Primo gennaio 1994: l'insurrezione zapatista compie trent'anni

1 / 1 / 2024

Alle prime luci dell'alba del primo gennaio 1994 l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) si mostra per la prima volta pubblicamente. Questo esercito ribelle e sognatore, dopo dieci anni di clandestinità nelle alture del Chiapas, Stato al confine meridionale del Messico, finalmente esce allo scoperto.

Le caserme dell'Esercito Messicano presenti nel territorio chiapaneco si trovano sotto organico. Sono diversi i militari in congedo per le festività; chi è rimasto, sta ancora smaltendo i postumi dell'alcool e di una nottata di festeggiamenti per dare il benvenuto al nuovo anno. Non sono pronti quando tutto comincia, e sicuramente molti non avranno creduto alla notizia.

Alle prime luci dell'alba del primo gennaio 1994 oltre settemila indigene e indigeni insorgono, occupando i centri maggiori dello Stato, come San Cristóbal de Las Casas, Ocosingo, Las Margaritas, Comitán, Altamirano, e strappano dalle mani dei latifondisti oltre 200.000 ettari di terre, da redistribuire a chi fino a quel momento ha solo potuto coltivare la terra del padrone. Non tutti sono armati, chi non ha un fucile ripiega su bastoni, archi con frecce, fionde.

Ci si rende conto molto presto che questa non è una classica rivoluzione novecentesca, anzi forse è (anticipandolo) la prima rivoluzione del nuovo millennio. Non ci sono volti ma passamontagna; non ci sono nomi o personalità da esaltare, gli appellativi riprendono i nomi di compagne e compagni caduti; dicono di combattere per gli oppressi e vogliono una vera liberazione nazionale, non la presa del palazzo del potere nella capitale. La parola d'ordine è autonomia.

Un'altra cosa che appare chiara di questa insurrezione è la prova pratica che rivoluzione non è un atto estemporaneo di eroismo, un “picco” in cui conquistare tutto e subito, ma un processo. Un processo senza fine, il “camminare domandando” zapatista, in cui portare avanti sempre insieme teoria e pratica, provando e riprovando, sbagliando, fallendo, rialzandosi. Molte volte il SubComandante Marcos, portavoce dell'organizzazione al momento dell'insurrezione e negli anni successivi, raccontò come lo zapatismo affronta tutto prefigurandosi l'ipotesi peggiore possibile, e da quel presupposto prova a costruire azioni e reazioni. Andò così quel primo gennaio di trent'anni fa, l'EZLN era pronto alla disfatta, ma un gesto così estremo era dovuto a una situazione estrema: cinquecento anni di oppressione, violenze, abusi, schiavismo. Non fu una disfatta, nonostante molte morti tragiche (fra cui il compianto SubComandante Pedro) e dopo dodici giorni di combattimenti, quando fu proclamato il cessate il fuoco (grazie alla pressione dell'opinione pubblica messicana e internazionale), lo zapatismo aveva un territorio dove mettere in pratica ciò che faticosamente stava già provando a sviluppare da qualche anno. 

L'autonomia zapatista si basa su autogoverno e possesso comune della terra: già dai primi mesi del 1994 vengono fondati trenta municipi autonomi zapatisti, a raggruppare al loro interno le comunità di una stessa regione. Alle assemblee comunitarie quindi si aggiungono le assemblee municipali e le autorità municipali, cariche rotative di gestione amministrativa della regione afferente a ciascun municipio. La terra viene redistribuita, distinguendola fra terre di uso familiare, assegnate a ogni famiglia per il loro sostentamento, e terre di uso collettivo, la cui produzione era destinata al sostentamento collettivo della comunità o del municipio. Questo modello si svilupperà per i dieci anni successivi fino all'introduzione di un terzo livello del governo autonomo, quello di zona, a raggruppare vari municipi. Nel 2003 infatti la Comandancia General dell'EZLN conclude il passaggio di responsabilità dall'amministrazione militare a quella civile. In ogni zona, cinque inizialmente, viene fondato un Caracol (letteralmente chiocciola, lumaca, per richiamare metaforicamente la spirale, sono centri direzionali politico-amministrativi) e in ognuno di essi inizia a operare una Giunta di Buon Governo, massima espressione del governo autonomo zapatista. E' con l'arrivo delle giunte di buon governo che si armonizzano tutti gli altri campi dell'autonomia, strutturando ed efficientando il sistema educativo autonomo, il sistema di salute (grazie all'aiuto fondamentale di molte e molti medici solidali che hanno accompagnato il processo), il sistema giudiziario autonomo e il sistema di produzione in cooperative (colectivos). 

Dal 2013 parte una profonda analisi dell'organizzazione, un'autocritica che abbraccia a trecentosessanta gradi tutte le sue sfere. Il SubComandante Marcos “muore” figurativamente, rinascendo come SubComandante Galeano, prendendo il nome di un maestro zapatista assassinato dai paramilitari. Non è neanche più portavoce dell'organizzazione, questo incarico è ora passato al SubComandante Moisés. Questa fase porta a una profonda revisione dello struttura dell'autonomia, potendo ormai contare su più di vent'anni di “prova pratica” che restituiscono la coscienza di cosa va bene e cosa può essere migliorato. Nel 2019, per avere una capillarità maggiore nel territorio (anche per la grande crescita dell'organizzazione, a livello numerico e di estensione territoriale), le zone passano da cinque a dodici, così come i caracoles. 

