Ecologie in dialogo: Approcci e prospettive di Ecologia Politica

Spunti dalla conferenza tenutasi a Venezia con Alice Dal Gobbo (ricercatrice dell’Università di Trento), Federica Timeto (professoressa di Sociologia a Ca’ Foscari) e Marta Sottoriva (attivista del Comitato No Grandi Navi).

7 / 3 / 2024

Giovedì 8 febbraio si è svolta a Venezia la conferenza “Ecologie in dialogo: Approcci e prospettive di Ecologia Politica”, con Alice Dal Gobbo (ricercatrice dell’Università di Trento), Federica Timeto (professoressa di Sociologia a Ca’ Foscari) e Marta Sottoriva (attivista del Comitato No Grandi Navi) e organizzata dal collettivo universitario Liberi Saperi Critici.

Al centro del dibattito l’ecologia politica, come disciplina ma anche come lente utile ai movimenti sociali che si occupano di giustizia climatica e sociale.

Proprio Alice Dal Gobbo introduce il tema dell'Ecologia Politica come ambito di ricerca utile innanzitutto comprendere la sua rilevanza in un contesto di crisi ecologica e climatica come quello odierno. Il nodo centrale dell’ecologia politica risiede nella caratterizzazione delle relazioni umane come sempre inserite in un contesto ambientale più ampio, e quindi sempre socio-ecologiche. Al contempo, le relazioni ecologiche sono necessariamente politiche, e quindi attraversate da relazioni di potere che danno loro forma. Questa disciplina quindi mette in discussione le relazioni socio-ecologiche messe in atto all’interno del sistema capitalista, prendendo in considerazione i vari assi di dominio sui quali si basa.

Dal Gobbo evidenzia inoltre come l’ecologia politica critichi il ruolo della scienza e della tecnologia all’interno di questo sistema: vengono ritenute infatti strumenti di avanzamento sociale basato sul dominio della natura, ponendosi come soluzione alla crisi che esse stesse hanno creato. Lo sforzo dell’ecologia politica è quindi di politicizzare scienza e tecnologia per capire come le scelte di indirizzamento della società siano politiche, e non frutto di uno sviluppo naturale e necessario.

La discussione viene ampliata da Federica Timeto, che esplorala relazione tra ecologia politica e Critical Animal Studies. Timeto situa la sua prospettiva accademica come proveniente dalla sociologia dell’arte e dai Critical Animal Studies (CAS), studi di recente formazione (inizio anni 2000), derivati dagli studi situati e incarnati delle relazioni tra animali umani e non umani. I CAS sono legati al mondo dell'attivismo e appartengo alla teoria critica, in quanto si pongono l'obiettivo di decostruire categorie e saperi esistenti e di parlare con e per gli animali non umani, non soltanto di loro.

L’obiettivo utopico dei CAS è la liberazione totale comune, per dare vita ad una società di relazioni non proprietarie tra animali umani e non. Timeto evidenzia che i CAS sono studi che si inseriscono nell’ecologia politica, ma che spesso nel dibattito riguardo la sostenibilità ambientale manca una componente etico politica che consideri gli animali come agenti sociali e che restituisca loro la dignità che viene invisibilizzata e disconosciuta.

Per parlare di ecologia politica da una prospettiva antispecista è necessario elaborare un’idea di giustizia sociale e multispecie, ridefinendola per decentrare l’umano non marcato, bianco, privilegiato e proprietario. Si tratta perciò non tanto di includere o estendere il concetto di giustizia, ma, in termini harawaiani, di fare attenzione, prestare attenzione, ovvero far arrivare l’altro nel discorso, nella comunità politica. È perciò necessario esercitare la capacità di ascoltare linguaggi diversi, che non siano esclusivamente quelli della ragione, ma anche quelli dei corpi.

Marta Sottoriva adotta una prospettiva di ecologia politica per interpretare le relazioni di dominio della natura, disuguaglianza, ed estrattivismo nel territorio veneziano. Parlare di ecologia politica ha cambiato il modo in cui i movimenti vivono e attraversano le lotte e la resistenza e il Comitato No Grandi Navi ne è esempio. Da diversi anni si batte per l'estromissione delle grandi navi dalla laguna, e, nel 2021, il decreto Draghi ha rappresentato una vittoria, che ha reso legge le rivendicazioni delle lotte cittadine. Questa vittoria non è stata frutto di un governo illuminato ma di 10 anni di lotte, azione diretta, ricerca indipendente e referendum popolari: una mobilitazione cittadina trasversale. Il 2021 ha sancito la fine di una fase di lotta, ma da qualche mese a questa parte se ne è aperta una nuova, che gli assunti dell’ecologia politica aiutano ad affrontare.

