Le cronache relative alla bagarre politica delle primarie nel Centrosinistra a Napoli ripropongono agli occhi di quelle persone più attente ai processi politici reali che alla dinamica scandalistica in sé, la questione di un ceto politico e un sistema partitico che si portano dietro ancora il retaggio di anni di un clientelismo funzionale non certo al governo della metropoli ma al profitto privato di chi fa parte dei ristretti giri di potere locale nonché alla struttura stessa del sistema-paese italiano, pur sembrando apparentemente dispositivi del tutto autoreferenziali.

Napoli e primarie : il reverbero clientelare ed il bisogno di andare oltre

di Leandro Sgueglia*

31 / 1 / 2011

I ceti politici locali nella storia del Mezzogiorno: mediatori e garantiti

Nel sud dell'Italia la molteplice relazione tra la politica nazionale (partitica, governativa e parlamentare), quella locale (partitica e amministrativa ma anche parlamentare relativamente all'agire dei deputati di collegio), gli altri potentati locali (imprenditoriali, finanziari e talvolta pure criminali) e il resto della popolazione, dal dopoguerra in poi è sempre stata caratterizzata da un meccanismo che possiamo definire a “catena neoclientelare” ovvero basata su un intreccio tra rapporti orientati ad una nuova forma di clientelismo, in continuità ma nel segno di una forte trasformazione sostanziale rispetto a quello tipico della fase storica che va dall'unità  fino al periodo a cavallo tra le due guerre. Il primo anello di questa catena è proprio quello che lega da un lato il fronte governo-parlamento, come organi centrali dello Stato, nonché le segreterie nazionali dei partiti e, dall'altro, i deputati legati indissolubilmente al proprio collegio territoriale di provenienza, gli amministratori e i maggiorenti delle sedi regionali/provinciali/cittadine di partito, che assumono tutti insieme il ruolo di «mediatori» con le “distanti” popolazioni meridionali nel sistema politico generale del paese, in cambio di una autonoma agibilità politica finalizzata sempre più spesso a scopi privati e all'esercizio di potere. È solo un ulteriore livello quindi quello del link clientelare tra il politico locale e il suo elettorato. Per di più, in una città che oggi tende a forme e dimensioni metropolitane o in cui i potentati socio-economici esprimono tendenze molto avanzate, come possono essere Napoli o Palermo ma oramai anche alcuni centri calabresi, il clientelismo assume le caratteristiche di un rapporto tra ceti politici autoctoni e lobbies territoriali, piuttosto che basarsi esclusivamente sul rapporto di scambio tra l'uomo di politica e singoli o gruppetti cittadini come accadeva nelle ottocentesche e primo-novecentesche forme clientelari nel meridione italiano e come accade forse ancora oggi ma presso le realtà urbane o semi-rurali più piccole e provinciali di questo stesso sud.

Dunque, il fatto che proprio nell'impianto del sistema-paese italiano ai ceti politici locali delle regioni meridionali venga storicamente riconosciuto il ruolo di «mediatori» in cambio di autonoma agibilità politica, significa in termini più concreti che questi medesimi hanno garantito negli anni e garantiscono tutt'ora un rapporto, fondamentalmente elettorale, con la base sociale in cambio tanto di una serie di risorse per dare risposte ai votanti, spesso pure solo contentini,  in termini di piccoli interventi infrastrutturali e soprattutto di liquidità e lavoro, quanto di un'attivissima copertura politica (e non semplicemente con un passivo laissez-faire) per la gestione del loro potere locale in termini di influenza e controllo ma anche e soprattutto di ambiti di profitto personale e lobbistico. Un meccanismo di questo tipo non ha potuto che generare istantaneamente mostri che negli anni son diventati piaghe letali per la vita politica di regioni e città a sud, rivelandosi un sistema del tutto aperto all'incameramento di processi di corruzione e malaffare se non già strutturalmente viziato, soprattutto quando nel caso della D.C. negli anni settante/ottanta e del fronte Margherita-P.D.S./D.S. nei novanta, il ceto politico di alcune grandi realtà meridionali – e qui ritorna a bomba il caso di Napoli e della Campania – si è accreditato (proprio facendo leva su quelle che diciamo fette, ma possiamo chiamarli anche feudi, di elettorato cooptato sul proprio territorio) anche come componente nella centrale direzionale del  potere partitico a livello nazionale (vedi i casi De Mita, Pomicino, Mastella, Bassolino etc...). Stiamo trattando quindi di situazioni ossificate attraverso la storia. Tuttavia proprio in base a quanto scritto sopra, non si tratta di una dinamica legata ad una mitologica indole antropologica delle realtà popolari meridionali ed in particolare di quella campana e napoletana (ipoteticamente predisposte, per motivi ambientali o culturali, alla corruzione e al «familismo amorale») - come potrebbe scrivere qualche adepta più o meno consapevole delle razziste scuole della sociologia rudimentale di fine-ottocento/inizio-novecento - ma di un meccanismo pienamente integrato all'equilibrio sistemico dei poteri italiani su scala trans-territoriale e peculiarmente nella strutturazione del conseguente rapporto di subalternità sociale e geopolitica che la maggior parte degli abitanti dei sud dell'Italia hanno scontato e scontano per opera di un potere che si articola tra i centri nazionali (spesso fisicamente siti tra la capitale e il settentrione, ma fattivamente a-spaziali) e i nodi locali (per i quali la subalternità meridionale è un'opportunità per garantirsi e conservare il proprio status e i propri interessi privati). Ovviamente la genesi storica non assolve o giustifica niente e nessuno nell'ancora più marcia attualità, ma vuole sostanziare spiegazioni oltre il feticcio dell'evento e dello scandalismo.

