Universi paralleli

24 / 5 / 2010

In un universo parallelo il volo Oceanic Airlines 815 è atterrato a Los Angeles e i personaggi di Lost hanno vite parallele ma connesse e interagenti con quelle dell’isola. In altri sideways flashes Berlusconi annuncia che con la finanziaria non saranno toccate pensioni, sanità, scuola e università, tanto meno sarà inasprita la pressione fiscale. La Gelmini sostiene che non ci sono tagli economici agli atenei e la sua riforma vuole tagliare le unghie ai baroni. Analogamente Bersani e i rivali interni, terrorizzati dalla prospettiva di elezioni anticipate e di primarie per la scelta del leader, vantano l’unità del Pd e il suo avvicinarsi ai problemi reali del Paese, secondo un percorso a tappe che si chiama Pd open (come i tornei tennistici). Entrambe le parti hanno a lungo negli scorsi mesi dissertato di grandi riforme costituzionali, confabulandone anche, tra una firma e l’altra di orride leggi ordinarie, con il Presidente Napolitano. Un futile immaginario, che tuttavia intrattiene relazioni con quanto imperversa nel mondo reale. Non solo occultandolo, come in un Tg 1 minzoliniano, ma integrandolo con un supplemento d’anima. Fottere, ma con molta vaselina –si dice in amplessi più brutali.

La straordinaria sconnessione fra superficie politichese e realtà italiana, di cui la farsa del bipolarismo è la rappresentazione istituzionale, è il modo per evitare di decidere e barcamenarsi in una situazione di stallo, che ha retto fin quando la perifericità italiana lo ha consentito. Il precipitare della crisi e il ciclone che sta investendo euro ed Europa erodono rapidamente questo dispositivo paradossale e rischiano di mettere a nudo la situazione reale: il collasso, molto più pronunciato che nel resto dell’Occidente, del sistema dei partiti e della rappresentanza, il fallimento del neoliberismo, mal tamponato da un frettoloso accollo dei debiti allo Stato, lo smagliamento del welfare fordista e il deficit di governamentalità a preminenza finanziaria. Il brusco passaggio dall’universo parallelo dell’assenza di crisi, del bilancio che tutto il mondo ci invidia, dello sfacelo economico che lo è meno di altri paesi, ecc. alla realtà è segnato dall’imminente finanziaria, con il suo consueto mix di sfacciati condoni dell’abusivismo e scarico del prelievo dal centro alle regioni e comuni. Un incremento mascherato del prelievo fiscale senza investimenti in produttività e ricerca, un impoverimento del ceto medio e un’ulteriore precarizzazione del lavoro. Galleggiamento alla giornata, insomma, e decostruzione dell’assetto sociale. Un programma neoliberista recessivo senza competitività internazionale, che fotografa la deindustrializzazion-e italiana e la sua partecipazione marginale alla finanziarizzazione dell’economia, come confermano la fuga Fiat dall’Italia e l’andamento della borsa di Milano. Sull’esodo dei cervelli e sulla svalutazione deliberata dal lavoro intellettuale non è neppure il caso di insistere.

Il Pd balbetta, con sussulti ridicoli (gli insulti personali alla Gelmini in luogo di un’opposizione parlamentare al suo ddl, la richiesta che Berlusconi “ci metta la faccia” sulla richiesta di sacrifici), ma in sostanza si limita a chiedere che una parte dei soldi spremuti ai malati, al pubblico impiego e all’istruzione vadano all’industria. Il gruppo Espresso-Repubblica, non celato ispiratore dei pieddini, gioca la carte Tremonti contro Berlusconi, mentre De Benedetti avanza pesanti riserve sulla leadership del Pd stesso. Nessuno si oppone all’attacco frontale alla composizione della forza lavoro e alla drastica redistribuzione della ricchezza nazionale dai salari alle rendite –circa il 10%negli venti anni, secondo gli studi di Luciano Gallino. L’andamento patologico, anche confrontato con i fiacchi dati europei, del mercato del lavoro e della struttura generazionale dell’occupazione e del reddito, non viene messo a tema, anzi è lampante il ruolo sostitutivo acquisito dalle campagne sulla corruzione e sulla libertà di informazione. La gestione satrapesca dell’informazione e l’accorata protesta giustizialista si spartiscono il campo, confondendo le tracce dei conflitti sottostanti e tentando di congelarli.

I partiti, a loro volta, si spogliano accuratamente di ogni connotato che li renda riconoscibili: il tricolore domina incontrastato, termini generici e interclassisti quali Popolo delle libertà, Partito democratico, (futuro) Partito della Nazione (o della Repubblica) nascondono e in parte effettivamente smorzano il carattere originario di “parte” e la conflittualità che ne discenderebbe. Con il risultato che balzano in primo piano lobbies, reti di interesse economico, cricche. Presenti queste ultime non solo nel PdL (una costellazione di bande intorno alla cricca n. 1, l’impero berlusconiano stesso), ma nell’Udc di Casini e Caltagirone e fra i “democratici” (dai tradizionali blocchi cooperativi agli assets più tossici del gruppo D’Alema-La Torre). Con una ben distribuita presenza della Chiesa (al momento allo sbando, per le implicazioni pedofile e l’incapacità politica di Ratzinger) e degli Usa, che si permettono pesanti ingerenze, per combattere oleodotti “putiniani” più che la mafia. Nella prossima settimana la mappa dei “sacrifici” sarà più chiara, ma pochi dubbi ci sono sulla disponibilità della sinistra ad accettarli ­– Papandreu e Zapatero hanno dato il via – mentre Berlusconi cercherà di diluirli, a rischio di scontrarsi con Tremonti e i sindacati (compresa una Cgil “normalizzata”) vanno alla protesta in ordine sparso. Sarà però difficile, per maggioranza e opposizione, tenere a freno la ribellione dei sacrificati, come proprio Grecia e Spagna stanno mostrando.

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