Sul nuovo lavoro di Arundhati Roy

In marcia con i ribelli

27 / 3 / 2012

La legge rinchiude il povero ladruncolo che ruba le oche dal pascolo comune, ma lascia libero il grande ladro che ruba il pascolo comune alle oche (Anomimo, 1821, the goose and the commons)

Ho letto “In marcia con i ribelli” di Arundhati Roy (Ugo Guanda Editore, 2012, pagg.200, 18€), uscito lo scorso anno in India con il titolo "Broken Republic", voracemente in pochissime ore di treno.

Arundhati Roy ha un modo di scrivere che comunica al lettore la stessa empatia che l'autrice ha quando conosce i contadini della regione del Karnataka, attraversa la manifestazioni di Jantar Mantar in Dehli o passa intere settimane in marcia con i maosti nell'India centrale.

L'empatia che scaturisce dalla scelta di stare ed essere parte delle molteplici resistenze sorte laddove viene applicato il massimo della forza trasformatrice -e quindi distruttrice- del capitalismo globale.

A quasi 9000 km dall'Italia c'è la regione del Dandakaranya, abitata da parte degli oltre 100 milioni di adivasi indiani, ovvero popolazioni indigene che da migliaia di anni abitano quel territorio con una precisa e specifica genealogia antropologica: cultura, rapporto simbiotico con la Natura, organizzazione dell'uso pubblico delle risorse comunitarie.

L'India del Bric ha bisogno di enormi quantità di materie prime, in particolare energetiche -essa è il quarto bacino estrattivo mondiale del carbone- e minerali; tra di essi la bauxite, elemento irrinunciabile per la produzione dell'alluminio.

É un business da migliaia di miliardi di rupie, che il Governo di Dehli ha già strutturato con centinaia di Memorandum of Undestanding con le corporation nazionali -come la Tata- e trasnazionali. L'impatto ambientale dell'estrazione di queste materie prime è non commensurabile: decine di dighe, allagamento di migliaia di villaggi, milioni di abitanti costretti all'esodo forzato e sostanzialmente senza compensazione alcuna.

Attorno a questi processi si sono sedimentati movimenti giganteschi di resistenza popolare, tra i quali vi è la rinnovata azione -ed ideologia- del naxilismo, corrente del maoismo che da decenni opera in India e che trova il proprio nome dalla città di Naxalbari nel Bengala occidentale dove ebbe luogo la prima insurrezione.

I maoisti guidano la resistenza contro l'”Operazione caccia verde” del governo indiano che ha l'obbiettivo di “rimuovere i vincoli allo sviluppo” e che ha un bilancio in crescita di migliaia di contadini ed attivisti morti, torturati direttamente dall'esercito o dalle organizzazioni paramilitari.

Nelle parole della Roy: “Non è ancora un'Alternativa quest'idea di Gram Swaraj -autogoverno dei villaggi- armato di fucile. Ci sono troppa fame e troppe malattie, qui. Ma di sicuro ha creato la possibilità di un'alternativa. Non per il mondo intero, non per l'Alaska o per Nuova Delhi, forse neppure per tutto il Chhattisgarh, ma per sé stessi. Per la Dandakaranya. Ha gettato (innanzitutto) le basi per l'alternativa al proprio annientamento.

Nel mentre, un coro univoco di media nazionali ed internazionali costruisce l'identità pubblica del Nemico numero uno: i maoisti e la resistenza. Non è il governo a dettare la linea ai media, essi sono il goveno.

I maoisti sono la frangia più militante di un ampio spettro di movimenti di resistenza contro l'assalto alle terre degli adivasi da parte di un cartello di aziende minerarie ed infrastrutturali.

La Roy decide di rompere questo muro informativo, “passare la linea”, e conoscere direttamente i militanti e la direzione del partito, rischiando personalmente la vita perchè l'ordine formale è di sparare a vista ai giornalisti che “stanno con il nemico”.

Emerge un quadro complesso, ricco, pieno di emozioni, di resistenza alla guerra, di dubbi sull'esercizio della violenza (“Le popolazioni cosa dovrebbero fare? Dovrebbero suggerirgli di andare in tribunale? Quale partito dovrebbero votare?” ed ancora “[...] quando un reparto di 800 poliziotti circonda ed isola un villaggio nella foresta nel cuore della notte, per poi iniziare a bruciare le case e sparare agli abitanti, uno sciopero della fame serve a qualcosa? (la gente che non ha da mangiare può farlo, lo sciopero della fame?”).

“In marcia con i ribelli” è un grandissimo reportage di guerra, pieno di storie -moltissime quelle di donne anche per la straordinaria sensibilità femminista dell'autrice- ed un affresco di cosa sia nel concreto lo sviluppo così detto magnifico e progressivo della democrazia indiana.

Fa capire a tutti noi qual'è l'ammontare di denaro in gioco, come i governi -ma anche le opposizioni parlamentari- siano soggiogate al pensiero unico e spesso alla sua corruzione. E, soprattutto, ci parla  laicamente e sempre intelligentemente di cosa significhi fare resistenza. Mi ha colpito una battuta sul partito e sul nuovo ruolo delle potenze un tempo non allineate e che ora hanno un ruolo di assoluta centralità nell'ordine multipolare: “La Via cinese è cambiata. La Cina è ora diventata una potenza imperiale. Il Partito ha ancora ragione, solo che il Partito ha cambiato idea”.

Lal Salaam Kaamraid Arundathi!