Sabato 4 maggio a Taranto corteo nazionale “Noi vogliamo vivere”, contr le politiche governative sull’ILVA, sulle grandi opere e sulle questioni ambientali. L’appuntamento è in Piazza Gesù divin lavoratore alle 14.
Sono ormai diversi anni che i maggiori enti di ricerca
scientifica hanno lanciato l'allarme per salvaguardare il nostro pianeta giunto
ad un punto di non ritorno. Le devastazioni ambientali dovute alle scellerate
politiche economiche dei paesi industrializzati, hanno radicalmente cambiato
l'aspetto di intere nazioni, rendendo invivibili alcuni territori e
danneggiandone gravemente altri. Tutto ciò fa capo ad un modello di sviluppo
nocivo, che antepone gli interessi di banche e industrie alle reali esigenze delle
comunità, sempre più schiacciate dai ricatti.
Non fa eccezione il nostro Paese, che sta provando sulla propria pelle
l'insistenza cieca dei governi che si susseguono nel realizzare le cosiddette
grandi opere, veri e propri esempi di sperpero di denaro pubblico, di
saccheggio ambientale e corruzione. Se da una parte questo costituisce un
business per le solite tasche, dall'altra si scontra prepotentemente con le
infrastrutture già esistenti che cadono a pezzi; si contano le vittime dopo
ogni terremoto o ondata di maltempo, noncuranti del fatto che le prime cause
sono imputabili proprio alla cementificazione selvaggia e ad una gestione delle
risorse a senso unico. Tutto questo deve cessare.
Negli ultimi anni in tutta Italia sono nati comitati e movimenti che affiancano
quelli già esistenti sui territori regionali, che lottano a gran voce contro
l'imposizione di opere dannose, come il TAV, il MUOS in Sicilia, il TAP nel
Salento, le trivellazioni petrolifere nell'Adriatico, nello Ionio e in
Basilicata e soprattutto l'ILVA di Taranto (ora Arcelor Mittal) con la quale
vecchie e nuove forze politiche si sono costruite una falsa identità, tradendo
le promesse fatte nelle solite campagne elettorali e riciclandosi a nuovi
tutori ambientali.
La piattaforma che intendiamo presentare alle suddette realtà, non è un frutto
improvvisato di valutazioni di pancia, ma una condivisione di saperi ed
esperienze di chi in questo territorio ci ha sempre messo la faccia e spesso la
propria libertà personale, rendendo la questione ILVA molto più di una
battaglia ambientalista.
Abbiamo imparato a nostre spese che in questa città è in atto un vero e proprio
genocidio; l'avvelenamento dei fumi e delle polveri determina la mutazione
genetica del DNA che provoca malattie mortali fin dalla nascita, oltre ai danni
collaterali causati dai metalli pesanti che si insinuano nei nostri corpi.
Tutto questo per salvaguardare gli interessi di un'industria che adesso
evidenzia i propri limiti bloccando ogni tipo di sviluppo alternativo. Difatti
è importante evidenziare come i disastri prodotti dall'intero polo industriale
non siano soltanto ambientali ma soprattutto economici e sociali. All'interno
del dibattito rispetto alle alternative in contrasto al modello industriale, vi
è l'esigenza di un polo universitario autonomo e indipendente da altre sedi,
che possa davvero essere il motore di una riconversione culturale e politica
del territorio tarantino. L'abbandono da parte delle istituzioni ha raggiunto
il suo apice con i Wind days, giorni in cui i bambini e le bambine del
quartiere Tamburi non possono frequentare regolarmente le lezioni, vedendosi
privati del diritto allo studio oltre che del diritto alla vita.
Non vi può essere altro tipo di sviluppo se nei pensieri comuni esiste
tutt'oggi la monocultura dell'acciaio, l'industria come unica fonte di lavoro:
mai negli ultimi sessant'anni ci si è interrogati su cosa questa città
necessiti davvero, lasciando che interi quartieri vivessero in funzione del
sistema ILVA e della criminalità organizzata, sempre padrona dei territori
quando c'è mancanza di alternative lavorative e di avamposti culturali.
Assistiamo ancora alla contrapposizione salutelavoro, un ricatto che penalizza
gli operai tanto quanto le decine di migliaia di disoccupati che non sono
riusciti ad investire nel proprio futuro in questa città martoriata. Crediamo
che ci sia la necessità di studiare piani di bonifica come prima misura per
arginare la dispersione dell'attuale forza lavoro e garantirne il proseguo nei
prossimi anni.
Per fermare questa macchina mortale è necessario attuare una forma di welfare
sostenibile che includa diritti universali, piani di lavoro alternativi,
bonifiche dei territori avvelenati, costruzione di modelli sociali inclusivi e
non esclusivi, riqualificazione dei quartieri abbandonati, sanità pubblica e
gratuita per chi soffre di patologie legate all'inquinamento e tutela delle
specificità del territorio, salvaguardando arte e cultura.
Per questo il 4 maggio scendiamo in piazza, e lo facciamo chiedendo il supporto
di ogni realtà nazionale vicina al nostro dramma, per dimostrare che la
questione ILVA non è relegata soltanto al territorio tarantino, ma rappresenta
quel tipo di modello di sviluppo sbagliato, da combattere ad ogni costo. Non
vogliamo assistere quel giorno a passerelle di chi è stato complice finora con
questa devastazione, da partiti bipartisan a sindacati firmatari degli accordi
con l'azienda.
E' stata dichiarata guerra alla nostra città; lo Stato ha esplicitamente
deliberato che Taranto deve morire e lo ha fatto emanando dodici decreti
Salva-Ilva, oltre a garantire l'immunità penale per i nuovi proprietari. Noi
abbiamo capito da che parte stare e non vogliamo più assistere a questa lenta
agonia.
«Arriva un momento in cui il funzionamento della macchina diventa cosi odioso,
ti fa stare cosi male dentro, che non puoi più parteciparvi, neppure
passivamente. Non resta che mettere i nostri corpi tra le ruote degli
ingranaggi, sulle leve, sull'apparato, fermare tutto. E far capire a chi sta
guidando la macchina, a quelli che ne sono i padroni, che finché non saremo
liberi non potremo permettere alla macchina di funzionare». (Mario Savio)