La tassa sugli extraprofitti delle banche: cosa si cela dietro la decisione del governo Meloni

18 / 8 / 2023

La preannunciata tassa sugli extra profitti da parte della destra ha colto molti di sorpresa, soprattutto a “sinistra”: ma come, un governo di estrema destra propone un decreto legge a favore del “popolo”? Contro le banche?

Non siamo degli esperti, ma è difficile non pensare che dietro a questo provvedimento non ci sia una volontà spettacolare da parte del teatrino della politica per catturare il consenso. Chi non odia le banche? La speculazione e il predominio finanziario sono diventati fondamentali nell’economia neo-liberista, non certo da ora. Basti pensare alle crisi che si sono ripetute negli ultimi anni, quella del 2008, la rovina della Grecia, la crisi bancaria statunitense dei primi mesi del 2023.

La mossa di Giorgia Meloni, tassare del 40% gli extraprofitti bancari (quando il margine di interesse registrato nel 2022 “eccede per almeno il 3%” il valore dell’esercizio 2021 o il 6% tra 2023 e 2022) è sicuramente abile e astuta, e non è un caso che la premier l’abbia rivendicata come scelta propria.

Occorre, però, fare alcune considerazioni di merito, a partire dal fatto che una certa retorica “contro le banche” ha sempre contraddistinto l’ideologia e la cultura dell’estrema destra, che ha spesso identificato le banche come un nemico astratto, ponendolo al di fuori delle logiche produttive e riproduttive del capitalismo. E anche in quest’ultima proposta non c’è un’idea redistributiva alla base, visto che non è prevista alcuna misura che impedisca agli istituti di caricare i costi dell’aliquota direttamente sui clienti. E qui veniamo alla seconda questione: ossia il fatto che questa mossa ha molto a che vedere con l’incapacità di Roma di trattare con Bruxelles sulla legge di bilancio. Per questa ragione, sia per salvare la faccia sia per provare a racimolare qualche miliardo di euro per le casse dello Stato, Giorgia Meloni inscena l’ennesima finta baruffa con l’Unione Europea, con tanto di lettera della BCE in arrivo per il governo italiano.

Inoltre, non vanno dimenticate le beghe interne alla coalizione di governo. Giorgia Meloni, come si diceva, rivendica fortemente il provvedimento anche per anticipare sul tempo la Lega, che sul tema ha sempre avuto una certa opportunistica “sensibilità”. Allo stesso tempo, per la premier questo è anche un modo di mettere ancora più in difficoltà Forza Italia, il cui bacino elettorale dopo la morte di Berlusconi è e sarà terreno di contesa politica.

Un’ultima considerazione va fatta sul fatto che questa mossa mette completamente a tacere la “sinistra”, che è sempre più avulsa dalle questioni sociali, che stia al governo o all’opposizione. Ricordiamo ancora le critiche mosse al reddito di cittadinanza quando venne proposto dal primo governo Conte, ma anche la blandissima battaglia sul salario minimo, tutta volta al palazzo e senza alcuna prospettiva di piazza. Per finire con la mossa a sorpresa del governo sugli extra-profitti, che ha mostrato quanto una certa sinistra sia ancora la principale alleata della governance finanziaria e della cosiddetta “stabilità”.

Se andassimo più a fondo, il problema principale è la logica lavorista che ancora pervade questa cultura politica. Anzi, se c’è un elemento che accumuna destra e sinistra anche nel nostro tempo è proprio questo: lavoro, lavoro e ancora lavoro. Il lavoro sfruttato, il comando sulla cooperazione sociale nel suo complesso, sulla vita delle popolazioni e la loro riproduzione, il saccheggio e la rapina delle risorse naturali ed umane a livello globale: sono questi gli elementi che dominano la scena politica, dall’una e dall’altra parte. Ed è su questo che dobbiamo concentrarci per ribaltare il tavolo, al di là dei “bluff” d’agosto.