Il nuovo tentativo di far tornare le grandi navi a Venezia cambia la visione della città, perché prevede dei cambiamenti che guardano alla laguna tutta. Il cosiddetto “fronte del porto” è una commissione composta dalla governance cittadina e da interessi privati: si parla di ampliare il Canale dei Petroli - Malamocco Marghera, che attraversa tutta la laguna, fino a raddoppiarne larghezza. Al contempo si progettano interventi sul canale Vittorio Emanuele, parallelo al ponte della libertà: scavato nei primi del ‘900 ma interrato da processi naturali. Il complesso di scavi prevede di spostare 7 milioni di metri cubi di fanghi, che secondo alcune ricerche dell’Università Padova e Venezia hanno livelli 120 volte più alti di tossicità del resto della Laguna[1].

Di fronte a questo attacco, la sfida del Comitato No Grandi Navi, insieme ai movimenti per la giustizia climatica e la tutela ambientale parla non solo di difendere la città di pietra da spopolamento e iperturistificazione, ma anche di difendere tutto l’ecosistema lagunare da progetti che andranno a devastare la sua idromorfologia e biodiversità. Questi progetti predatori mostrano come il modello estrattivista si applichi in modo tangibile e concreto nel nostro territorio, mostrando come l’ecologia politica possa contribuire concretamente alle battaglie territoriali e la vita di cittadini e cittadine.

Nella seconda parte della discussione Alice dal Gobbo parla del suo contributo al volume “Introduzione all’ecologia politica”, intitolato “Vita quotidiana e materialismo sostenibile” e dedicato all’ecologia politica della vita quotidiana. Essa critica le politiche neoliberali sulla gestione delle crisi ambientali, che implicano un processo di responsabilizzazione individuale come forma di disciplinamento dei corpi e che depoliticizzano la crisi climatica ed ecologica. Questo tipo di narrazione politica mette al centro l’individuo privilegiato che ha potere di scelta, slega i nostri comportamenti dalle relazioni di potere diseguali che attraversano la responsabilità individuale e nega all’ambiente agency e soggettività.

L’ecologia politica della vita quotidiana esplora i movimenti sociali che partono dalla presa di consapevolezza di queste disuguaglianze, come quelli legati alla giustizia ambientale. Questi studi e mobilitazioni nascono a partire dalle comunità marginalizzate sproporzionatamente esposte a rischi e danni ambientali rispetto alle comunità privilegiate. Ne è esempio la politicizzazione della malattia legata alle condizioni di nocività ambientale: nei movimenti si sono aperti spazi che riconoscono la malattia del corpo umano come espressione di malattia dell’ambiente non umano. Spesso le mobilitazioni che hanno a che fare con la politicizzazione della vita quotidiana nascono dai corpi delle donne, in quanto maggiormente coinvolte nella quotidianità delle attività di cura, relazioni che creano coscienza rispetto alla continuità fra danno ambientale e del corpo umano.

Negli ultimi decenni si sono sviluppati molti movimenti ambientali che partono dalle considerazioni e dalle pratiche del quotidiano, costruite nella modernità capitalista come residuali, marginali, come ad esempio il cibo, le forme della mobilità, il tempo libero o l’energia, e che cercano di riformare tali elementi sulla base della giustizia sociale e ambientale, verso forme più eque di produzione e consumo. Per “materialismo sostenibile”, Alice Dal Gobbo intende una trasformazione del mondo verso l’uguaglianza sociale ed ecologica attraverso la ricerca di modi alternativi e auto-organizzati per rispondere ai nostri bisogni primari. Il quotidiano può essere inteso come sfera di messa in discussione dei modelli che creano nocività per gli esseri umani e per l’ambiente non umano, e di riformulazione del concetto di “buona vita”.

Federica Timeto continua il dibattito approfondendo il ruolo dell’arte nella costruzione di un futuro fuori da questo modello. L’arte è centrale nella decostruzione del dualismo tra immaginario e realtà, tra materia e segno che la performa, che è fondamentale per parlare di alternative e di modi di vita diversi. Questa riflessione è alla base del Manifesto Art for Radical Ecologies, al quale Timeto ha contribuito come parte dell’Institute of Radical Imagination, collettivo di lavoratori e lavoratrici dell’arte, curatrici e ricercatori/ricercatrici. Si compone di 16 articoli, che mettono le basi per un’arte per l’ecologia radicale, combinando teoria e prassi.

La stesura del manifesto è stata portata avanti insieme alle comunità locali, a partire da spazi di attivismo come il Venice Climate Camp e il World Congress for Climate Justice, dove collettivi e altre realtà hanno partecipato ai lavori di discussione e stesura. Il manifesto si interroga sul ruolo dell’immaginazione artistica davanti all'urgenza di trovare strumenti utili, pratici e veloci per agire adesso, posizionandosi in modo chiaro a livello politico ed ecologico. Ne risulta un manifesto che immagina l’Art for Radical Ecology come un insieme di pratiche e discorsi, due elementi mai scindibili, radicati in tre filoni di pensiero: il materialismo storico, i neo-materialismi e degli elementi alla teoria e pratica anarchica, legati all’azione diretta e alla liberazione totale.