Questo decennio ha visto la recrudescenza della violenza paramilitare in Chiapas, l'entrata dei Narcos in territori prima marginali, la violenza dello Stato nell'imporre grandi opere dannose per l'equilibrio naturale e sociale del sud-est messicano, una pandemia, l'evidenza dei cambiamenti climatici e l'aumentare dei fenomeni meteorologici estremi. La “tormenta”, per parafrasare lo zapatismo, ciò di cui l'EZLN parla da anni e ciò che si prepara ad affrontare. La tormenta capitalista, contro la quale solo un'alleanza globale può far fronte, concretizzatasi nella “Dichiarazione per la vita” del primo gennaio 2021, firmata da centinaia di organizzazioni a livello mondiale e prima pietra della “Gira por la Vida”, che ha visto il suo primo capitolo in Europa negli ultimi tre mesi di quello stesso anno.

Questo decennio, il terzo dall'insurrezione e il quarto dalla nascita dell'organizzazione nel 1983, è quello che ci porta fino ai nostri giorni, ed è quello che ha portato due grandi novità organizzative che portano l'organizzazione zapatista dentro al suo quinto decennio.

E' proprio avvicinandosi a questa data che l'organizzazione zapatista ha deciso di rendere pubbliche le sue trasformazioni e, cosa ancora più ammirabile, i suoi fallimenti. Se fino a questo momento i tre livelli dell'autogoverno salivano dal basso verso l'alto, fino al culmine con le Giunte di Buon Governo, ora la piramide è stata rovesciata, rimettendo al centro la comunità, il primo livello. Sono state cancellate le giunte e i municipi, ed è stata rimessa al centro l'assemblea a discapito delle cariche rotative, che per loro stessa ammissione iniziavano a “scollarsi” dalla loro collettività, pensando di poter decidere per essa, anziché realizzarne le proposte. Al centro dunque ora ci sono i Governi Autonomi Locali (GAL), uno in ogni comunità. Quest'ultimi, oltre ad amministrare la loro comunità, possono portare proposte comuni alla loro regione, in cui si riunirà il Collettivo di Governi Autonomi Zapatisti (CGAZ), e alla loro zona, in cui si riunirà l'Assemblea di Collettivi di Governi Autonomi Zapatisti (ACGAZ). I Caracoles rimangono il punto di riferimento fisico per ogni zona.

La seconda grande novità annunciata in questi giorni di avvicinamento all'anniversario, è l'istituzione di terre in cui vige il principio della non proprietà. A ragion del vero, in nessuna delle terre zapatiste vige il principio di proprietà come da noi inteso: le terre assegnate alle famiglie fanno comunque parte delle terre della comunità, la famiglia non può disporne a piacimento e non è possibile venderle o privatizzarle. Lo stesso discorso vale ovviamente per le terre collettive, coltivate col lavoro volontario per il sostegno di tutta la comunità. Questa nuova tipologia di terre, la terza dunque, si basa sul concetto di essere terra di nessuno, e quindi automaticamente di tutte e tutti, comuni. Queste terre vogliono essere restituite alla popolazione senza distinzione alcuna, anche di affiliazione politica. Questo vuol dire che saranno nella disposizione della popolazione zapatista così come di quella non zapatista. Non verranno gestite da nessuna autorità se non dalle persone che abitano quei territori, che gestiranno in autonomia i turni per coltivare. Al termine del ciclo di coltivazione non ci saranno tasse o pagamenti in natura, tutto il raccolto sarà nella disposizione di chi l'ha lavorato, mentre le migliorie al terreno rimarranno nelle fruizione del turno successivo.

Questa grande novità, approvata da una consultazione in tutti i centri zapatisti, rappresenta forse la risposta migliore possibile al mutato contesto che si vive ora in Chiapas. Perché se fin dal 1994 il governo messicano ha cercato di dividere la popolazione, foraggiando gruppi paramilitari che affrontassero l'organizzazione zapatista, l'ingresso dei cartelli del narcotraffico nella regione aumenta variabili e violenza, e impone prima di tutto l'unione delle forze dal basso. Un dialogo continuo quindi fra popolazione zapatista e non zapatista potrebbe essere l'unica risposta possibile a questa guerra. 

Parafrasando gli ultimi comunicati, non c'è un manuale da seguire in ciò che l'organizzazione zapatista sta costruendo, l'unica possibilità è continuare a interrogarsi e a fare dell'autocritica e dell'innovazione i fari per proseguire il cammino. E se questa organizzazione continua ad andare avanti, quaranta, trenta, venti e dieci anni dopo, possiamo pensare con ottimismo agli anni futuri.

Lunga vita alla rivoluzione zapatista.