La rivolta tunisina 2.0 ed il suo impatto nello scontro tra tradizione e modernità.

Tunisia.exe

di Antonio Musella

10 / 1 / 2011

Quello che sta avvenendo dall’altro lato del Mediterraneo, in particolar modo quello che avviene in Tunisia, uno dei paesi del Maghreb in cui da alcune settimane si sta estendendo una rivolta sociale, lascia davvero stupiti.

La meraviglia non nasce certo dalla crescente mobilitazione nata dopo la morte di Sidi Bouzid, fruttivendolo a cui la polizia di Ben Alì aveva sequestrato il suo banco di frutta e per la disperazione si è dato fuoco, non nasce dal fuoco sulla polizia, non nasce da quell’estetica dello scontro che rappresenta comunque il benedetto profumo di rivolta che si estende.

Nasce semmai dallo scoprire che quella che è in atto in Tunisia in questi giorni è la rivolta che vede, al di là delle dinamiche sociali che la animano, gli strumenti di lotta telematicamente più avanzati. Un misto di internet, sindacato, pietre e system failure dei sistemi informativi del governo tunisino, che ci fanno descrivere la rivolta tunisina come un esempio avanzatissimo di rivolta sociale 2.0.

In merito alla composizione sociale dell’insorgenza tunisina abbiamo ben capito come i costi della crisi siano piombati nel paese del dittatore Ben Alì sulle spalle di giovani laureati disoccupati, sugli studenti, su uno spaccato sociale con una formazione scolastica medio alta che hanno coltivato la propria esistenza nella speranza di una mobilità sociale verso l’alto ed improvvisamente si ritrovano a dover fare i conti con gli stenti della sopravvivenza. Una composizione sociale che se vogliamo somiglia in diversi tratti a quello che sta avvenendo in diversi luoghi del mondo e che in Italia si è espresso il 14 dicembre scorso nel giorno della fiducia al governo Berlusconi.
Fulvio Massarelli sul “Il Manifesto” c’ha raccontato bene di questa composizione sociale capace di essere la prima espressione di conflitto contro la crisi nei paesi arabi. Una lotta che vede nelle sedi sindacali dei luoghi di connessione delle lotte, in cui una generazione di / giovani / arabi / disoccupati / scolarizzati /, ritrovano il confronto ed articolano una ribellione che nasce contro la crisi ed il carovita ed immediatamente si pone come ribellione contro la dittatura di Ben Alì.
Ma è l’uso della rete che sta caratterizzando la rivolta tunisina.
Come già avvenuto per l’onda verde iraniana i giovani tunisini hanno utilizzato internet ed in particolar modo i social network come Facebook e Twitter per scambiarsi i video della rivolta, per chattare e costruire mobilitazioni, per diffondere all’estero nel immagini della rivolta bucando sistematicamente la censura del governo. Esattamente come in Iran il governo tunisino ha proceduto ad un’opera di censura capillare in rete, bloccando la condivisione dei video, ed arrivando, anche con sofisticati sistemi di censura on line – nome in codice Ammar -  a bannare le parole “Said Bouzid” dagli “stati” e dai “post” di Facebook e Twitter.
In questo modo la rivolta tunisina ha cominciato a nominarsi.
Siamo tutti Said Bouzid innanzitutto !
Fino a qui l’utilizzo della rete anche in Tunisia dopo l’Iran ci conferma come proprio dai popoli arabi il tema della acuirsi dello scontro tra modernità e tradizione sotto i colpi della crisi sta producendo frutti senza dubbio interessanti, positivi e tutt’altro che scontati.
Ma in Tunisia è entrata in scena anche la rete Anonymous, una rete globale di hacker artefici degli attacchi a Visa, Mastercad, PayPal ed Amazon dopo l’arresto di Assange nell’ambito delle rivelazioni del sito Wikileaks. Anonymous ha lanciato un breve comunicato invitando il governo tunisino a cessare la censura on line. Gli uomini di Ben Alì devono aver sottovalutato il pericolo hacker, i quali improvvisamente sono diventati una nuova componente della rivolta tunisina.
In down sono finiti tutti i siti governativi, sistemi informativi, e persino il sito del primo ministro. Si chiama #OpTunisia, la campagna di Anonymous che sta contribuendo anche alla diffusione tra i cybernauti tunisini, che rappresentano la più grande comunità Facebook del Nord Africa, del sistema di navigazione TOR, un sistema sofisticatissimo che garantisce di navigare in anonimato e quindi bucare la censura mediatica della polizia.

Insomma la Tunisia ci sta fornendo la rivolta più aggiornata vista fino ad ora.
Da un lato le sedi sindacali come luoghi di discussione e confronto politico, se vogliamo dei luoghi classici anche se non possono essere considerati come le centrali sindacali occidentali avendo una storia e soprattutto un contesto culturale e politico differente; dall’altro l’utilizzo della rete nella comunicazione di massa globale; dall’altro ancora nelle piazze con pietre ed assalti e nella rete con attacchi ai siti governativi.

Ciò che non dobbiamo mai dimenticare però è che la Tunisia (così come l’Algeria) è un paese arabo, dove l’Islam per lunghi decenni del novecento ha rappresentato il collante sociale che talvolta svolgeva il ruolo di mediatore dei conflitti assorbendoli, diluendoli e sedandoli, nel nome di una direzione religiosa che vedeva nelle leve del potere governativo il suo vero burattinaio.

Ciò che si consuma è senza dubbio una rivolta contro la crisi, ma in un paese ed in una regione dove è vivo il conflitto tra modernità e tradizione.

