Fare inchiesta nella società dell'informazione. Intervista a Luca Chianca

28 / 6 / 2019

Il dibattito a cui ha partecipato Luca Chianca, giornalista di Report, allo Sherwood Festival lo scorso 17 giugno ha inquadrato il tema della crisi ecologica da vari punti di vista, tra cui quello della corruzione endemicamente presente nel capitalismo contemporaneo.

Come giornalista d’inchiesta Luca Chianca ha fatto venire alla luce intrighi e legami che danno alla corruzione una forma spesso inquietante. Gli abbiamo posto alcune domande, in primis relative al ruolo del giornalismo d’inchiesta nella società attuale.

 

Nella cosiddetta società dell’informazione perché è fondamentale il giornalismo d’inchiesta?

Lo reputo fondamentale. Senza un buon giornalismo (in generale, non solo d’inchiesta), senza un giornalismo con la G maiuscola la società ha qualcosa in meno, non qualcosa in più. Il problema attuale è la diffusione della comunicazione, ce n’è troppa. Ed è difficile discernere cose serie da cose meno serie, l’approfondimento dalla superficialità della notizia, la notizia che fa chiaramente richiamo da quella che non lo fa, ma forse è un po’ più seria. Questo è il tema.

Dare una risposta ad una domanda del genere è sempre più difficile man mano che gli anni passano. Io ho iniziato dodici-tredici anni fa con Report; nel 2006 sono entrato come stagista. Ho fatto la mia gavetta, come ormai non si fa più. Nel 2006 c’era, secondo me, un’attenzione per questi temi. Erano gli anni di Santoro cacciato dalla Rai, rientrato in quel periodo. Attenzione che oggi non c’è più, non  c’è più l’appuntamento davanti alla TV per vedere quel tipo di programma.

Nel corso di questi dieci anni sono aumentati moltissimo i programmi d’informazione, non d’inchiesta chiaramente, parliamo di talk. Ma anche i talk, prendi Ballarò, prendi Piazza Pulita: sono sviluppati in maniera completamente diversa da quel tipo di giornalismo.

Nell’arco di un’ora cambiano quattro cinque  ospiti, in una puntata cambiano venti ospiti, non me la spiego una cosa del genere: non c’è più l’attenzione di un tempo, questo è il dramma. Io la  grande criticità la vedo in questo e sono i  social che hanno fatto la differenza.

Quindi più spettacolarizzazione meno approfondimento? È così che è cambiata la storia del talk show in questi ultimi anni?

In realtà è sempre stato così. La spettacolarizzazione della notizia è insita nel sistema: io faccio televisione, e la televisione è spettacolo. Adesso abbiamo allestito, siamo qui sul divano, abbiamo messo due  telecamere, ci stiamo divertendo anche noi, no? Parliamo di cose serie, assolutamente serie, però come le stiamo raccontando? Tentando di fare una cosa che abbia un senso, che sia piacevole da vedere, che abbia una sua attrazione. Non stiamo di fronte ad un muro nero, tristi e messi rigidi.

Questo è il senso della spettacolarizzazione della notizia: tutto quello che è informativo ha un limite nell’informare seriamente. Io posso rendere un prodotto più semplice ed attrattivo per far passare un messaggio importante. Il contrario non deve accadere, non è che posso ridicolizzare una notizia solo per aumentare il pubblico, senza dare poi l’informazione al pubblico.

Voi come Report, e tu in particolare, avete fatto inchieste su varie questioni, una la citavi stasera (al dibattito ndr) che è quella dell’Eni, ma anche questioni più territoriali; in Veneto ad esempio hai trattato il tema della Pedemontana. In questo lavoro, che relazione ti permane con quel tessuto di attivismo che rappresenta, a mio avviso, la spina dorsale dell’Italia che si oppone ad un certo tipo di sistema?

È la fonte stessa delle notizie che diamo. Poi chiaramente ci mettiamo del nostro, abbiamo altri strumenti, però è chiaro che quell’approfondimento fatto personalmente dagli attivisti locali, da persone che tutti i giorni fanno la loro piccola grande lotta sul territorio per non vederlo devastato o per mille buoni motivi - molto personali, in alcuni casi, o comunitari - sono lì.

Io vivo a Roma, me ne frega della Pedemontana da cittadino, come chi vive sulla Pedemontana gliene frega che a Roma c’è l’immondizia per strada, questo è un il senso. Loro sono fondamentali, sono delle colonne di buon senso civico, che se non ci fossero bisognerebbe inventarle, ecco. Senza sarebbe veramente un problema.

Sono gli ultimi che ancora dicono no, che scendono in piazza, che manifestano, e anche in questo contesto, non è gente di destra o di sinistra: è gente. È gente di tutti i colori, è questo che a me tocca particolarmente, vedere persone che mai sarebbero scese per altre cose, ma scendono quando gli toccano il territorio, perché non vogliono la sua devastazione. È impressionante questa cosa.

Un’ultima battuta. Siamo nell’epoca delle fake news, che alimentano il razzismo, il sessismo, o il negazionismo climatico. Come può un buon giornalismo contrastare questo tipo di fenomeno?

Raccontarlo, raccontarlo, continuarlo a raccontare. È l’unico modo, non ci sono alternative. Bisogna essere autorevoli, non sbagliare mai. Quando si sbaglia si chiede scusa, si fa pubblica ammenda, e bisogna  essere sempre e solo autorevoli: l’unica cosa che divide il marcio dal non marcio è l’autorevolezza.

Probabilmente fai riferimento a tutta una serie di siti incredibili, uno va su internet e diventa il grande complottista. Quanti lo fanno, no? Vanno lì, smanettano, ed a un certo punto fanno collegamenti fantasmagorici. Non è così. Se io facessi un collegamento del genere andrei non dico in galera, ma pagherei multe salatissime a chi poi mi querela. Quindi è un po’ più complesso mettere insieme delle storie che abbiano un senso e che non dicano cazzate. Però, in fin dei conti, tutto ha il suo senso, che è questo.