Immagine. Vita, viaggio e delirio da Città del Messico, la capitale in movimento, come recitano gli slogan apposti sugli emblemi e gli scudi del gran Comune messicano. Lo so, non è la prima volta che lo dico, ma la memoria, come le bugie pubbliche e private, ha le gambe corte. Da solista John dal nord commuoveva e cantava con vena pop “…imagine all the people, living life in peace”. Ecco, allora non venire qua al sud, per adesso. Qua non ci si annoia mica, al massimo si spara: quasi quasi son 30mila morti nei 4 anni di governo dell’Onorevole Presidente Fecal (abbreviazione giornalistica per “Felipe Calderon”). Qui c’è il disagio giovanile imperante, anche se poi una risata e una dose ragionata di valemadrismo, cioè “menefreghismo” in spagnolo, prevalgono e sconfiggono il male, la guerra e il tedio, tanto per chiarire. Per esempio, immagina un po’ di fotografare un pesce spacciato per fresco e immortalare i suoi occhi intrisi di rosso spento, due perle dei Caraibi che, a guardarle bene, sono una coppia di cadaveriche protuberanze, una a destra e una a sinistra, come in politica. Son simili a quelle dell’onesto e appassionato fumatore di ganja coi capillari eccitabili ma…che dire? Da un pesce non te l’aspetti. Magari fosse un po’ stonato dal fumo anche il huachinango, quella specie di dentice ritratto in esclusiva per voi lettori dall’impavida camera integrata nel mio cellulare: forse lui, pescato mesi fa, così potrebbe sorridere ancora . Invece no.
Qui, nell’ex capitale azteca Tenochtitlan, sputtanata dal
conquistatore Hernàn il Cortese nell’anno di Grazia che fu il 1521,
l’onnipresente e odiato Wal Mart (la catena di supermercati più
mastodontica del pianeta e in assoluto l’impresa con più fatturato,
sempre nello stesso pianeta) ama viziare i suoi clienti con le delizie
pescherecce degli oceani Atlantico e Pacifico mentre io mi diverto a
immortalarli con le foto per non cedere alla tentazione ancestrale e
suicida di provarle o anche solo sniffarne l’odore acerrimo.
Credo che potrei fare curriculum per aspirare a un posto come “fotografo
del pesce”, un’antica professione che a Napoli era addirittura presente
nei registri comunali, ma non chiedetemi di cosa si tratta esattamente.
Niente domande faziose, qua si crea la fuffa buona, mica le balle
egiziane sulla figlia illegittima e ribelle di Mubarak. Ma torniamo al
pesce. In realtà, si tratta di plasticacce puzzolenti e immangiabili che
sanguinano vernice.
“…imagine there’s no countries”. Di male in peggio, spiegatelo voi agli
statunitensi che hanno preso in prestito esclusivo, o meglio, hanno
patentato internazionalmente, proprio come fa la nota multinazionale
Monsanto coi semi e i pezzi di natura libera e selvaggia, il marchio
“americano” e il nome di “America”.
Ed è stato così per troppo tempo, per giunta senza chiedere il permesso
ai messicani, ai paraguaiani o agli haitiani, per esempio.
Ma sono bazzecole e vecchie storie, ora basta anche con questa. Non facciamo i banalissimi.
Piuttosto il vero dramma della settimana è stato, senz’ombra di dubbio,
“l’affaire antitetanica”, un vaccino a cui sono particolarmente
affezionato perché mi ricorda l’infanzia felice. E’ come una droga, l’ho
cercato, l’ho voluto e non l’ho trovato. Maledizione.
M’han sbattuto violentemente una portiera d’auto sull’indice sinistro e
sul corrispondente ginocchio mentre superavo sulla destra, lentamente e
imprudentemente, un taxi giallorosso fermo a un semaforo. Cado a zero
all’ora per la botta, mi rialzo alla rinfusa, ricevo scuse e riverenze
dai passeggeri, infami assassini di motociclisti.
Dopo ringrazio nascondendo l’ira e le parti colpite, non ho nemmeno la
ragione dalla mia, ma le ferite sanguinano lo stesso, malgrado la loro
superficialità, e sono comunque pezzi di carne sensibile, mica cefali
morti, in fin dei conti. Il giorno seguente, per scrupolo, cerco di
farmi applicare l’agognata antitetanica, prassi normale in Italia ma più
unica che rara in questo bel Messico.
La mia vecchia protezione era appena scaduta e, dunque, ho provato a
scaricarne l’aggiornamento nell’ordine: in farmacia (non sanno se c’è,
cos’è e perché), al pronto soccorso dell’università (chiuso per ferie),
alla clinica dei vaccini di zona o “centro di salute” (chiuso per
lutto), all’ospedale pubblico (chiuso per furto), all’ospedale privato,
dietro offerta di un lauto compenso a tutti gli operatori disponibili e
di una mazzetta golosa per i dottori di turno, ma ecco che anche
quest’avamposto del liberismo sanitario non se ne vuole occupare (aperto
per scherzo). Il download non è riuscito.
