Egitto - Il giorno della rabbia

28 / 1 / 2011

n un Egitto che assomiglia sempre di più alla Tunisia, con la rivolta che brucia forte nelle aree più periferiche e povere del paese, come Suez, e che, già oggi, tornerà ad infiammare il Cairo e Alessandria, ha fatto ieri il suo rientro Mohammed ElBaradei, ex presidente dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica e ora leader dell'Assemblea nazionale per il cambiamento (Anc), ritenuto l'unico esponente dell'opposizione egiziana in grado di imporre al raìs Mubarak un passo indietro. «Tendiamo una mano, ma il regime deve capire che è assolutamente necessario un cambiamento», ha affermato ElBaradei, accolto all'aeroporto del Cairo da centinaia di simpatizzanti e da decine giornalisti internazionali, sotto una vigilanza stretta delle forze di polizia «Tutte le richieste di apertura di riforma sono state ignorate - ha spiegato ElBaradei - e quindi bisogna dare merito ai giovani che sono andati in strada». Oggi il leader dell'Anc sarà ad Alessandria alla testa delle manifestazioni previste nella città costiera, parte del «giorno di collera nazionale» contro il regime che, sperano coloro che stanno lanciando appelli alla partecipazione, si riveli un successo pieno, persino più della «rivoluzione» del 25 gennaio.
La rivolta monta. Più passano i giorni e più gli egiziani osano sfidare il regime al punto da puntare proprio alla caduta del tiranno. Tra gli egiziani non pochi credono che il paese sia tornato alla rivoluzione del Movimento dei Liberi Ufficiali nel 1952 che mise fine al regno di re Faruk. L'obiettivo è anche quello di impedire che Mubarak passi lo scettro al figlio Gamal, dando vita ad una dinastia politica. Ma ElBaradei al Cairo è tornato da riformista non da rivoluzionario, nelle vesti di chi vuole una transizione dolce verso un sistema più democratico. Non ha chiesto a Mubarak di dimettersi subito come molti suoi sostenitori si aspettavano. Ha smentito inoltre una sintesi di sue dichiarazioni fatta dalla tv al Arabiya che gli ha attribuito l'intenzione di voler «prendere il potere» in Egitto. «Non ho mai detto cose di questo genere», ha chiarito ElBaradei «Io sono qui per lavorare per un cambiamento ordinato e pacifico». L'unica stoccata vera il leader dell'Anc l'ha riservata, prima di partire per il Cairo, al Segretario di stato Hillary Clinton. «Sono rimasto allibito e sconcertato dalle sue parole», ha detto. Clinton il 25 gennaio aveva definito il governo «stabile».
L'atteggiamento fin troppo prudente adottato da ElBaradei una volta atterrato nella capitale, alimenta le voci di chi lo vorrebbe sotto pressione da parte degli Stati uniti e di diversi governi occidentali, timorosi che la caduta dell'alleato Mubarak porti ad uno sconvolgimento degli «equilibri regionali». A ElBaradei, che è filo-occidentale, forse è stato consigliato di gettare acqua e non benzina sul fuoco della rivolta per il «Pane e Libertà». In cambio, ovviamente, dell'annuncio di vere riforme politiche da parte di Mubarak, a cominciare dalla Costituzione pilastro del regime. Non sorprende perciò che in Israele stiano tifando per Mubarak «pedina - dice qualcuno - fondamentale del sistema di sicurezza regionale», e parte attiva non solo nel tenere sotto il tallone i Fratelli musulmani in Egitto ma anche nell'assedio di 1,5 milioni di palestinesi della Striscia di Gaza dove è al potere Hamas. L'Egitto non è la Tunisia, sintetizzava ieri l'ex ambasciatore israeliano al Cairo, Gideon Ben-Ami, certo che il sistema repressivo di Mubarak abbia i mezzi per sfuggire all'epilogo di Tunisi, segnato dalla precipitosa fuga del presidente Ben Ali. «In Egitto - ha spiegato Ben Ami - ci sono forze di sicurezza e servizi d'intelligence che sanno far fronte alla situazione nel caso d'una minaccia alla sopravvivenza (del regime). E hanno già cominciato ad agire di conseguenza».
E ieri li abbiamo visti di nuovo in azione gli apparati di sicurezza del regime che tanto rassicurano l'ambasciatore Ben Ami e un po' tutti leader occidentali, ai quali ben poco interessa che 80 milioni di egiziani siano prigionieri di un regime che nega libertà fondamentali. Ieri a Suez, lontani dalle telecamere presenti in massa al Cairo, i reparti antisommossa hanno sparato di tutto e di più contro i manifestanti che hanno sfogato la loro rabbia dando fuoco ad edifici governativi e sedi del partito di Mubarak. «Il governo e le forze di sicurezza hanno imposto il pugno di ferro a Suez. Tutti i servizi di comunicazione sono stati interrotti ed è stato vietato l'ingresso dei giornalisti nella città», ha denunciato l'Arabic Network for Human Rights riferendo anche dell'interruzione delle forniture di acqua ed elettricità «in un tentativo di sopprimere cortei pacifici per chiedere democrazia e condizioni di vita più decorose». A Sheikh Zuid, rimasta al buio la scorsa notte, nel distretto di el Arish (Sinai), il fuoco della polizia ha ucciso due giovani. Sono almeno mille i dimostranti arrestati in questi ultimi tre giorni e i servizi di sicurezza proseguono i rastrellamenti. Ma oggi si replica. L'Egitto potrebbe di nuovo esplodere facendo tremare le fondamenta del potere del raìs.

Tratto da: