Oltre la famiglia, verso un postumanesimo femminista

A Sherwood Festival la presentazione del libro di Angela Balzano "Per farla finita con la famiglia: dall’aborto alle parentele postumane"

29 / 6 / 2023

Il 23 giugno si è tenuta nello spazio “Media & Produzioni” di Sherwood Festival la presentazione del libro Per farla finita con la famiglia: dall’aborto alle parentele postumane edito da Meltemi, per la collana Culture radicali, con l’autrice Angela Balzano.

Angela Balzano è una ricercatrice precaria attivista eco/trans/cyberfemminista, oltre ad aver scritto il libro in questione è traduttrice di Donna Haraway (Le promesse dei mostri, uscito nel 2019 per DeriveApprodi) di Rosi Braidotti, del volume di Cooper e Waldby Biolavoro globale, corpi e nuova manodopera.

La prima domanda che le è stata posta riguarda la complicità tra neoliberismo e neofondamentalismi nel controllo riproduttivo e nella retorica dei movimenti per la vita dalla maternità come “bene comune”.

Balzano inizia riprendendo uno degli slogan che noi tutte utilizziamo nei social, negli striscioni quando si parla di aborto ovvero “abbiamo sempre abortito e sempre abortiremo”. In questi anni gli attacchi alla giustizia riproduttiva sono stati tanti e come movimenti si è rischiato di ricadere nella retorica superficiale che descrive i neofondamentalisti come coloro che vogliono riportarci al medioevo. In realtà questo assunto deve essere ribaltato, perché a ben guardare il medioevo è anche una fase storica in cui le donne hanno potuto esercitare autogestione di salute e sessualità. Conoscere il passato ci mette a disposizione elementi per praticare la giustizia riproduttiva. Proprio per questo bisogna partire dalla storia, e un esempio che porta è la figura di Trotula, con cui il primo capitolo si apre. Trotula è la prima donna medica della storia occidentale, che opera alla scuola di Salerno; lei entra in una disciplina che è esercitata solo dagli uomini e, partendo dal suo stesso corpo, comincia a studiare e a trasmettere ciò che studia sulla salute sessuale e riproduttiva ad altre donne, nel bel mezzo del medioevo.

Nel medioevo esisteva l’aborto, che era visto come un peccato dalla religione ma non poteva essere perseguitato penalmente perché non esisteva ancora lo Stato nazione. Trotula è la prima donna ginecologa, ma anche la prima igienista che capisce l’importanza di lavarsi le mani durante gli aborti e i parti; è anche la prima donna a scrivere un trattato di ginecologia per tramandare alle altre donne quello che lei sapeva del nostro corpo. Le donne grazie a tutto questo praticano in qualche modo quella che noi oggi chiamiamo giustizia riproduttiva e saranno loro - le igieniste, le erboriste, le ginecologhe - a diventare streghe per la Chiesa e venir bruciate nel 1500. Arrivando all’illuminismo, Balzano afferma appunto che “l’illuminismo brilla della luce dei corpi delle streghe bruciate nel 1500”, definendolo un momento storico in cui i saperi occidentali dell’Homo sapiens si erigono sulla morte di altri saperi.

Balzano suggerisce poi di rileggere Barbara Duden, in particolare Il corpo della donna come luogo pubblico, per avere un’idea di cosa abbia comportato la medicalizzazione del corpo della donna. Cita anche Foucault, che parla del corpo della donna come “la cosa medica per eccellenza” e suggerisce di analizzare l’accesso a contraccezione e aborto e in generale alle nuove tecnologie riproduttive, in termini di biopolitica. Le governamentalità biopolitiche occidentali non hanno solo lo scopo sulla di produrre “il corpo sano della popolazione” ma anche di produrre la morte di altri corpi che non devono sopravvivere. Non si può parlare di aborto senza parlare di governo della vita e della morte, perché i neofondamentalisti che vogliono obbligare le donne a riprodurre un certo tipo di vita sono interessati a non far produrre un diverso tipo di vita: le donne qui non devono abortire così come le persone migranti non devono sopravvivere.