Dalla storia alla più struggente attualità: il caso delle primarie 2011 a Napoli

È di questa settimana appena trascorsa lo scandalo, con relative polemiche, riguardo all'esito delle primarie del Centrosinistra a Napoli. La partecipazione è significativa (superando di circa 10.000 unità gli sperati 35.000 votanti corrispondenti al record delle primarie che elessero Prodi leader del Centrosinistra nel 2006) ma le subitanee accuse di brogli, inizialmente generiche e poi sempre più rivolte verso quello che risulterà il vincitore, ovvero il bassoliniano Andrea Cozzolino (eurodeputato del P.D. e già assessore alle politiche produttive nell'ultimo mandato del centrosinistra al governo della regione Campania), spostano opportunamente l'attenzione dall'apologia delle primarie come pratica ritenuta di grande innovazione democratica al disastro politico, molto più vero, che sta oltre la coltre ma che comunque non ha stentato negli ultimi anni a venire sovente in evidenza.

La vittoria di Cozzolino (16.364 voti, pari al 37% dei consensi) spiazza il favorito in partenza, Umberto Ranieri - 15.134 preferenze - volto riconosciuto a livello nazionale, di estrazione migliorista e sostenitore di Letta all'ultimo congresso ma vicino a tutta l'area che va oltre i dalemiani ed in particolare all'entourage che è sempre stato intorno all'attuale Presidente della Reubblica, Giorgio Napolitano; già sottosegretario agli esteri e attualmente responsabile per il mezzogiorno del P.D. , seppur in gioventù segretario provinciale del P.C.I. napoletano è politicamente lontano da un po' rispetto al capoluogo partenopeo, anche se conservando un forte legame elettorale con determinati quartieri della città. Resta lontano dalla vetta della competizione l'ex-bassoliano Nicola Oddati (5.388 voti), ora afferente all'attuale sinistra interna al P.D. partenopeo, rimanendo ultimo e superando solo il candidato dei Verdi tra l'altro ritiratosi pochi giorni prima delle votazioni. Un risultato-bandiera invece per l'outsider Libero Mancuso( 6.995 voti con una percentuale del 15,8%), avvocato penalista e fratello del Procuratore di Nola Paolo (non certo amico dei movimenti), candidato da S.E.L. e Federazione della Sinistra sperando l'effetto-Pisapia, senza rendersi conto forse che si trattava di “stoffe” differenti a prescindere dalla diversità del contesto politico napoletano da quello milanese.

Le polemiche relative alla regolarità del voto sono partite ancora con le votazioni in corso e da parte di tutti i quattro candidati, denunciando soprattutto l'anomala presenza di associazioni, comitati e cittadini che notoriamente fanno riferimento al Centrodestra o in generale di personaggi estranei al Centrosinistra che sembra abbiano condizionato le primarie portando a votare persone in cambio di banconote. Il giorno dopo tutti questi sospetti si sono rafforzati e si è infittito pure il loro novero con altri  aneddoti davvero originali come quello delle lunghe file di cinesi sorprendentemente in attesa di accedere alle urne (come testimoniano video in giro per il web).

Oltre l'illusione di una Rinascita: il declino fino al riverbero clientelare

Il fatto che abbia vinto Cozzolino ha trasportato lui al centro della polemiche ma, visto l'andamento generale della giornata di primarie e le dinamiche già dei giorni precedenti, nonché presupponendo l'endemico sistema politico locale, poteva ritrovarsi nella medesima situazione chiunque avrebbe vinto, anche perché purtroppo di vere primule non ce ne sono state tra i candidati a questa tornata di primarie napoletane. È anche vero che evidentemente proprio Cozzolino sarà stato quello che, tra i candidati,  ha saputo giocarsi la partita fino in fondo ma ovviamente in quelli che abbiamo detto essere i termini delle medesime dinamiche partitiche di Napoli e della Campania , ma generalizzabili per tutto il sud da certi punti di vista.

Di fatti, il nuovo clientelismo meridionale nell'ambito dell'Italia unita e repubblicana, dandosi in quanto tale nei primi anni dopo la liberazione dal regime nazifascista, è riuscito a persistere e non incontrando tra l'altro alcuna ostruzione fattiva dall'alto ma semmai opposizioni dal basso che comunque non sono riuscite a vincere. Così nel 2011 il caso delle primarie del centrosinistra ripropone lo stesso sfondo centenario, quello rievocato nella parte iniziale di questo testo.

