Cara vecchia Italia, cara vecchia Europa: molto più di 194, molto più di RU486.

11 / 8 / 2020

Ci sono voluti anni di lotte e una pandemia mondiale per far sì che – finalmente! - in Italia si possa abortire in day hospital fino alle nona settimana, non più solo fino alla settima, utilizzando la pillola RU486.

La sveglia in molti paesi europei era scattata già nel 2009, nel nostro paese l’abbiamo spenta ben undici anni dopo.

La vittoria arriva dopo un lockdown che ha visto minata ancora di più la possibilità per le donne di abortire, dove le rocambolesche scusanti all’impossibilità di interrompere le gravidanza venivano comodamente demandate al Covid-19 e non a strutture ostacolanti, a un bigottismo e ad un tasso di obiezione già dilagante nel nostro vecchio stivale.

Sicuramente cruciali sono state le battaglie portate avanti da Non Una Di meno, Obiezione respinta e Ho Abortito e Sto Benissimo che, attraverso la campagna #sosaborto, hanno indagato e portato alla luce lo stato della libertà di scelta delle donne che si trovano nel nostro paese non soltanto durante la quarantena, dove sicuramente l’aborto è stato per scelta l’ultimo pensiero del governo.

Ci è voluto persino l'espressione bigotta e conservatrice della Regione Umbria, che aveva ben deciso di impedire l’interruzione di gravidanza a mezzo RU486.

Alla fine il Ministero della salute ha deciso, nel 2020, di adeguarsi alle normative europee sulla somministrazione delle pillola abortiva, senza più lasciare questa libertà alla regioni.

Al momento la RU486 è somministrabile solo negli ospedali, ma la battaglia del movimento transfemminista Non Una di Meno non accenna a fermarsi in quanto va garantita l’estensione della somministrazione della pillola anche nei consultori. Consultori che andrebbero ampliati e finanziati per garantire la salute sessuale e riproduttiva e la libertà di scelta alle donne e a tutte le soggettività libere.

«Molto più di 194» appunto, i consultori devono diventare un luogo fondamentale per la libertà di scelta, dell’autodeterminazione dei corpi e dove vi possa essere accesso ad una contraccezione gratuita. Va inoltre preteso che nelle scuole sia prevista una vera e propria educazione sessuale e affettiva che miri alla liberazione del corpo.

L’aborto in day hospital fino alla nona settimana è indubbiamente una vittoria, ma non basta. La lotta femminista è un processo intersezionale di trasformazione, di rivendicazione politica, che mira a decostruire la struttura sistemica della violenza di genere in tutte le sue forme e non solo nel nostro paese, ma con un respiro più ampio rivolto al mondo stringendo sorellanze con tutti i corpi in lotta.

Una battaglia è vinta ma c’è ancora molto da fare, in Italia ma anche nella nostra cara vecchia Europa, dove qualche giorno fa abbiamo assistito ad una repressione brutale e violenta di una manifestazione delle associazioni Lgbt+ a Varsavia, dopo che due attivisti erano stati condannati a 2 mesi di reclusione per aver appeso delle bandiere arcobaleno a statue di eroi nazionali e a un crocifisso, durante il pride in Polonia.

Qualche giorno fa il Paese “più omofobo d’Europa” come viene definito dei media indipendenti polacchi, dove sono state istituite “Lgbt free zones” (dove sostanzialmente si è legittimati a intimidire e picchiare persone in quanto non etero-normate), ha dato l’ennesima dimostrazione di quanto nel 2020 ci sia ancora bisogno di schierarsi, riempire le strade e non avere la visione della lotta transfemminista come una serie di obiettivi da raggiungere, ma come uno stato di agitazione permanente che mira a distruggere il patriarcato in ogni sua forma in ogni dove.