Padova brucia di rabbia e dolore

Quindicimila in piazza contro la violenza machista, patriarcale e transfobica: tante voci e tanta rabbia ma anche la speranza di aver davvero acceso un fuoco che possa bruciare l’ordine patriarcale. Una presa di posizione forte dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin e in ricordo delle vittime di transicidi.

21 / 11 / 2023

È stata davvero una marea quella che ieri sera – lunedì 20 novembre – ha attraversato le strade di Padova. Quindicimila persone in piazza non si vedevano da tempo, forse dalle primissime manifestazioni oceaniche di Fridays for Future. Quindicimila persone che hanno condiviso la rabbia e il dolore per il femminicidio di Giulia Cecchettin, i pianti, le urla, i pensieri, ma anche la speranza di aver davvero acceso un fuoco che possa bruciare l’ordine patriarcale.

«Il femminicidio di Giulia Cecchettin è l'ennesimo femminicidio di quest'anno, l'ennesimo esempio lampante di violenza patriarcale e machista» viene detto nell’intervento d’apertura, «la matrice è il patriarcato, la cultura dello stupro che opprime quotidianamente le donne, che è avallata dalle istituzioni e va letta all’interno di una società capitalista che si fonda proprio su quello». Parole chiare, che scandiscono tutto il senso di un corteo che non vuole solo commemorare, ma punta a denunciare tutte le articolazioni di una violenza di genere che è tanto ampia quanto pervasiva: lo Stato, le istituzioni del sapere, i media.

Numerosi interventi si soffermano anche sulle vittime della transfobia, vista la concomitanza del corteo con il Transgender Day Of Remembrance, spesso invisibilizzate e considerate di “serie B”. Viene rimarcato il nesso tra la violenza di genere e quella coloniale, che nelle ultime settimane sta comportando una tragica escalation genocida che lo Stato d’Israele sta compiendo ai danni della popolazione palestinese, in particolare nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania.

Il corteo passa dalla facoltà di psicologia, da cui viene calato uno striscione con su scritto: “vogliamo un’università transfemminista, che non perpetri la violenza patriarcale”. Ieri, durante alcune lezioni, è stato osservato un minuto di silenzio in memoria di Giulia Cecchettin, «un minuto di silenzio che UniPd ha fatto per lavarsi le mani e tirarsi fuori dalla questione» viene detto al microfono da una studentessa. «Un minuto di silenzio non basta, abbiamo bisogno di trovare degli spazi per parlare per sentirci sicure e per costruire una societa in cui non abbiamo paura di morire ogni giorno e in questi l'università gioca un ruolo fondamentale in quanto luogo di diffusione di sapere».

Successivamente sono i media a essere tirati in ballo. Il corteo si ferma infatti sotto la sede la Mattino di Padova, principale quotidiano cittadino: qui viene fatta sull’asfalto la scritta “vergogna!”. L’azione vuole colpire tutto il sistema mediatico, reo di essere portatore di una narrazione patriarcale che è parte integrante della violenza di genere sistemica. «Ogni volta, dai femminicidi agli stupri, assistiamo alla vittimizzazione del carnefice e alla colpevolizzazione della vittima. Il comportamento maschile è sempre descritto dai giornali come conseguenza del comportamento femminile». La narrazione sul femminicidio di Giulia Cecchettin non fa eccezione a questa regola. Su moltissimi media per giorni Filippo Turetta è stato descritto come un “bravo ragazzo” o come un ragazzo che “amava Giulia”. «Il movente non è mai quello passionale, come spesso leggiamo sui giornali ma è il potere, il patriarcato».

Di fronte ad Azienda Zero, che rappresenta il vertice della governance sanitaria regionale, viene attacchinata la frase "La medicina patriarcale è violenza". Interventi al microfono denunciano come da parte del sistema sanitario venga continuamente agita una violenza, in particolare nel non voler adeguare la medicina alle soggettività non conformi. A partire dal requisito della diagnosi per accedere alla terapia ormonale, diagnosi basata su un sistema binario che non rappresenta la comunità. La comunità trans deve invece potersi appropriare del percorso di transizione, che non deve più essere imposto dall’esterno e che deve essere totalmente depatologizzato, il corpo della persona trans non è malato e non deve rientrare in nessuno standard di genere, ma deve essere libero di autodeterminarsi. Viene richiesta una medicina transfemminista, in grado di prendersi adeguatamente cura di tutte le persone, incluse le soggettività trans e queer.

