Raid contro Isis e Pkk, la Nato appoggia la Turchia

29 / 7 / 2015

Dopo aver lanciato una seconda ondata di attacchi aerei contro le postazioni del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), ponendo fine ad una fragile tregua di due anni, la Turchia ha convocato una riunione straordinaria degli ambasciatori della Nato per discutere delle operazioni militari contro lo Stato islamico (Isis) e contro il partito dei lavoratori curdo (Pkk).

La sessione si è tenuta martedì a Bruxelles e si tratta della quinta convocazione straordinaria nei 66 anni di storia dalla nascita della Nato. In merito a ciò la Turchia si è appellata ai sensi dell'articolo 4 del Trattato che ha fondato l'alleanza guidata dagli Stati Uniti, il quale consente ai suoi 28 Stati membri di chiedere tali consultazioni quando considerano essere in pericolo la loro "integrità territoriale, l'indipendenza politica o la sicurezza". Ankara ha inviato diversi bombardieri in missione – per la seconda volta dopo i primi attacchi di venerdì notte - domenica per annientare i punti logistici, i magazzini, le caserme e le basi del PKK nel nord dell'Iraq, affermando che si trattava di una rappresaglia contro il partito per vendicare i precedenti attacchi di questi ultimi ai danni delle forze di sicurezza turche la scorsa settimana. Va però sottolineato che il PKK ha rotto di fatto la tregua unilaterale con Ankara dopo l’attentato del 20 luglio a Suruç, al confine con la Siria, costato la vita a 32 persone, tutte di etnia curda.

Già da sabato scorso, l'ufficio del premier turco ha annunciato la loro campagna militare non solo contro l'IS, ma anche contro il PKK - che Ankara considera un'organizzazione terroristica - ma le cui forze, nel nord dell'Iraq, stanno contribuendo a frenare l'avanzata jihadista.La Turchia ha combattuto contro i guerriglieri del PKK, per quasi 30 anni fino a raggiungere un cessate il  fuoco nel 2013. La risposta del PKK arriva immediata nel momento in cui afferma che “gli attacchi aerei avevano reso la tregua praticamente insignificante”.

D'altro canto le parole del Segretario Generale dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg suggellano la condanna degli attacchi dello Stato Islamico e del Pkk, dando l'aperto appoggio ai raid aerei in Siria ed Iraq. “Dichiariamo la nostra forte solidarietà con il nostro alleato, la Turchia, per porre fine all’instabilità alle porte del Paese e ai confini della Nato”; tuttavia i 28 componenti del vertice tenutosi ieri hanno anche invitato la Turchia ad un uso proporzionato della forza, per raggiungere una soluzione politica nel processo di pace con i curdi.

La tensione, però, resta alta: la Turchia non intende fare alcun passo indietro nella lotta al terrorismo e vengono oltremodo equiparate con la stessa determinazione le operazioni contro i jihadisti dell'ISIS e le milizie curde. Questo denota un forte timore che sta diventando man mano più crescente, ossia che che la Turchia voglia affossare i combattenti curdi con la scusa dell'Isis, nel momento in cui ci sono già sospetti più che fondati che la Turchia abbia permesso ai militanti del Califfato Nero di entrare, armarsi e addestrarsi nel suo territorio.

Non ci sarà alcuna presenza militare aggiuntiva ma di fatto gli Stati Uniti scendono in campo al fianco della Turchia, con la decisione di appoggiare la creazione di una zona cuscinetto, una “safe-zone” come viene chiamata da Ankara, che sarà lunga 90 km e avrà diversi compiti: impedire il passaggio dei miliziani, addestrare i ribelli siriani anti-Assad e fare da nuovo rifugio per le centinaia di migliaia di profughi curdi e arabi siriani entrati in Turchia a causa dell’avanzata dell’ISIS. Erdogan cerca con questa safe-zone di impedire al popolo curdo di controllare il territorio limitrofo creando le istituzioni autonome della Carta del Rojava e accogliendo tutti i profughi che fuggono dalla guerra. Una Siria costellata dei frutti della rivoluzione curda sarebbe, del resto, una spina nel fianco per il neo-sultanato turco.