Economia informale e falsi chomeurs

L’odierna Tunisia – tra l’onnipresente settore informale e l’incapacità statale di imporre la legalità.

Colloquio con Ouled A. Belaid – Presidente “Réseau Tunisien de l’Economie Sociale”

18 / 2 / 2014

“ Il settore informale tunisino racchiude al proprio interno circa il 60% delle attività economiche e commerciali nazionali, perciò io come sociologo ritengo sia innegabile che dietro a questa colossale economia informale ci siano dei soggetti che traggono guadagno dall’illegalità di tale sistema.”

La presenza di quest’economia che vive nell’illegalità riflette a pieno l’odierna debolezza dello Stato tunisino. Ci sono istituzioni e soggetti, di un certo calibro, che traggono guadagni enormi da questo sistema. E’ questo uno dei motivi principali per cui viene protetto, o meglio, la cui illegalità viene espressamente ignorata. Ad esempio il suk di Ben Garden, nel sud della Tunisia, uno dei più grandi ed importanti del paese, era gestito per vie indirette dall’allora première dame Leyla Ben Ali.

Il settore informale è un insieme di attività inclassificabili nel tempo e nello spazio; chi pratica un’attività oggi domani potrebbe praticarne un’altra. Essenzialmente è un sistema economico-commerciale come altri ma manca di legalità. Lo Stato non recepisce imposte da questi scambi di beni e servizi, dunque non c’è una redistribuzione delle ricchezze. In più i lavoratori del settore informale sono ufficialmente classificati come disoccupati perciò pesano sulle casse statali essendo percettori di chomage. La giurisdizione non manca, ciò che manca sono le istituzioni in grado di far rispettare la legge.

Il dott. Ouled Belaid, professore di sociologia economica all’Università di Tunisi, mette in mostra ancora una volta l’assenza e l’incapacità dello Stato dopo la rivoluzione. Quest’ultimo on può applicare la legge ne può farla rispettare dal momento che manca di forza giuridica. Il settore informale è un tema delicato, si tratta di un gioco politico da non sottovalutare. Chi lavoro nel settore informale appartiene a quella fascia di popolazione non protetta dalla giurisdizione in materia di economia-sociale, dunque le fasce più marginalizzate. Ma sono queste fasce che hanno votato in massa per l’odierno partito di maggioranza. Qual ora Ennahda si azzardasse a dichiarare guerra a  questa classe sociale andrebbe a perdere le prossime elezioni.

Eppure il sistema va cambiato. Il paese necessita di legalità e del potere di far rispettare la legge, altrimenti il processo di democratizzazione non avrà mai inizio. Non si devono cercare soluzioni e che mirino a risultati immediati. Invece è ciò che il governo provvisorio chiede, dichiarando di voler lasciare la soluzione finale in mano al futuro governo che sarà eletto. Un governo tecnico per definirsi tale deve sapere quando e dove intervenire. Se invece rimanda i problemi da affrontare allora è un governo fatto di politici non di tecnocrati. Dunque viene spontaneo chiedersi  che genere di governo stia guidando attualmente il paese maghrebino.

Il percorso di ripresa deve puntare a soluzioni e progetti di medio-lungo termine, progetti che necessitano di un graduale cambiamento di mentalità della popolazione intera. Mentalità ed educazione che dovrà partire dalla società civile attiva verso le fasce di popolazione più remote.

E viene da chiedersi quale sia stato ruolo dell’Occidente nella ripresa economica tunisina dopo il 2011. L’Europa, diretta interessata in questo processo di democratizzazione, ha mantenuto le promesse di sostegno ed impegno economico prese con la Tunisia subito dopo la partenza di Ben Ali?

Gli atti caritatevoli, soprattutto a livello di rapporti interstatali, non esistono ed è una cosa più che normale, dunque i mancati investimenti promessi dall’UE subito dopo la cacciata di Ben Ali trovano risposta nell’ambigua situazione politica araba del post rivoluzioni. L’Unione Europea, e non solo, pretende dei governi islamisti moderati, ma soprattutto dei governi che collaborino e che reggano il gioco occidentale. Ripensandoci l’Algeria, che pur presentando una situazione economica migliore, è ormai da anni soggiogata da uno Stato tiranno che non conosce la parola democrazia. Eppure le reti televisive a nord del Mediterraneo non menzionano mai le varie rivolte che si scatenano nel paese. I media hanno giocato, e continuano a giocare, un ruolo fondamentale nella raffigurazione di un paese. Viene trasmesso ciò che viene loro chiesto di trasmettere, mai trametteranno entrambe le facce della stessa medaglia. Finché il mondo arabo, travolto dalle rivoluzioni del 2011, non eleggerà dei governi pro occidentali i tanti attesi aiuti per la ripresa economica e sociale non arriveranno.

Il popolo tunisino deve rimboccarsi le maniche e dar inizio a una fase di concretizzazione dei principi della rivoluzione, sia nel campo delle politiche sociali che in quello delle politiche economiche. Non deve aspettare che la democrazia gli venga insegnata da quelle nazioni del mondo in cui il più delle volte democrazia è sinonimo di capitalismo. La Tunisia necessità di un modello di democrazia che si adegui alla propria cultura, ma allo stesso tempo deve mettere in atto una modernizzazione della mentalità laddove questa impedisce il pieno sviluppo della persona.