Da un intervento in piazza viene denunciata la mancata presa di posizione di gran parte del genere maschile. «Noi persone socializzate come uomini ci rifiutiamo di prendere atto delle premesse che portano alle conseguenze», Viene denunciato al microfono. «La maggior parte di noi sostiene che la colpa non sia sua. Ma è di responsabilità che si sta parlando. Nascondendosi dietro ai not all men si apre un abisso tra noi ed il genere femminile. Non c'è postO per l'indifferenza, lanciamo un appello. Non è accettabile nascondersi dietro al non mi tange e delegare tutti i compiti di cura e di informazione al genere femminile. Non è possibile che nelle case nelle scuole e nei social siano solo donne A parlare della stessa matrice che caratterizza tutti questi fatti, il sistema patriarcale. Dobbiamo esporci, esprimerci e combattere retoriche come il not all men evidenziando che non si tratta di casi isolati ma di una cultura di cui tutti facciamo parte. Altrimenti  siamo  e saremo complici!».

Durante il corteo viene denunciato il razzismo sistemico riscontrabile nelle politiche del governo in relazione anche alla gestione mediatica delle violenze contro le donne. «E se Filippo non fosse stato uno studente benestante bianco veneto? Ci avrebbero detto che le nostre strade sarebbero state insicure, che sarebbe stato necessario innalzare sempre più frontiere per proteggerci. Ancora una volta la difesa della patria viene fatta sui corpi femminilizzati. Viene fatta a discapito della loro autodeterminazione».

Vengono rilanciate le numerose manifestazioni che prenderanno vita nel territorio nelle prossime giornate in tutta la regione: martedì a Vicenza con ritrovo in piazza Castello alle 20.30, venerdì a Venezia con ritrovo in campo San Margherita alle 17. Dal collettivo Artemisia viene inoltre ricordata la data di domenica a Vigonovo con ritrovo in via Padova 62 alle 17. In questa data, dicono le organizzatrici in un intervento, scendiamo in piazza in provincia, dove la cultura patriarcale si insinua sempre di più, «scendiamo in piazza per dare fuoco alla provincia».

Da Non una di meno Treviso viene denunciata l'ipocrisia del sindaco e della giunta, i quali si sono spesi in messaggi di cordoglio in piazza mostrandosi affranti ma che in realtà vengono additati come parte del problema, in quanto parte di una giunta razzista e sessista, oppostasi fermamente alle case occupate nonostante il grave problema di crisi abitativa di Treviso. "Queste cose non possono essere slegate tra loro" viene detto in un intervento, "rendere impossibile l'indipendenza economica, non permettere di avere un tetto sopra la testa a moltissime donne è una violenza che ha la stessa matrice di un femminicidio, la matrice patriarcale.

Dopo aver percorso Piazza del Popolo ed essere entrato nel centro storico, il corteo si ferma davanti alla Prefettura viene evidenziata la responsabilità del governo nella violenza di genere. Viene denunciata l'astensione dal voto per la convenzione di Istanbul, rivendicata tanto dal partito di Giorgia Meloni quanto dalla Lega. Viene denunciata l'abolizione del reddito di cittadinanza che impedisce a tantissime donne di avere un'indipendenza economica. Viene denunciata la risposta militare alla violenza, viene denunciato l’ultimo “decreto sicurezza” che autorizza ufficiali di polizia, il 15% più soggetti ad agire violenza domestica, a poter portare un'arma anche fuori servizio. Le uniche risposte date dal governo alla violenza sono altra violenza, pur continuando a dubitare quando l'assassino è bianco e di buona famiglia. Viene ribadito che le misure inutili del governo saranno sempre rifiutate, ma che l'unica soluzione è bruciare tutto, distruggere il sistema.

Di fronte alla prefettura viene inoltre rimarcata la necessità di un sistema di giustizia che non sia punitivo, in quanto un sistema punitivo si limita a generare altra violenza. L'alternativa, dice un intervento, viene indicata dal transfemminismo, e non bisogna temere di vivere la contraddizione. «Dobbiamo fare spazio a idee che non sono abitabili, dobbiamo pensare ad un mondo senza giustizia punitiva dobbiamo rivoluzionare la nostra visione di individui. Avirare la contraddizione di saper dare risposte concrete ad un problema il cui la soluzione è abolire il sistema in cui viviamo».

La manifestazione si conclude in Piazza delle Erbe. Qui viene lasciato il microfono aperto, da quale si susseguono numerosi interventi, a dimostrazione della voglia di mettere in comune vissuti ed esperienze, ma anche la necessità di lottare insieme. Al microfono vengono elencati gli appuntamenti di questa settimana, una mobilitazione permanente che si articolerà nelle scuole, in università, nelle strade. Per sabato 25 novembre è stato lanciato uno sciopero nelle scuole. Viene anche rilanciata con forza la partecipazione alla manifestazione nazionale di Roma, prevista anch’essa sabato.