Fallito il negoziato a Ginevra, la guerra continua.

La Siria, fatte salve alcune enclave, è collassata.

di Bz
17 / 2 / 2014

Il secondo round per la ricerca di una soluzione negoziale per la Siria a Ginevra si è chiuso con un laconico comunicato del mediatore Lakhdar Brahimi che si è detto molto dispiaciuto per i pochi risultati raggiunti dopo due round di discussioni tra governo e opposizione siriane e ha chiesto scusa al popolo siriano per questo, sottolineando che i colloqui continueranno per verificare di concordare un ulteriore calendario degli incontri.

Aldilà delle prospettive future e delle intenzioni di Brahimi il risultato del negoziato tra parti in conflitto in Siria è stato un fallimento e non poteva essere altrimenti, così come abbiamo già scritto in queste pagine: la mancanza, a Ginevra, di una forza politico-militare dell’area qual'è l’Iran, l’assenza di una fetta consistente dell’opposizione in armi, quella  salafita, che controlla una parte consistente del territorio ‘liberato’ siriano non potevano portare ad altro risultato.

Gli stessi scenari della guerra civile in atto ci mostravano come i delegati alla trattativa di Ginevra non avevano alcuna rappresentanza se non quella delle diplomazie internazionali: Assad con i suoi squadroni ha continuato ad imperversare nella periferia di Damasco e di Homs, tanto meglio lo farà ora che gli alleati Hezbollah sono rientrati al governo del Libano, altrettanto hanno fatto le milizie filo qaediste nelle regioni dell’est e del nord della Siria, dove si sono strutturate le istituzioni civili islamiste per la gestione amministrative del territorio. La scansione della guerra civile è lì a dimostrare che le forze ribelli siriane coinvolte nella trattativa contano, ora, molto poco rispetto ai fattivi rapporti di forza e quindi sulle decisioni nel conflitto in corso.

Di questo è ben consapevole l’intelligence internazionale presente nell’area, tanto che da parte degli Emirati si è dato il via libera all’approvvigionamento di armamenti pesanti alle rispettive milizie protette e foraggiate: trapelano notizie di un soldo mensile di 1000$ per ciascun miliziano. Dove non arriva la spinta politica, ideologica e religiosa a motivare la guerra civile giunge il salario della paura a sostenere le milizie combattenti che possano fungere da cuscinetto al dilagare dell’islamismo salafita, che fa considerare agli osservatori militari, che si aggirano nel circondario, tra la Giordania, Turchia e Libano, lo stragista Assad il padre del popolo siriano.

Aldilà di ogni cinismo la situazione per la popolazione civile è terribile: alla contabilità delle  morti vanno aggiunti – per quanto riusciamo a capire – almeno 6 milioni di profughi, centinaia di migliaia di senza tetto, fame diffusa, chiusura di scuole e servizi civili, una società, che, fatte salve alcune enclave, è collassata.

L'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) ha reso noto che il conflitto ha causato oltre 140 mila morti. Secondo la stima, in quasi tre anni di guerra civile hanno perso la vita 140.041 persone, di cui 49.951 civili, 7.626 bambini e 5.064 donne.
Tra le fila dell'opposizione al presidente Bashar al Assad sono stati uccisi 24.167 combattenti ribelli. A questi si aggiungono 8.972 jihadisti del Fronte al Nusra e dello Stato islamico dell'Iraq e del levante (Isis).
Fra le forze fedeli al regime si contano 54.199 soldati e componenti delle milizie filo-governative uccisi, 275 Hezbollah sciiti libanesi e altri 360 membri degli altri gruppi sciiti stranieri fino-regime. Il bilancio include anche 2.837 vittime non identificate dall'osservatorio.