Un nuovo caso Zaki? L'arresto arbitrario del ricercatore italo-palestinese Khaled El Qaisi

15 / 9 / 2023

Se sei un cittadino palestinese, la tua unica colpa sembra essere quella di esistere. È il caso di Khaled El Qaisi, ricercatore universitario italiano di origine palestinese, arrestato lo scorso 31 agosto dalle autorità israeliane mentre rientrava in Italia con la famiglia dopo aver trascorso le vacanze nei Territori Occupati.

Da allora, Khaled è detenuto in Israele senza che siano state formalizzate accuse specifiche nei suoi confronti. Le autorità israeliane continuano a mantenere il silenzio, nonostante la crescente mobilitazione internazionale - soprattutto in Italia - per chiedere il rilascio del ricercatore.

L’unica certezza è che Khaled El Qaisi è stato arrestato e privato della libertà per il solo fatto di essere palestinese. Una palese violazione dei diritti umani che rischia di trasformare il caso in un “nuovo Zaki”.

La detenzione di Khaled El Qaisi è stata prolungata nonostante la totale mancanza di accuse formali e trasparenza del caso. Le autorità italiane sono state finora incapaci di ottenere informazioni sullo stato di salute psicofisica del ricercatore o sulle motivazioni del suo arresto da parte di Israele, nonostante El Qaisi sia un cittadino italiano.

L’assenza di un’efficace pressione diplomatica da parte dell’Italia rischia di prolungare ulteriormente la detenzione ingiustificata di Khaled El Qaisi. È necessaria una mobilitazione ancora più ampia dell’opinione pubblica italiana per chiedere con forza il rilascio immediato del ricercatore e l’intervento del governo a tutela dei diritti di un suo cittadino. La condizione di privilegio, se così vogliamo chiamarlo, di Khaled in quanto cittadino italiano rispetto agli altri 11000 palestinesi in detenzione amministrativa nelle carceri israeliane, di cui quasi 400 minorenni, potrebbe squarciare un velo – almeno nell’opinione pubblica e tra chi da queste parti non si è mai posto il problema dell’apartheid israeliana ai danni dei palestinesi- su questo strumento di repressione e tortura utilizzato dalla “più grande democrazia del Medio Oriente”?

Israele è noto per la sua politica di detenzione amministrativa nei confronti dei palestinesi, che viene utilizzata come strumento di repressione. La detenzione amministrativa consente a Israele di detenere i palestinesi senza accuse formali né processo per periodi di tempo prolungati. L'arresto del ricercatore italo-palestinese Khaled El Qaisi al valico di frontiera di Allenby il 31 agosto è solo l'ultimo esempio di questa pratica illegale.

Come in Italia, anche la famiglia di Khaled nel campo profughi di Azza, vicino a Betlemme, è rimasta sconcertata dall'arresto. Amici e conoscenti dicono che il giovane ricercatore ha solo visitato i luoghi della sua infanzia durante le vacanze. Stava poi ripartendo per la Giordania, da dove sarebbe tornato a Roma.

Come tutti i palestinesi nei Territori occupati, Khaled, che è nato in Cisgiordania, per viaggiare in aereo ha dovuto prenotare un volo per Amman e non per l'aeroporto di Tel Aviv che, nonostante sia più vicino, è bandito ai palestinesi! Lo stesso percorso, all'inverso, lo aveva fatto all'andata, sempre attraversando il “famigerato” valico di Allenby Bridge o Sheikh Hussein. Poi l'arresto, improvviso, davanti agli occhi della moglie e del figlio di quattro anni. L'unica "colpa" di Khaled sembra essere il pubblico sostegno dei diritti del popolo palestinese.

Come Patrick Zaki, Khaled è un accademico impegnato nella difesa dei diritti umani.

La sua detenzione arbitraria mostra ancora una volta le continue violazioni dei diritti umani perpetrate da Israele nei confronti dei palestinesi.

La detenzione arbitraria di Khaled El Qaisi sta suscitando una crescente indignazione internazionale. In Italia, la società civile sta facendo sentire la propria voce per chiedere la liberazione immediata del ricercatore italo-palestinese. La richiesta delle associazioni per i diritti umani in Italia è quella di fare pressione sul governo Meloni per ritirare l'ambasciatore italiano da Tel Aviv se Khaled non verrà liberato. Sono state presentate anche delle interrogazioni parlamentari in merito.

La stessa Amnesty International ha espresso forte preoccupazione per le condizioni di detenzione di El Qaisi e per il protrarsi del suo isolamento. Chiedono che gli venga consentito di incontrare un avvocato e che sia processato in modo equo o rilasciato immediatamente. Persino l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane è intervenuta sulla questione, invitando il governo israeliano a chiarire le accuse mosse contro il ricercatore, nel rispetto dei diritti umani.

Israele continua a mantenere il silenzio sulle ragioni che hanno portato all’arresto di El Qaisi. L’8 settembre, in occasione della prima udienza in tribunale dopo l’arresto, il procuratore israeliano ha rivolto al ricercatore numerose domande riguardanti il suo soggiorno in Cisgiordania, ma non ha fornito alcuna informazione sulle accuse. L’udienza ieri, 14 settembre si è conclusa con i giudici israeliani che hanno prolungato la custodia cautelare per altri 7 giorni senza accuse.

È in programma un'assemblea pubblica per la data odierna presso l'università La Sapienza di Roma, promossa dalla famiglia.

La storia si ripete. Un ricercatore viene arrestato senza motivo apparente se non quello di essere palestinese. Ancora una volta, le autorità israeliane violano i diritti umani in barba alle leggi internazionali. Ancora una volta, ci troviamo di fronte a un potenziale nuovo caso Zaki, un ricercatore imprigionato ingiustamente solo per le sue origini.

Questa storia ci pone davanti a due questioni. Se la prima è quella della libertà di espressione in certi paesi del mondo (vedi Regeni, Zaki, ecc.) e sappiamo essere molto complessa e per essere risolta ci vorrebbe un cambio di paradigma a livello della politica estera internazionale, la seconda questione è quella -ben conosciuta per chi segue la questione su GlobalProject- dell’apartheid israeliana ai danni dei palestinesi. E per quest’ultima sappiamo che, finché non ci sarà vera liberazione per i palestinesi (leggasi “fine dell’apartheid”) la storia la destinata a ripetersi ancora. E ancora. E ancora.

Visto quanto successo con Patrick Zaki, comunque, è fondamentale che il caso di Khaled non passi inosservato. La mobilitazione internazionale è l'unica arma che abbiamo attualmente per fare pressione su Israele ed ottenere il suo rilascio. Non possiamo permettere che un altro ricercatore venga ingiustamente incarcerato e sottoposto a chissà quali torture.