Padova - Barricati all’interno del Centro di accoglienza: ora i rifugiati prendono parola

Dopo tre giorni dalla rivolta della "Casa Colori" la conferenza stampa presso la sede dell’Associazione Razzismo Stop

10 / 1 / 2013

Se ne è parlato per tre giorni consecutivi dopo che per un anno e mezzo sulla loro presenza in città era calato il silenzio. Nessuno sembrava voler ascoltare eppure per molto tempo i rifugiati ospiitati a Padova, insieme all’Associazione Razzismo Stop, avevano dato vita a presidi, iniziative, manifestazione, sit-in, per chiedere a gran voce un futuro degno dopo il 31 dicembre 2012.

Già alla fine di dicembre il Comune di Padova era stato "assediato" da un presidio di rifugiati ricevuti poi in delegazione dall’Assessore ai Servizi Sociali. All’orizzonte c’era la data del 31 dicembre con la conseguente fine del dichiarato stato di emergenza e quindi del finanziamento al piano di accoglienza. Nei corridoi già circolava la voce di una proroga fino al 28 febbraio ma ma contemporaneamente si faceva strada l’idea di una situazione difficilmente recuperabile.

Dal giugno 2011 in città, infatti, molti di loro avevano ricevuto solo un pasto ed un letto, in pochi avevano potuto usufruire di corsi alfabetizzazione e sempre per pochi si era affacciata la possibilità di un inserimento lavorativo.

Così, nonostante la proroga decisa dal Governo, lo scorso lunedì 7 gennaio, dopo un acceso confronto con i responsabili di uno dei centri di accoglienza, i rifugiati ospitati alla Casa Colori si sono barricati al suo interno ed hanno danneggiato la struttura facendo scattare l’allarme che ha fatto arrivare sul posto le forze dell’ordine.
Chiedevano che fossero mantenute le promesse fatte, come per esempio il pagamento delle spese per ottenere il titolo di viaggio (costoso per i titolari della protezione sussidiaria) e che fosse data una buona uscita in denaro a chi volesse lasciare il centro per raggiungere un’altra città.

Dopo tre giorni di dibattito intorno alla vicenda hanno finalmente preso la parola loro, i protagonisti di quella "rivolta", che nella sede dell’Associazione Razzismo Stop hanno convocato una conferenza stampa per raccontare le loro ragioni.

Vogliono che i soldi intascati dagli enti gestori vengano messi a disposizione di chi (pochi per la verità) vuole andarsene e che per gli altri, quelli che rimarranno a Padova e su cui pende ora la spada di damocle del 28 febbbraio, vengano investiti in progetti veri, in grado di offrire loro una opportunità.

Certo, perché ciò che è mancato finora è stata l’opportunità di poterci provare, ingabbiati dalla mancanza di un permesso di soggiorno, abbandonati nell’inadeguatezza dei progetti messi in campo, silenziati dalla retorica dell’accoglienza che li vorrebbe grati per un pasto ed un letto dopo che per oltre un anno e mezzo, proprio per loro, Comune ed enti hanno ricevuto 46 euro al giorno per ogni persona ospitata.

Dopo le proteste è iniziato il carosello delle autorità e delle dichiarazioni dei politici. I vertici della Questura, che assicurano massima attenzione, cercano intanto di farsi dare i nomi dei responsabili mentre già, così annunciano, 10 denunce sono pronte.

Su questo i rifugiati sono chiari: "ciò che abbiamo fatto lo abbiamo fatto tutti insieme".
Pochi giorni fa a Crotone il Tribunale ha assolto tre cittadini marocchini per legittima difesa contro le accuse di danneggiamento e resistenza aggravata per una rivolta all’interno di un CIE.
Quando ci sono in gioco i diritti fondamentali della persona umana la rivolta è giusta: ribellarsi è una legittima difesa. Questo in sostanza il tenore della sentenza. Luca Bertolino, dell’Associazione Razzismo Stop, ha richiamato proprio il provvedimento del giudice di Crotone perché troppo spesso si parla di legalità e si discute su alcuni avvenimenti senza raccontare però perché avvengono. Un anno e mezzo di abbandono fuori da ogni cornice di accoglienza come previsto dalle direttive Europee è certamente una grave violazione subita da queste persone.

Il Comune di Padova, continua Bertolino, con la decisione di dare una buona uscita ai soli rifugiati ospitati nelle sue strutture, nella speranza di liberarsi del problema, si è comportato come una semplice cooperativa venendo meno al suo ruolo.
Nelle prossime settimane continueranno lle mobilitazioni insieme ai rifugiati perché le loro legittime richieste vengano realizzate.

