n un Egitto che assomiglia sempre di più alla
Tunisia, con la rivolta che brucia forte nelle aree più periferiche e
povere del paese, come Suez, e che, già oggi, tornerà ad infiammare il
Cairo e Alessandria, ha fatto ieri il suo rientro Mohammed ElBaradei, ex
presidente dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica e ora
leader dell'Assemblea nazionale per il cambiamento (Anc), ritenuto
l'unico esponente dell'opposizione egiziana in grado di imporre al raìs
Mubarak un passo indietro. «Tendiamo una mano, ma il regime deve capire
che è assolutamente necessario un cambiamento», ha affermato ElBaradei,
accolto all'aeroporto del Cairo da centinaia di simpatizzanti e da
decine giornalisti internazionali, sotto una vigilanza stretta delle
forze di polizia «Tutte le richieste di apertura di riforma sono state
ignorate - ha spiegato ElBaradei - e quindi bisogna dare merito ai
giovani che sono andati in strada». Oggi il leader dell'Anc sarà ad
Alessandria alla testa delle manifestazioni previste nella città
costiera, parte del «giorno di collera nazionale» contro il regime che,
sperano coloro che stanno lanciando appelli alla partecipazione, si
riveli un successo pieno, persino più della «rivoluzione» del 25
gennaio.
La rivolta monta. Più passano i giorni e più gli egiziani
osano sfidare il regime al punto da puntare proprio alla caduta del
tiranno. Tra gli egiziani non pochi credono che il paese sia tornato
alla rivoluzione del Movimento dei Liberi Ufficiali nel 1952 che mise
fine al regno di re Faruk. L'obiettivo è anche quello di impedire che
Mubarak passi lo scettro al figlio Gamal, dando vita ad una dinastia
politica. Ma ElBaradei al Cairo è tornato da riformista non da
rivoluzionario, nelle vesti di chi vuole una transizione dolce verso un
sistema più democratico. Non ha chiesto a Mubarak di dimettersi subito
come molti suoi sostenitori si aspettavano. Ha smentito inoltre una
sintesi di sue dichiarazioni fatta dalla tv al Arabiya che gli ha
attribuito l'intenzione di voler «prendere il potere» in Egitto. «Non ho
mai detto cose di questo genere», ha chiarito ElBaradei «Io sono qui
per lavorare per un cambiamento ordinato e pacifico». L'unica stoccata
vera il leader dell'Anc l'ha riservata, prima di partire per il Cairo,
al Segretario di stato Hillary Clinton. «Sono rimasto allibito e
sconcertato dalle sue parole», ha detto. Clinton il 25 gennaio aveva
definito il governo «stabile».
L'atteggiamento fin troppo prudente
adottato da ElBaradei una volta atterrato nella capitale, alimenta le
voci di chi lo vorrebbe sotto pressione da parte degli Stati uniti e di
diversi governi occidentali, timorosi che la caduta dell'alleato Mubarak
porti ad uno sconvolgimento degli «equilibri regionali». A ElBaradei,
che è filo-occidentale, forse è stato consigliato di gettare acqua e non
benzina sul fuoco della rivolta per il «Pane e Libertà». In cambio,
ovviamente, dell'annuncio di vere riforme politiche da parte di Mubarak,
a cominciare dalla Costituzione pilastro del regime. Non sorprende
perciò che in Israele stiano tifando per Mubarak «pedina - dice qualcuno
- fondamentale del sistema di sicurezza regionale», e parte attiva non
solo nel tenere sotto il tallone i Fratelli musulmani in Egitto ma anche
nell'assedio di 1,5 milioni di palestinesi della Striscia di Gaza dove è
al potere Hamas. L'Egitto non è la Tunisia, sintetizzava ieri l'ex
ambasciatore israeliano al Cairo, Gideon Ben-Ami, certo che il sistema
repressivo di Mubarak abbia i mezzi per sfuggire all'epilogo di Tunisi,
segnato dalla precipitosa fuga del presidente Ben Ali. «In Egitto - ha
spiegato Ben Ami - ci sono forze di sicurezza e servizi d'intelligence
che sanno far fronte alla situazione nel caso d'una minaccia alla
sopravvivenza (del regime). E hanno già cominciato ad agire di
conseguenza».
E ieri li abbiamo visti di nuovo in azione gli
apparati di sicurezza del regime che tanto rassicurano l'ambasciatore
Ben Ami e un po' tutti leader occidentali, ai quali ben poco interessa
che 80 milioni di egiziani siano prigionieri di un regime che nega
libertà fondamentali. Ieri a Suez, lontani dalle telecamere presenti in
massa al Cairo, i reparti antisommossa hanno sparato di tutto e di più
contro i manifestanti che hanno sfogato la loro rabbia dando fuoco ad
edifici governativi e sedi del partito di Mubarak. «Il governo e le
forze di sicurezza hanno imposto il pugno di ferro a Suez. Tutti i
servizi di comunicazione sono stati interrotti ed è stato vietato
l'ingresso dei giornalisti nella città», ha denunciato l'Arabic Network
for Human Rights riferendo anche dell'interruzione delle forniture di
acqua ed elettricità «in un tentativo di sopprimere cortei pacifici per
chiedere democrazia e condizioni di vita più decorose». A Sheikh Zuid,
rimasta al buio la scorsa notte, nel distretto di el Arish (Sinai), il
fuoco della polizia ha ucciso due giovani. Sono almeno mille i
dimostranti arrestati in questi ultimi tre giorni e i servizi di
sicurezza proseguono i rastrellamenti. Ma oggi si replica. L'Egitto
potrebbe di nuovo esplodere facendo tremare le fondamenta del potere del
raìs.
Egitto - Il giorno della rabbia
28 / 1 / 2011
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