Il neo-materialismo, influenzato dai femminismi, porta all’attenzione le relazioni del vivente, aprendo al non umano. Le sue riflessioni non sono però sufficienti, spesso mancano di un’analisi storica delle diseguaglianze sistemiche e delle asimmetrie nelle relazioni di potere. Il materialismo storico ci fornisce gli strumenti per analizzare proprio le forme di dominio, sia ideologiche e materiali, e il suo residuo antropocentrismo viene decentrato dalla prospettiva neo-materialista. Un filone fornisce gli strumenti di prassi e uno quelli di una immaginazione diversa. L’arte è situata come parte del mondo, co-costitutiva dello stesso e forma di lotta per cambiarlo.

Il manifesto vuole mettere a critica il capitalismo e il suo tecnosoluzionismo, lo sfruttamento del lavoro umano e non, e le sue ripercussioni ecologiche. L’arte per ecologia radicale mira a creare alleanze interspecie, per decostruire le relazioni e le strutture tossiche, che siano quelle degli inquinanti o della filantropia tossica dei musei. L’arte, continua Timeto, deve coinvolgere, integrare e non astrarre, deve essere capace di parlare con mezzi creativi e generativi ma non produttivistici, adottando una postura auto-riflessiva sui privilegi che abbiamo ma che possiamo al contempo mobilitare. È questo spirito che animerà la manifestazione di aprile di Sale Docks, intitolata Gathering into the Maelstrom e programmata in occasione dell’inaugurazione della Biennale d’Arte.

Marta Sottoriva conclude parlando del futuro delle mobilitazioni del Comitato No Grandi Navi e di come si articolerà il nuovo immaginario. Per Sottoriva l’immaginario è fondamentale per chi fa movimento e crea resistenza e alternativa. È stato così quando le barche a remi e le barchette con famiglie, giovani, cittadine e cittadini si contrapponevano ai grandi mostri galleggianti da 150mila tonnellate. Un immaginario riesce a ricostruire nell’immediatezza il portato delle lotte: l’immagine dell’azione diretta, delle istanze contro l’inquinamento, dell’erosione dei fondali, dell’incompatibilità delle grandi navi con la nostra città.

Ora si apre una nuova fase: come si ricostruisce un immaginario nuovo, ora che le navi sono lontane dagli occhi? Lo scenario si sposta dalla città di pietra alla città d’acqua, superando una visione ingenua di un ecosistema incontaminato da difendere. Infatti, la storia della laguna è quella di un ambiente antropizzato, dove l’intervento umano è sempre stato in equilibrio con la natura e che si è mantenuto finché l’essere umano ha rispettato questo interscambio delicato e fragile. Il patto fra essere umano e natura in laguna si è rotto a partire dall’ultimo secolo di industrializzazione della città, che ha sconvolto l’idromorfologia lagunare, e definitivamente con lo scavo del canale dei petroli a fine ‘900. Come conseguenza, la laguna sud dei ghebi e delle valli da pesca non esiste più, ormai resa un braccio di mare.

Il comitato deve ricostruire l’indignazione contro l’attacco ancora più grande e pericoloso che si profila all’orizzonte, c’è la necessità di costruire immaginario forte che parli della resistenza in laguna e di alleanze con la natura non umana che la abita. Sottoriva suggerisce un cambio di paradigma, che parte da un dato: il 70% della biodiversità lagunare è stata persa, con conseguenze irreversibili per il nostro ecosistema come lo conosciamo. Propone quindi di intessere delle alleanze interspecie, in modo da diventare noi stessi, in quanto parte di un ecosistema che si difende, la laguna che resiste.

Questa primavera, il Comitato No Grandi Navi inizierà proprio da qui e, in occasione dell’apertura della Biennale d’Arte occuperà un’isola della laguna, partendo da una grande manifestazione alle Zattere e in collaborazione con l’Institute for Radical Imagination e Sale docks. Insieme ad artisti internazionali il Comitato inizierà a costruire insieme questo nuovo immaginario, questa nuova fortezza in laguna. La conclusione di Sottoriva è un invito ad essere parte attiva della lotta, a costruire insieme un nuovo immaginario e delle nuove pratiche radicali.

Immagine di copertina: una mobilitazione a Lützerath (GER) contro la miniera di carbone.


[1] Le Scienze. (2023, October 27). Laguna di Venezia: Vongole in pericolo a causa dei sedimenti contaminati. Le Scienze.