Nicola Grigion

Di seguito l’articolo tratto da Il Mattino di Padova di lunedì 7 gennaio 2013 con la cronaca degli avvenimenti.

da Il Mattino di Padova dell’8 gennaio 2013
Profughi esasperati «Dateci i soldi»
Distrutta la struttura di via del Commissario, volontari in fuga

Vogliono soldi, documenti, un futuro. Dopo venti mesi trascorsi in città con vitto, alloggio e diaria da due euro e mezzo al giorno hanno deciso che no, questa non può essere una prospettiva di vita. E così ieri pomeriggio poco più di novanta profughi africani reduci dalla guerra in Libia hanno scatenato una rivolta alla Casa a Colori di via del Commissario rinchiudendo in uno stanzino il presidente, il direttore e due collaboratori della cooperativa che opera all’interno. Hanno sfasciato tutto, hanno infranto le finestre, gli arredamenti, le fotocopiatrici e hanno sbarrato i cancelli con i cassonetti della spazzatura. Un’ora e mezza di pericolo e tensione, con la polizia intervenuta in assetto anti sommossa. Evidentemente la soluzione voluta dall’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni, a distanza di quasi due anni, non è più sostenibile. Almeno per quanto visto ieri qui a Padova. La rivolta La premessa è la seguente: dal 31 dicembre lo Stato non eroga più il contributo di 46 euro a persona che consentiva alla cooperativa di pagare vitto, alloggio e diaria ai rifugiati. I circa 90 profughi ospitati si sono trovati di fronte al blocco improvviso delle risorse. Come se non bastasse alcuni connazionali sono stati aiutati economicamente dal Comune di Padova: una disparità di trattamento che ieri ha fatto scoppiare la rivolta alla Casa a Colori, struttura di proprietà dei padri dehoniani gestita dalla cooperativa Città Solare, una ramificazione della Fondazione La Casa di Antonio Conte. «Oggi dopo pranzo ci siamo riuniti con 40 di loro» racconta Carlo Pizzati, direttore della cooperativa che gestisce la struttura, «c’erano anche il presidente Maurizio Trabuio e due collaboratori. Loro vogliono principalmente due cose: soldi e documenti. Ma non appena gli abbiamo spiegato che risorse non ne abbiamo, hanno perso il controllo. Ci hanno rinchiuso nello stanzino in cui eravamo riuniti e hanno iniziato a sfasciare tutta l’area adibita ad uffici. Abbiamo temuto il peggio». Oltre ai 40 immigrati riuniti con i vertici della cooperativa ce n’erano altri 50 all’esterno. Sono saliti dalle scale rompendo le finestre tra un piano e l’altro, i vetri degli estintori di sicurezza e persino la centrale informatica che tiene i computer in rete. Qualcuno dei “sequestrati” è riuscito a telefonare al 113 lanciando l’allarme ma quando le volanti della questura sono arrivate in via del Commissario hanno trovato il cancello d’ingresso chiuso con una catena e sbarrato con i cassonetti della spazzatura. In pochi minuti la strada è stata inibita al traffico, sono arrivati gli agenti della Celere, i carabinieri, gli uomini della Digos. Il funzionario Stefano Fonsi è salito al piano superiore ed è stato quasi accerchiato da profughi inferociti. La situazione è tornata alla normalità dopo circa un’ora e mezza. Lo sfogo «Ci sono danni per quasi 200 mila euro» ipotizza sconsolato il presidente Maurizio Trabuio che ieri è corso a chiedere aiuto al questore Vincenzo Montemagno ottenendo così una riunione tecnica urgente che si terrà questa mattina in prefettura. «Vogliono permesso di soggiorno, carta d’identità, titolo di viaggio o passaporto, codice fiscale, tessera sanitaria e denaro per andare via dall’Italia» continua Trabuio, «si sono inferociti quando hanno saputo che alcuni connazionali hanno avuto contributi anche di mille euro da enti pubblici come il Comune di Padova. Quella è la loro cifra di partenza: vogliono mille euro a testa ma noi non ce la possiamo fare». La voce dei profughi «Ci hanno promesso tante cose che non fanno» protesta Ahmed Conati, portavoce dei profughi, «siamo qua da 20 mesi e ci danno solo da mangiare e da dormire. Ci sono ancora tanti di noi che non hanno il permesso di soggiorno. Abbiamo bisogno di soldi per andare via». Sono organizzati, sono in contatto tra loro, sono giunti da Schiavonia, da Casa Valentini Terrani all’Arcella e ora hanno deciso di lottare tutti insieme per avere ciò che vogliono. Ieri sera nessuno dei dipendenti della cooperativa è rimasto a svolgere il turno di notte. Risultato: nella Casa a Colori sono rimasti solo i profughi in rivolta.

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