Una storia di working class femminile

La trilogia di Copenaghen di Tove Ditlevsen al Festival di Letteratura Working Class.

22 / 4 / 2024

“Mi viene in mente lo spettro della mia infanzia: l’operaio affidabile. Non ho niente contro l’operaio, è la parola affidabile che sbarra la strada verso ogni sogno luminoso sul futuro”.

La Trilogia di Copenaghen è uno degli esempi, forse il maggiore, della letteratura working class danese, anche se l’interesse per la sua opera si è acceso solo con la sua pubblicazione in inglese, cinquant’anni dopo la morte dell’autrice stessa.

Nicklas Freisleben Lund, studioso di letteratura working class danese all’University of Southern Denmark, racconta come in realtà in Danimarca Ditlevsen non viene considerata un’autrice working class, per la visione molto ristretta e rigida che negli anni si è diffusa di questo genere nel paese.

La letteratura operaia e di classe danese è  un movimento che nasce negli anni ’70 del 1800, con lo sviluppo del primo movimento operaio danese, e i primi esempi sono i canti degli operai danesi. Gli anni ’20 e ’30 sono l’epoca d’oro, con un successo del genere dovuto ad un aumento dell’interesse verso questo tipo di cultura, e anche all’opera di Martin Andersen Nexø, uno degli autori danesi più famosi di tutti i tempi. Purtroppo, questo interesse è durato poco a causa dell’ascesa del fascismo e della Prima guerra mondiale, che ha portato la letteratura working class ai margini del panorama culturale. Negli anni ’70 riacquista una certa importanza, con un ultimo capitolo della letteratura working class danese. Infatti si considera, dopo gli anni ’70, che non esistano più i lavoratori, analogamente ad altri contesti nazionali, ma esista solo la classe media. 

Tove Ditlevsen nasce nel 1917 in una famiglia working class. Esordisce con una raccolta di poesie. La trilogia di Copenaghen è la sua opera principale, pubblicata a partire dal 1967, ed è composta da tre volumi: Infanzia, Gioventù e Dipendenza.

Un elemento costante della sua letteratura sono le immagini e l’immaginario working class che lei riconosce e descrive, con un misto di sensibilità, malinconia e critica. Un motivo per cui viene esclusa dalla letteratura working class è che non è un “classico” esempio di questo tipo di letteratura, che è portata avanti prevalentemente da autori maschi, e le viene recriminato di non portare avanti una visione cosciente e consapevole della classe.

I primi due volumi sono “Infanzia” e “Gioventù”: la madre è sempre stata interessata a proteggere l’immagine della famiglia.

“Infanzia” è subito pregno di un tema che spesso si ritrova nella scrittura di Ditlevsen, ovvero l’amore per la letteratura. Questa passione nasce proprio nella lettura di Martin Anderson Nexo, che considera di grande bellezza e leggerezza per lo spirito e ispirazione. In “Gioventù”, invece, vengono analizzate e seguite vari forme di lavoro considerate femminili, attraverso la protagonista che vaga da un posto di lavoro all’altro. Non accettando né la classe né il genere in cui si sente ingabbiata, non riesce a “stare al proprio posto” e al futuro che sembra già essere segnato.

Questa trilogia non si incentra sul genere e sulla psicologia femminile, ma sulla classe, e sugli aspetti che condiziona nella vita quotidiana. L’opera di Tove è un promemoria per noi perché mette in luce anche gli aspetti di conflitto all’interno della classe operaia stessa. Avendo accesso ad una prospettiva di classe claustrofobica da un punto di vista di una donna, abbiamo anche un ampliamento del paesaggio della letteratura working class danese.”

Interviene poi la scrittrice Valeria Parrella, che citando l’incipit di “Infanzia”, Al mattino la speranza c’era, riassume un po’ l’atmosfera della trilogia, che riporta una visione della classe operaia dal punto di vista di genere non teorica ma vissuta, e vissuta con il corpo. Si tratta quindi di una convergenza delle lotte de facto, secondo l’autrice, che sottolinea come la condizione delle donne operaie sia una condizione assolutamente particolare, anche proprio a causa dei limiti del corpo come il ciclo mestruale.

Riprendendo sempre “Infanzia”, pone ancora una volta l’accento sulla passione per la letteratura che la bambina sviluppa fin da piccola, e di come si percepisce quello che potremmo chiamare “capitale culturale”, e lo stigma di ignoranza che la classe operaia si porta dietro, tanto che, quando la bimba impara da sola a leggere, la madre la percepisce quasi come una colpa, per essersi allontanata da ciò che culturalmente la famiglia poteva permettersi, e le maestre si inalberano perché non ha usato il loro metodo. Ma allo stesso tempo, la scrittura e la lettura vengono percepite come un modo per schiudere qualcosa, per svelare qualcosa della condizione operaia.

Ed è proprio quello che fa Tove Ditlevsen con questi romanzi working class, narrando delle storie vere e lontane dall’ideologia, che però riescono nel mettere a comune denominatore le posizioni situate e peculiari della classe operaia e delle questioni di genere, in un’epoca in cui sicuramente parlare di convergenza o di intersezione sarebbe stato anacronistico.