il miracolo di tenere in piedi Berlusconi, a spese dell’Italia, nel 2012 riavremo la tenzone degli zombies, Bersani contro Veltroni con D’Alema a sgambettare entrambi. E nel frattempo avranno azzoppato con qualche trucco il papa straniero, anche a costo di far saltare il governo della Puglia. Altro che presidio a sinistra!

Nella logica dell’ultimo congresso della Cgil e nell’attesa di entrare probabilmente nel gruppo dirigente del Pd anche Epifani ha giocato le sue carte. Chiudendo il 12 giugno la manifestazione dei lavoratori del pubblico impiego e della Flc, ha ammesso che una manovra era necessaria, ma non questa manovra. Che i sacrifici sono necessari, però diversamente distribuiti. Insomma, ha accettato la logica della risposta recessiva alla crisi, non diversamente da tutti i paesi europei, respingendo solo la particolare iniquità di quella italiana, criticando il governo per essersi mosso tardi dopo aver negato la gravità della situazione per vincere le elezioni ed evocando i soliti fantomatici altri soggetti da cui attingere per il ripianamento del deficit. Non siamo neanche alla demagogia neo-keynesiana, ma al semplice rimpianto della concertazione e degli accordi dell’Eur del 1993! Il giorno successivo il segretario Cgil uscente è andato ad ascoltare Tremonti a Levico e si è differenziato dalla sparata del ministro su Pomigliano, collocandosi a mezza strada fra lui e la Fiom (sì ai turni, no al metodo e alla revisione esemplare dei diritti). Stiamo proprio freschi.

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