La censura preventiva di ENI: il caso della trasmissione “Petrolio”

L’azienda italiana non solo si è rifiutata di partecipare alla trasmissione, ma ha obbligato gli autori a leggere un comunicato aziendale durante la puntata, minacciando che non avrebbe accettato «accuse inaccettabili».

2 / 3 / 2024

Spesso si sente parlare di censura, libertà d’informazione, indipendenza del giornalismo. Sono concetti associati a grandi battaglie valoriali, ma che sempre più spesso sfuggono alla comune percezione perché si incuneano nei perversi meccanismi attraverso i quali l’essenza stessa dell’informazione e della comunicazione si rimodula in modo repentino e costante.

Ci sono, però, alcuni casi in cui l’idea di censura emerge in maniera nitida, soprattutto quando si parla di “servizio pubblico”. Ricorderemo tutti le vergognose dichiarazioni a favore di Israele dell’amministratore delegato della RAI Roberto Sergio dopo il Festival di Sanremo, talmente vergognose l’indignazione generale che si è manifestata in non pochi presidi sotto le sedi RAI di tutta Italia.

Ma cosa succede quando la censura è così subdola da diventare preventiva? Stiamo parlando del caso di ENI e della puntata di Petrolio, il programma d’inchiesta condotto da Duilio Gianmaria su Rai 3, che nella prima puntata della tredicesima edizione, andata in onda lo scorso 27 febbraio, ha avuto come tema gli effetti dei combustibili fossili sulla crisi climatica in atto. L’indagine alla base della puntata svelava come le big oil international sapessero degli effetti nefasti sul clima delle loro attività già dagli anni ’60, ma siano sempre riuscite a manipolare i dati delle ricerche scientifiche e a nasconderli all’opinione pubblica. Gran parte della trasmissione si è incentrata sul colosso Exxon, ma tra le multinazionali tirate in ballo ci sarebbe dovuta essere anche la “nostrana” ENI. L’azienda italiana non solo si è rifiutata di partecipare alla trasmissione, ma ha obbligato gli autori a leggere un comunicato aziendale durante la puntata, minacciando che non avrebbe accettato «accuse inaccettabili» che, a loro dire, «saranno demolite in altre sedi».

Un tweet del giornalista Ferdinando Cotugno spiega nei dettagli i retroscena di tutto questo. In breve, il giornalista era stato contattato dagli autori di “Petrolio” per fare da contraddittorio proprio ad ENI. Nei giorni successivi all’invito, prima gli viene comunicata l’assenza di rappresentanti della multinazionale italiana e, quattro giorni prima della puntata, viene avvisato con un messaggio che la sua partecipazione è cancellata, per "scelta autoriale". Morale della favola: di ENI non si può parlare durante la trasmissione, una vera e propria censura preventiva.

Non è la prima volta che ENI prende di mira la cosiddetta “libertà di stampa”. Era accaduto nel dicembre 2021, quando la trasmissione Report decide di intervistare il direttore di ReCommon Antonio Tricarico nell’ambito dell’inchiesta sul giacimento petrolifero nigeriano Opl 245 e l’accusa a ENI di corruzione internazionale per oltre un miliardo di dollari. Prima della puntata ReCommon riceve per conoscenza dall’avv. Stefano Speroni, direttore dell’ufficio legale dell’Eni, una email indirizzata alla trasmissione Report della RAI e al suo conduttore Sigfrido Ranucci in cui si citava testualmente che “ReCommon e Antonio Tricarico non possono essere interlocutori del servizio pubblico RAI, e in particolare della trasmissione Report” (leggi qui per approfondire).

I due casi hanno molto in comune, anche perché nella puntata di Petrolio l’intenzione era quella di fare emergere come anche ENI conoscesse gli effetti delle fonti fossili sul clima già da decenni, cosa che proprio ReCommon ha svelato in una ricerca condotta insieme a Greenpeace pubblicata lo scorso settembre. La ricerca, dal titolo esplicativo “ENI sapeva”, dimostra come sin dalla prima metà degli anni Settanta il Cane a sei zampe ha fatto parte dell’IPIECA, un’organizzazione fondata da diverse compagnie petrolifere internazionali che, secondo recenti studi, a partire dagli anni Ottanta avrebbe consentito al gigante petrolifero statunitense Exxon di coordinare “una campagna internazionale per contestare la scienza del clima e indebolire le politiche internazionali sul clima”. Felice Manarco, coordinatore della ricerca, spiegava così i risultati: «La nostra indagine dimostra come ENI possa essere aggiunta al lungo elenco di compagnie fossili che, come è emerso da numerose inchieste internazionali condotte negli ultimi anni, erano consapevoli almeno dai primi anni Settanta dell’effetto destabilizzante che lo sfruttamento di carbone, gas e petrolio esercita sugli equilibri climatici globali, a causa delle emissioni di gas serra».

Di fronte a tutto questo, la compagnia petrolifera italiana ha proseguito la sua strategia di occultamento della verità, non solo non partecipando alla trasmissione Petrolio, ma addirittura minacciando a mezzo comunicato gli autori della ricerca. Come scrive ReCommon sulla sua newsletter, «Durante il programma, siamo arrivati ad una situazione kafkiana quando alla professoressa di Harvard Naomi Oreskes, in collegamento in diretta, è stato chiesto quanto le oil major mettano pressioni sulla stampa per zittirla su argomenti “scomodi”. La celebre storica della scienza ha fatto umilmente notare che era quanto appena accaduto con il comunicato di ENI».     

Siamo quindi tra il ridicolo e l’assurdo, ma soprattutto ci troviamo ancora una volta a che fare con l’arroganza delle multinazionali del fossile anche di fronte alle evidenze fattuali, Un’arroganza che è spesso determinata da quell’impunità che il capitalismo fossile continua ad avere in tutto il mondo, complice la completa (e voluta) mancanza di assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni, come ampiamente dimostrato nell’ultima Cop tenutasi a Dubai.

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** L’articolo è stato messo a disposizione di Sustainable Information (S-info), progetto finanziato dal programma Europa Creativa della Commissione Europea, ha come capofila Tele Radio City (editore anche di Global Project) ed è portato avanti con altre tre realtà europee (S-Com del Belgio, Republika di Malta e Context della Romania).

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