L’ondata repressiva su Chiaiano e le lotte sociali dopo le elezioni.

Che tempo che fa...?!

di Antonio Musella

8 / 4 / 2010

“Va considerato come all’interno del movimento sia andata consolidandosi una linea di intervento che tende […] a privilegiare le lotte territoriali, spesso in supporto di gruppi locali e comitati civici. Sovente, tuttavia, la capacità di tenuta del sodalizio si scontra con l’indisponibilità dei cittadini a forme radicali di protesta.”

Dalla “Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2009” - a cura del Censis, Cap. 2  pp.62
Dipartimento per l’informazione e la sicurezza interna del Ministero degli Interni*



Ho visto donne sessantenni spingere sugli scudi dei poliziotti e dei finanzieri, ho visto anziani rovesciare cassonetti dell’immondizia, ho visto ragazzini bloccare dei camion, ho visto giovani proteggere gli anziani dalle manganellate.
Se l’incipit di questa riflessione è rappresentata dalle linee guida dell’intelligence del nostro paese, che compongono il complesso delle direttive da dare alle singole Questure in materia di repressione sui movimenti, ciò che sta avvenendo a Napoli, e che è culminato nelle restrizioni della libertà per 5 attivisti del Presidio di Chiaiano, si può leggere con facilità.
Molto è all’opera nel nostro paese, ed i risultati elettorali ci spingono ulteriormente in uno scontro tra poteri, in cui le esperienze di lotta che rappresentano un esempio di partecipazione ed indisponibilità all’irrigimentazione  nelle categorie dello scontro declinate dai poteri forti, rischiano di fare la fine della carne da macello.

L’ondata repressiva che sta colpendo alcuni pezzi del movimento napoletano non può essere ascritta ad un tema specifico piuttosto che ad un altro. L’accumulo di procedimenti giudiziari nei confronti degli attivisti napoletani segue di pari passo l’attraversamento degli stessi rispetto ai temi politici in questione. Le lotte antifasciste, quelle in difesa della salute e dell’ambiente, le lotte contro precarietà e disoccupazione sono allo stesso modo sotto la “penna diligente” di un attacco complessivo al movimento. Un’occasione per far pagare  a quelle esperienze che più di tutte hanno dimostrato, attraverso la partecipazione e la sperimentazione di forme nuove di costruzione di comunità resistenti, il salato conto dello scontro con il governo e gli interessi speculativi che lo sostengono.
Nulla è un caso. Soprattutto quando si affronta il delicato tema dei sistemi di contrasto alle attività dei movimenti antisistemici allorquando gli stessi traggono dalla loro iniziativa politica la costruzione di forme nuove e fuori dagli schemi classici di opposizione all’azione del governo.
Peccato per loro che quelle “lotte locali” come vengono definite nelle loro relazioni rappresentano senza dubbio un esempio di continuità, sebbene a fasi alterne, di opposizione dal basso agli interessi speculativi che distruggono i territori. Lo sono a Chiaiano, come a Vicenza o come nella Val di Susa. Esperienze di lotte che in modo diverso, continuano da anni una fase di scontro con il governo per cui l’individuazione dei termini della vittoria o della sconfitta degli stessi rappresentano “sentenze” difficili da poter giustificare. Nonostante l’avvio dei carotaggi, la lotta in Val Susa contro la Tav continua ad essere significativa e radicata; nonostante l’avvio del cantiere per l’ampliamento del Dal Molin la lotta del presidio di Vicenza continua ad essere viva e compie dei salti di qualità politica, entrando nella sfera della battaglia più complessiva in difesa dei beni comuni a cominciare dalla lotta contro la privatizzazione dell’acqua. Chiaiano ha seguito lo stesso percorso di Vicenza, trasformando la sua lotta per chiedere la chiusura della discarica e rimanendo la punta più avanzata di contrasto al piano rifiuti. Allo stesso tempo l’esperienza del Presidio, ha avuto la capacità di compiere anch’essa un salto di qualità, lanciando percorsi e campagne di mobilitazione per la difesa dell’acqua pubblica, contro il nucleare e contro il riscaldamento globale. Tutte esperienze che mantengono nella partecipazione della cittadinanza attiva e nella capacità di permeare il territorio costruendo consenso e mobilitazione la loro caratteristica principale.
Per questo risultano essere ancora oggi delle spine nel fianco del governo che si vogliono estirpare, ancor più quando nella dimensione metropolitana rappresentano dei centri di produzione del conflitto capaci di dare fiato e spinta propulsiva anche ad altre lotte sociali, come nel caso di Napoli.
Con questa prima riflessione proviamo a tracciare un primo spunto: il governo non riesce ad annullare le lotte territoriali in difesa dei beni comuni.
Accanto a questo primo spunto non possiamo ignorare la recente tornata elettorale la quale, accanto all’affermazione della Lega, del rinnovato ruolo politico delle gerarchie ecclesiastiche - spunti tracciati da Francesco Raparelli in un recente editoriale su Global Project – ci consegnano il dato dell’astensionismo come una costante in ascesa. Non possiamo pensare che il dato dell’astensionismo possa essere letto come “rafforzamento dell’anticapistalismo” che porta alla rottura progressiva della partecipazione agli strumenti della democrazia formale. Ancor più non possiamo leggere questo dato senza affrontare la questione della legittimità di chi governa. Un italiano su tre non è andato a votare. I due che lo hanno fatto sono così divisi: 1,5 per chi ha vinto le elezioni (a seconda della regione centro destra o centro sinistra) e l’altro 0,5 ha votato per chi è andato all’opposizione.
Nella migliore delle ipotesi si è 1 a 1 e decimali. Questo significa che più o meno, chi governa lo fa con il 30% dei consensi complessivi del corpo elettorale. Un terzo dei cittadini. Come non porre il problema della legittimità dell’azione politica di chi governa in queste condizioni? Una riflessione sulla legittimità dell’azione dei governi, su base territoriale e nazionale (e’ Berlusconi che ha voluto dare una valenza nazionale alle elezioni regionali trasformandole in un referendum su di lui) ci porta ad affrontare il tema della legittimità non nel campo del corpo elettorale ma nel paese reale.
Gli scandali legati alla corruzione, al malaffare, il costume che il potere assume, che hanno travolto a vario titolo il governo e le amministrazioni locali, da Berlusconi a Bertolaso, restano parte significativa dell’umore del paese. Umori che non sfiorano chi, come la Lega, dà esempi di buone pratiche di amministrazione, diventando degli insopportabili amministratori di condominio in grado di non far otturare le grondaie, ma razzisti e xenofobi, ideali per raccogliere le paure della crisi attraverso una strategia di rigetto della globalizzazione in chiave protezionistica.
Un umore che abbiamo imparato a conoscere anche nelle mobilitazioni in difesa dei beni comuni, come lo scandalo legato alla Protezione Civile e precedentemente nell’Onda con il tema del “merito” come una componente dei temi delle rivendicazioni della pancia di quel movimento. 
Quando le lotte sociali raccolgono l’umore del paese intorno ad una proposta politica radicale e che si autorappresenta diventano ancora più difficili da arginare.
A questo dato si aggiunge la capacità di costruire comunità nel paese reale come metodo di organizzazione sociale e politica. Non è un caso che l’affermazione di Niky Vendola ad esempio passi proprio per la capacità che c’e’ stata da parte della cosiddetta “Fabbrica di Niky” di costruire comunità a Bari e nelle Puglie intorno a temi attualissimi come quelli del nuovo welfare per i giovani e le energie rinnovabili. Un’affermazione quella del governatore pugliese che non si può liquidare né come continuità rispetto alla gestione del potere grazie alle clientele, né tantomeno come spinta nostalgica. Non c’è proprio nulla di nostalgico in Puglia…

