La Queer Liberation March a New York è in difesa del diritto d'aborto

Nell'articolo l'ntervista a Jay W Walker (Reclaim Pride Coalition)

27 / 6 / 2022

La Queer liberation March è nata nel 2019 per iniziativa della Reclaim Pride Coalition, una rete di attivist* queer e trans scontenta della piega presa dal Pride ufficiale, ormai fortemente mercificato, legato a sponsorizzazioni di grandi corporation e caratterizzato da un'ingentissima presenza di polizia. Tutti elementi che contribuiscono ad allontanarlo sempre più dall''originario spirito di Stonewall che proprio a New York aveva portato all'organizzazione del primo Pride, nel 1970.

La Queer Liberation March è caratterizzata dal protagonismo di soggettività queer e trans BIPOC (acronimo per Black, Indigenous and people of color). Come ogni Pride che si rispetti, anche a questa marcia (che a occhio e croce ha radunato un numero tra le 6000 e le 10.000 persone) l'atmosfera è sexy e favolosa, ma rispetto alla manifestazione ufficiale si percepisce un clima più militante. Non a caso, uno degli slogan ricorrenti è "No Justice No Peace". Persino un'assai discreta presenza dell'NYPD (si contano quattro agenti su altrettanti scooter e un gruppetto in borghese) è mal tollerata e se ne richiede, con successo, l'allontanamento.

New York Queer Liberation March

Com'era prevedibile la manifestazione è segnata dalla decisione della corte suprema di invalidare la storica sentenza Roe v Wade che garantiva il diritto federale all'aborto. La rabbia per questa decisione, come nelle piazze dei giorni scorsi, è palpabile, non solo perché anche le persone queer e trans abortiscono, ma perché la battaglia contro la normazione del corpo (in ogni sua modalità) è qui sentita come decisiva.

New York Queer Liberation March

Inoltre, gli ultra-conservatori non sembrano soddisfatti e guardano già oltre; questo sembra presagire la presa di posizione di Clarence Thomas (giudice della corte suprema nominato nel lontano 1991 da George Bush padre) quando dichiara che bisognerà riconsiderare quelle sentenze storiche che garantiscono i diritti delle soggettività LGBTQIA2S+. Lo scenario, dunque, chiama ad una lotta non certo di facciata.