Gli anni novanta, con la “rinascita bassoliniana” del 1993 se non altro avevano riacceso un certo spirito civico, pur se fatto sostanzialmente di astratto orgoglio e banalmente del rilancio urbanistico solo di alcune parti della città, pezzi di centro storico precedentemente in totale degrado (Piazza del Plebiscito e Piazza Bellini per esempio erano diventati enormi parcheggi abusivi): così sembrò che proprio un nuovo gruppo dirigente si stesse per mettere permanentemente a disposizione della città e del Centrosinistra, pur senza manifestare chissà quale eccedenza rispetto agli schemi sistemici; ad essere surclassata era intanto proprio quella dirigenza migliorista del P.C.I. , di cui prendeva parte già lo stesso Ranieri, che era stata coinvolta anche in questioni di tangenti. Tuttavia il meccanismo storico della macchina politica locale, mai stata estranea come si è visto ai Centrosinistra partenopei (dal P.S.I. e dalla sinistra democristiana al P.C.I. nella componente migliorista e non solo), non ha tardato a riemergere pure tra le nuove fila di amministratori, in seno a ciò che stava sembrando il nuovo venuto da sinistra e così si è generato un quindicennio di declino con pastocchie amministrative, errori politici davvero grossolani dovuti spesso alla cattiva fede di chi procedeva per favoritismi, scatafasci dei settori pubblici, emergenze rifiuti e in fine il pasticcio delle primarie del 2011. Tutto ciò ha espresso ed esprime ancora un'impasse civile che ha lasciato spazio oltre che al degrado sociale, all'ascesa di un Centrodestra sia come dis-modello culturale che come forza di governo prima alla Provincia e poi alla Regione, rischiando ora l'avvento dello stesso pure al Comune, data l'ennesima macelleria politica di questi ultimi giorni: un Centrodestra che riesce ad essere comunque l'alternativa peggiore e democraticamente più pericolosa, rappresentando sia un innalzamento del livello di collusioni e malaffare  – il P.D.L. in Campania è dominio dei vari Cosentino - nonché di totale incapacità governativa - vedi il blocco in cui si trova la Regione sotto l'amministrazione di Caldoro - e una maggiore spinta autoritaria nella gestione delle relazioni cittadine e degli spazi urbani, con il rafforzamento della repressione dei movimenti, processo già in corso con l'azione congiunta tra Regione e Questura, e in un'ultima analisi pure con possibili sponde a gruppetti di neofascisti, residuali ma capaci di fare lobbying (vedi Casapound con la giunta-Alemanno) ed aggiungere un elemento di problematicità in più nel tessuto civile di una città che già ha tanti punti critici.

Nuove prospettive possibili

Dopo la bagarre sulle primarie, il Partito Democratico ha commissariato la sua federazione napoletana, Ranieri si appella al comitato dei garanti per impugnare la vittoria di Cozzolino ma è contrario al commissariamento, S.E.L. si dice certa che, nonostante le presunte irregolarità, non è il caso di delegittimare le primarie quanto piuttosto il P.D. partenopeo, sottolineando intanto il valore e l'integrità del proprio candidato e dichiarandosi pronta pure a rifare le consultazioni.

Dal punto di vista di chi, invece, lotta e produce alternativa politica dal basso in termini di opposizione al malgoverno e alle ingiustizie sociali ma anche di relazione comunitaria, militanza per un reale protagonismo territoriale, la questione democratica non può che prescindere dal semplice rito formale delle primarie. Di qui il fatto che, senza un vero processo di profondo risveglio civile di Napoli e della sua area metropolitana tramite l'esautoramento dei vecchi ceti dirigenti ed un maggior coinvolgimento nella fase decisionale della base reale della sua popolazione, non si crea alcuna rottura col vecchio e non si prospetta il nuovo: così pure le votazioni per scegliere il candidato sindaco di una coalizione vengono ovviamente travolte da dinamiche “politiciste” e ancor peggio da un clima di faida se non da degenerazioni nella corruzione e nel palesarsi più crudo del clientelismo. Chi può dare un contributo da Sindaco alla resurrezione di una realtà cittadina come Napoli, partendo da una migliore valorizzazione delle sue potenzialità oltre che dalla guerra ai suoi virus endemici, dovrebbe cominciare da un lato dal contatto con la nuda vita della città, pescandone le esigenze più profonde dalle viscere urbane, ma da un altro lato anche dalla interazione con i fronti di esperienze politiche caratterizzate dall'autogestione comunitaria e dal basso del collettivo tramite pratiche solidali e di comune politico, che hanno coinvolto in questo ultimo decennio di vita metropolitana sia i movimenti sociali  - quelli che comprendono dagli spazi autogestiti ai disoccupati, dai comitati in difesa della salute e dell’ambiente ai collettivi autorganizzati di studenti e precari fino alle forme migliori di associazionismo, sindacalismo e cooperativismo - che i più semplici abitanti, tutti collettivamente motivati dalla volontà di cercare una strada autonoma per la soddisfazione dei propri bisogni e la realizzazione dei propri desideri,  data l'evidente insufficienza delle istituzioni pubbliche.

 

* Attivista, Laboratorio  Insurgencia - Napoli