Dal popolo viola ai grillini gli ultimi mesi ci hanno consegnato delle forme spurie ma spontanee di contestazione nel nostro paese (anche se per Grillo la questione è complessa), capaci di raccogliere non solo consenso ma anche di rappresentare talvolta – vedi il caso delle pressioni sul direttore del Tg1 Minzolini – una punta avanzata di lotta. Oggi siamo chiamati a comprendere come metterci in discussione e misurarci con l’umore del paese. È indispensabile raccogliere la sfida che ci veniva indicata da Francesco Raparelli, basarci su “ciò che c’è ” e non su “ciò che vorremmo che ci fosse”. Ed è proprio da questo invito che forse comprendiamo come nell’ambito di “ciò che c’è’ ”, le lotte in difesa dei beni comuni ci danno tanto, proprio grazie a quella capacità di aver saputo attraversare quell’umore del paese che oggi si concentra sulla corruzione e sul malaffare.
Allo stesso modo dobbiamo essere coscienti che non è detto che la sola spinta possibile davanti ai processi nuovi di accumulazione capitalistica possa basarsi su una tendenza deterritorializzante.
Il fatto di assumere che l’opzione politica che vede al centro del suo paradigma il fattore del territorio abbia visto l’affermazione della Lega, non presume automaticamente una imbattibilità degli stessi su quel terreno, bensì forse una incapacità dei movimenti di fare i conti con quel modello.
In base a questo comprendiamo che oggi più che mai è necessario difendere quell’opportunità politica, quella riproducibilità di pratiche di disobbedienza sociale diffusa che talvolta le esperienze di lotta in difesa dei beni comuni c’hanno insegnato. Difendere la possibilità di costruire quel necessario radicamento territoriale e quella necessaria consapevolezza politica e sociale in grado di interpretare attraverso il conflitto quel sentimento diffuso di avversità e rabbia che c’e’ nel paese. Una dimensione quella, forse più “adeguata”, per composizione sociale innanzitutto, rispetto alla fase che viviamo nel nostro paese, tema che dovrebbe farci riflettere ulteriormente sui nostri limiti.
Di certo non basta. Bisognerà ulteriormente interrogarci ed interrogare chi in questi mesi ha avuto la capacità di mobilitarsi su questi temi, sulla corruzione e sul malaffare, rispetto ad un’ottica più complessiva di prefigurazione di alternativa dal basso a cominciare dai temi della precarietà e della conoscenza.

Ma oggi più che mai dobbiamo saper difendere non una “piccola patria”, ma il nostro mare in cui costruire conflitto nuovo, nelle forme e nella composizione sociale. Ne è un esempio l’appello “A Chiaiano c’ero anch’io” che in questi giorni sta circolando sul web tramite il portale di Global Project. Centinaia le firme di singoli che giungono da tutta Italia tanto da rendere complicato l’aggiornamento delle stesse. Tante firme anche dal mondo della società civile e della politica. Dal fisico Baracca ad una cinquantina di docenti universitari, da Don Gallo e Zanotelli a Luigi De Magistris. Segnale di come oggi più che tenere viva la memoria di ciò che fu, bisogna avere la capacità di attualizzarla per rilanciare in avanti.
In attesa del rapporto sulla politica dell’informazione per la sicurezza interna del 2010 del Censis….

* Si specifica che il “Rapporto sulla politica dell’informazione per la sicurezza interna” è un rapporto annuale commissionato dal Dipartimento di sicurezza nazionale che viene realizzato sottoforma di relazione al parlamento. Per tanto pure essendo frutto dell’attività di intelligence dei servizi segreti italiani, è un atto pubblico liberamente scaricabile da internet presso il sito del Ministero dell’Interno.