Dopo i drammi delle conquiste coloniali e delle successive liberazioni, l’Islam è diventato nei paesi del Maghreb, da un lato collante sociale e culturale, dall’altro strumento di articolazione e veicolazione dell’avversione verso l’occidente e la sua cultura, identificata – a ragion veduta – come l’incarnazione dello sfruttatore e del colonizzatore. Dal dopo guerra in poi il mix tra Islam e lotta di liberazione ha prodotto i nazionalismi che hanno poi dato vita ai governi dittatoriali che ancora oggi tengono in scacco il Maghreb. L’idea stessa della nazione islamica, dell’unità del popolo islamico sulla sua terra, della simbologia e dei riti musulmani ha contribuito alla costruzione di un modello culturale che alla fine ha accettato altre oppressioni.
Ben Alì in Tunisia, Mubarak in Egitto, Gheddafi in Libia e via discorrendo, sono il frutto di una impostazione culturale che muoveva dal desiderio di liberazione dal giogo coloniale ma che, grazie soprattutto all’Islam, si è trasformato nella costruzione di una nuova oppressione. Un Islam che nel novecento ha dimenticato la sua capacità e propulsione all’innovazione ed al rinnovamento trovando nei suoi interpreti personaggi legati dal desiderio di potere e talvolta, così compromessi con gli interessi occidentali che dicevano di voler combattere, da divenire dei pupazzi ridicoli agli occhi dell’occidente stesso.

I giovani tunisini che animano le rivolte di queste settimane dovrebbero ricordare la storia del gruppo di giovani maghrebini guidati dall’imam egiziano Rifa’a Rasi al – Tahtawi, che tra il 1826 ed il 1831 andarono in Francia con il compito di imparare le scienze esatte, la tecnica e le scienza umane per poterle applicare in Egitto.
Tahtawi tenne un diario – L’oro di Parigi – che è diventato un classico nei paesi musulmani grazie alla prospettiva dello sguardo e dell’analisi dello stesso Tahtawi e dei quaranta studiosi maghrebini che erano con lui. Si sentivano depositari del futuro, un sentimento di emancipazione e di rinnovamento che ha scosso in quegli anni tutti i paesi del Nord – Africa e che ha dimostrato come anche l’Islam di quel tempo fosse senza dubbio ben lontano dal rigetto della modernità che ne ha caratterizzato l’evolversi per la seconda metà del novecento.
Un sentimento di rinnovamento ed emancipazione che ha caratterizzato anche la Tunisia in anni più recenti, come la fondazione nel 1981 del I.P.T – Islamismi Progressisti Tunisini – che provarono a costruire una sinistra islamica attraverso la rivista << XV/XXI>> che sta a significare il quindicesimo secolo dell’ègira ed il terzo millennio. [1]                                                     

I ribelli tunisini sono oggi lo specchio dello scontro di una regione che si misura nel contesto della crisi in una lotta tra modernità e tradizione . Il progressivo prevalere della ragione umana sulla ragione divina muove tali mutamenti. La nascita di una idea di cittadinanza che si esprime nel desiderio di liberarsi dall’oppressione dittatoriale, il passaggio ad una economia globale che oggi fa sentire i morsi della crisi, il mutamento strutturale degli strati sociali sono impensabili senza il passaggio epistemologico dalla visione teocentrica a quella umanista[2].

Infondo nel mondo musulmano il confronto tra avvenimenti politici e socio economici dimostra la difficile emergenza della modernità sul piano intellettuale e su quello politico e la costante oscillazione fra tendenze conservatrici, che hanno caratterizzato gli ultimi decenni, e superamento delle stesse, che è quello che si sta vivendo oggi.

Se vogliamo è stato proprio lo scontro con le culture occidentali a produrre questa frizione che va vista come positiva. Già duecento anni fa Engels in una corrispondenza con Marx elogiava addirittura la conquista dell’Algeria da parte dei colonizzatori perché avrebbe messo nelle condizioni gli altri Stati arabi ad una svolta di progresso civile.

La conquista dell’Algeria ha già forzato i Bey di Tunisi e Tripoli, come il Re del Marocco, a impegnarsi sul cammino della civiltà. Sono stati obbligati a trovare per i loro popoli altre occupazioni…”[3]

Non ci pare un caso che proprio davanti alla crisi, nuovi mutamenti sociali possano contribuire ad una stagione di rinnovamento dal basso del mondo arabo e delle sue istituzioni. La rivolta tunisina, forse più della rivolta del pane in Algeria, ci consegna oggi uno fenomeno sociale importantissimo, dove non solo si palesa un conflitto sociale contro la crisi nel mondo arabo, fatto decisamente nuovo, ma al tempo stesso si delinea la possibilità di innovazione e cambiamento in quella regione, dove parole come libertà, democrazia e diritti sono categorie dimenticate che premono per essere affermate. Gli interpreti dell’Islam non possono certo dire di essere estranei a ciò che avviene. L’Islam in quella regione ha avuto un ruolo centrale in tutti i cambiamenti sociali e culturali.
Questa volta l’affermazione del tawhid – l’unicità di Dio su tutto – rischia di essere travolta dal cambiamento…e magari anche da un attacco telematico…

“Guai a quelli che fanno l’orazione

e sono incuranti delle loro orazioni,

che sono pieni di ostentazione

e rifiutano di dare ciò che è utile

Il Corano, Sura CVII, vv. 4 -7



[1] Mohammed Arkoun, “Contributo allo studio dell’umanesimo arabo dal VI al X secolo

[2]L’islam contemporaneo” di Khaled Fouad Allam, in “Islam” a cura di G.Filoramo

[3]  Corrispondenza tra Marx ed Engels del 22 gennaio 1848 (corrispondenza inedita fino al 1976)