Lampedusa: la necropolitica come costitutiva del capitalismo neo-coloniale ed estrattivista

15 / 9 / 2023

Ovunque nel mondo circola la morte, il dolore, la sofferenza di intere popolazioni: soggetti fragili, poveri, emarginati, migranti. Quello che stiamo vedendo a Lampedusa in questi giorni non è che l’ultimo episodio; l’ultimo di tanti e probabilmente il primo di tanti altri.

Sono ancora migliaia le persone stipate nell’hotspot, abbandonate a sé stesse e in balia di governanti che riescono a pronunciare solo parole intrise di odio e propaganda. Sembra il caos, ma in realtà ciò che accade risponde a una precisa gerarchizzazione di razza, classe e genere. Come è stato all’origine stessa del capitalismo, sulle persone razzializzate e marginalizzate è presente una sorta di accumulazione originaria. Il tasso di violenza, oppressione, repressione è aumentato ovunque nel mondo, dal sud globale fino alle metropoli dell’occidente: una violenza che non ha paragoni storici, perché si intreccia con la guerra, la crisi ecologica e sociale, la fuga di intere popolazioni dalla morte e la devastazione del loro mondo-ambiente.

La necropolitica si accampa a tutte queste vicende e ogni narrazione del potere oggi è pregna di questa violenza. Ricordiamo il grido disperato di George Floyd prima di essere ucciso barbaramente dalla polizia americana: “I can’t breathe!”, ovvero “lasciatemi vivere”, perché il respiro è vita, l’essenza dell’essere umano, non solo dal punto di vista biologico, ma dell’anima, ciò che gli antichi greci chiamavano psiche.

La “morte” non è solo quella fisica, ma anche morte sociale, isolamento individuale, rottura di ogni rapporto collettivo, la competizione globale di tutti contro tutti secondo le leggi del mercato e del profitto, l’individualismo possessivo, il disinteresse per coloro che non ce la fanno e non hanno i mezzi per vivere. Non è una novità. Ricordiamo le enclosures nell’accumulazione originaria: masse di contadini espropriati dei mezzi di sussistenza, costretti a migrare nelle prime città industriali e rinchiusi nelle workhouse, dentro un regime di disciplinamento ed oppressione.

Come diceva Marx, «il Capitale è un vampiro», che non solo succhia sangue dal la voro vivo, ma anche dall’anima degli individui, le loro passioni, emozioni, relazioni. Ci vengono in mente alcune parole di Foucault ne La volontà di sapere: «si potrebbe dire che al vecchio diritto di far morire o lasciar vivere da parte del sovrano assoluto si è sostituito un potere di far vivere o di respingere nella morte”. Questa l’essenza del biopotere neo-liberista, la decisione sulla vita o sulla morte, chi può vivere poiché funzionale al sistema, individuo produttivo ed isolato, obbediente e comandato, e chi no. In altri termini, la necropolitica.

Achille Membe, filosofo camerunense, sottolinea questo aspetto fondamentale, partendo da Foucault, Franz Fanon e dagli studi post- coloniali, con un’ulteriore aggiunta: questa vera e propria metodologia di dominio non è più solo propria dei popoli colonizzati, ma penetra nel cuore delle metropoli dell’occidente. Il diritto del potere di decidere sulla vita o sulla morte, delle popolazioni sacrificabili, si accampa ovunque, secondo gerarchie di razza, di genere, di classe. “La morte circola ovunque” e paradigmatica diventa l’esperienza tragica dei migranti: lasciati morire, discriminati, senza diritti, merce da scarto, utile solo ai lavori schiavistici e servili.

Ciò significa la rimozione del dolore e della sofferenza: deve trionfare l’individuo isolato da ogni forma di socialità collettiva, competitivo verso tutti gli altri, il “capitale umano” a completo servizio del mercato, della merce, del consumo. D’altra parte, questa è la conseguenza della “sussunzione reale”, oggi pienamente realizzata, del lavoro, della natura, della vita nel capitale.

Non c’è dubbio che la pandemia ha accelerato tutti questi processi, un grande laboratorio “necropolitico”, in cui intere fasce di popolazione - anziani, poveri, soggetti fragili, migranti - sono state lasciate morire ovunque nel mondo globalizzato. È il “lato oscuro” della governance neo-liberista.

Molti speravano che dopo questa fase, la “governance” si sarebbe ridefinita in senso più progressista: non è così, ancora maggiore estrattivismo, industria del fossile, grandi opere, cementificazione selvaggia, distruzione di interi territori e popolazioni, taglio della sanità e salute pubblica.  Ovvero, la riproduzione allargata delle cause stesse alla base della crisi sistemica: ma allora stiamo assistendo a una sorta di eterno ritorno del sempre eguale? No, peggio di prima: l’indifferenza, la rimozione del dolore e della sofferenza, ha raggiunto i suoi limiti estremi, in un cinismo di massa e con la distruzione scientifica, fatta passo dopo passo, di ogni legame di solidarietà, in nome della competizione di tutti contro tutti, una vera e propria guerra civile, sociale e politica.

Tutto ciò in nome del progresso e dello sviluppo illimitato delle forze produttive: i primi conquistadores spagnoli dell’America latina giustificarono lo sterminio delle popolazioni indigene in nome della civiltà e del progresso, quello dell’uomo bianco occidentale e del capitalismo nascente. Ebbene, questi termini ritornano, seppure in forme diverse, anche oggi: il diritto di uccidere o lasciar morire si riverbera non solo più in quel contesto, ma si estende ovunque e il Mediterraneo ne è l’esempio più lampante e tragico.

Ma c’è un altro elemento da considerare: il problema degli effetti che tutto ciò comporta sul piano psicologico, l’umanità ridotta a merce-denaro-oggetto di consumo, privata non solo del proprio corpo, ma della sua anima, la sfera più intima delle emozioni e delle passioni.

Solo le attività di cura e autocura dal basso possono contrastare questa logica neo-colonizzatrice: la resistenza comunitaria, comunità libere, forti ed autonome, ciò che Mbmbe chiama “resistenza viscerale”, intendendo per questa non solo la resistenza sul piano delle condizioni di vita, peraltro fondamentale, ma anche quella sulla salute mentale, sulla cura delle relazioni affettive, umane e solidali.