Lasciamo perdere, aspetteremo giorni più magici, meglio non avere urgenze da queste parti, take it easy Fabbrì.
Ripeto mentalmente uno dei miei motti arguti sine qua non (senza il
quale non…): “sputa sul tuo destino finché sei ancora in tempo”. Invece
sputo sulle ferite, per scaramanzia e igiene, e sulla moto per pulirne
gli specchietti e l'anima. “…imagine no possessions, I wonder if u can”,
e anche qui, mobbasta, zitto comunista! Cos’è sta roba del “no
possessi”? Io dico, la mente segue la parola, cioè “sono immagini
dell’altro mondo, quello bello, ancora senza Wal Mart”. Che poi basta
una L (elle) in più e diventa “Wall Mart”, il negozio del muro, della
parete, ossia: brutta faccenda.
Questa catena di supermercati ha fagocitato le principali aziende
messicane del settore come per esempio il caro e celeberrimo Superama e
l’infallibile Bodega (bottega) Aurrera (risparmierà) ed è il leader
indiscusso della bassa qualità e della precarietà del lavoro nel paese.
Esiste anche un documentario coraggioso sulle pratiche poco piacevoli
applicate tanto negli USA come nel resto del pianeta da questa
multinazionale della distruzione (cioè, scusate, d i s t r i b u z i o n
e: qui il documentario masterpiece non plus ultra in inglese “Wal Mart The high cost of low price” LINK).
Sono un incoerente politicante, tante parole e pochi fatti. Come mai?
Perché in effetti ci devo spesso andare da Wel Mert, per la forza della
fame chimica e per la chimica dell’amore di qualche cassiera, ma
soprattutto perché le opzioni alternative scarseggiano, non appaiono
più, non son nitide all’orizzonte, chissà, forse a causa dello smog.
Magari dovrei usare qualche stuzzicadenti per raschiare via le scorie di
demenza insediatesi durante gli anni bui nelle cavità pulsanti delle
circonvoluzioni della mia materia grigia.
Sarà pure una frase barocca e inopportuna, un’intrusione splatter a
sangue freddo forse, ma è solo per giustificare un fatto: che i loro
ipermercati sono piazzati molto strategicamente nei gangli, come in un
campo minato cittadino, stanno sulle grandi avenidas e nelle zone
trafficate – è proprio il caso mio, cioè di casuccia mia – e oramai non
lasciano più spazio ai negozietti, i famosi abarrotes. Questi si rifugiano nelle viette laterali e nei quartieri popolari, terribilmente fuorimano per chi vive fuorimano.
Ma è un racconto che abbiamo già sentito anche in Italia e non è colpa
vostra né mia, è la vita: è il pesce marcio più grande che si mangia il
pesce rosso più piccolo. Darwin la sapeva lunga, pace alle teorie sue.
Malgrado tutto, un merito va riconosciuto a questa catena schiavizzante dal nome buffo(ne).
Mi hanno fatto diventare praticamente vegetariano e ho imparato, anno
dopo anno, a gestire la mia dieta in modo sano ed equilibrato, senza
usare il petrOlio Quore, senza affrontare staccionate da cui cadere
ridicolamente per cercare d’imitare uno stupido, uno stupido spot.
Non è un trauma personale dell’autore di questo articolo, ma è vero,
tanti giovani solevano farlo negli anni ottanta per evitare le siringhe
che crescevano nel fertile terriccio del parchetto di zona oppure per
dimenticarsi delle catodiche avventure serali col Drive In e Striscia
che, di lì a poco, avrebbero fatto le fortune del Biscione di
Berlusconi. Poveri noi, e tutti gli altri filistei.
Non volevo perdere il filo del discorso cadendo così in basso. Rewind e conclusione.
Ho cominciato a valorizzare i coloratissimi mercatini di zona, i
cosidetti tianguis, che esploro senza pietà a bordo di una poderosa
Suzuki carica di borse e zaini pronti per la spesa.
Son piacevoli fardelli, ansiosi di riempirsi la pancia di frutta
tropicale, droghe (nel senso di spezie esotiche ed erbe psichedeliche) e
verdure sconosciute come il huitlacoche, il chayote e il huazontle.
Infatti il pesce e la carne, cioè i cadaverini esposti sui tristi
banconi del super mercante, sono inguardabili, come risulta dalla vera
foto-testimonianza apposta in apertura, ed anzi, aggiungo il sempreverde
“scripta manent”.
Nessuno, tranne il Dio Web Maestro, potrà mai cancellare questa mia arringa.
Sì, ora il motto latino vale anche su internet. Ho scoperto navigando,
parlando e interagendo che ad alcuni connazionali le citazioni nella
lingua dei romani in genere suonano vagamente fasciste, ad altri paiono
da finto erudito, ma questa volta ci stavano eccome.
In Messico fanno addirittura figo, soprattutto per chi non le capisce,
però sarà la Real Academia de la Lengua Española (l’innegabile versione
spagnola dell'italiota Accademia della Crusca) a dirimere ogni
controversia in merito, come sempre. DA CARMILLA