Nel diciannovesimo e ventesimo secolo nasce e si rafforza la  potenza dello Stato nazione e si impone il meccanismo di crescita della popolazione e di parallela crescita della potenza dello stato.Per tenere questo doppio fine lo Stato nazione deve controllare i luoghi della riproduzione.

L’obbligo alla riproduzione però è riservato alle donne eterosessuali bianche: lo stesso governo che si adopera per non far abortire spezza famiglie già formate perchè composte da donne lesbiche, come si vede nei recenti avvenimenti di Padova.

Negli anni ‘70, l’irrompere dei movimenti femministi ha posto un problema così inaggirabile che pone addirittura fine a una legislatura. Infatti quando nel 1975 le donne hanno preteso la depenalizzazione di aborto e contraccezione e i movimenti femministi, insieme a una variegata coalizione, raccolgono 800 mila firme per una legge sull’aborto, l’allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone nel maggio del 1976 scioglie le camere. Nella storia repubblicana questa cosa accade due volte, l’altra fu per il divorzio.                                                                                                                                                                          Questa legge verrà scritta da un governo con a capo Andreotti, ma come poteva garantire il diritto all’aborto una legge fatta da un governo democristiano?

La legge 194 del 1978 è un compresso storico che permette di uscire dalla clandestinità dell’aborto. Accade però che il self help autogestito diventa reato immediatamente: con lo legge statale non c’è solo la depenalizzazione, ma anche la normazione. Basta guardare agli articoli 2, 5 e 9 della legge, che ci hanno portato alla situazione odierna in cui muoiono persone per non essere riuscite ad accedere a procedure di aborto sicure e gratuite.

L’art.9 dice che l’obiezione di coscienza non ha parametri, c’è il divieto di obiezione di struttura ma senza sanzione e senza oneri aggiuntivi. Questo fa si che l’obiezione di coscienza sia un’antinomia, una legge dello Stato che dice che puoi sottrarti alla legge stessa senza nessun tipo di compensazione.  L’art.2 invece fa entrare i movimenti per la vita negli ospedali pubblici: le regioni in comune intesa con gli ospedali possono infatti siglare accordi con le associazioni che sostengono “la maternità difficile”. Questo significa trasferire nelle cliniche degli ospedali e nei consultori i cattolici per il sostegno alla vita.

Il dibattito prosegue con un’altra domanda sulla tecnologia riproduttiva e sul suo potenziale sovversivo nel postumanesimo femminista.

L’autrice inizia con un altro excursus storico parlando da quel modello di welfare nato nel Novecento, che è considerato un’estorsione di un lavoro gratuito alle donne. Con il fordismo, infatti, viene inventato un certo modello di maternità, si consolida la forma famigliare nucleare ed eterosessuale e si diffondono precise norme di genere: le donne sono rese dipendenti dal salario del marito, il fordismo riconosce e calcola che dentro al salario maschile ci siano 3 o 4 persone ovvero una famiglia con una donna schiacciata sul lavoro riproduttivo e dei figli. Il fordismo, sistema economico funzionante grazie alla rigida divisione dei ruoli di genere, garantisce per un certo periodo il funzionamento del capitalismo e la sua fuoriuscita dalla crisi.

Con le lotte femministe per l’accesso al lavoro immediatamente calano tutti i salari, questa è una delle conseguenze del postfordismo. Molte di queste femministe che giustamente hanno lottato per l’accesso al lavoro e per la parità salariale (potremmo chiamarla la “partita dell’emancipazione”) però si sono dimenticate di essere tutte bianche ed eterosessuali. Vero è che queste lotte sono riuscite a rompere lo spazio domestico, ma è anche vero che in queste lotte c’è un grande assente, e guarda un po’ è il maschio bianco etero. Perché una volta avuto accesso al lavoro e allo spazio pubblico le donne bianche non hanno insistito sul cambiamento degli uomini? Nell’uscire di casa la casa non scompare: restano sempre i pranzi da preparare e i piatti da lavare. Come mai il lavoro riproduttivo non è poi toccato agli uomini, ma ad altre donne che vengono sfruttate perché vengono da paesi con redditi pro-capite più bassi? Perché la strada presa dagli anni Ottanta è stata quella dell’esternalizzare la riproduzione ad altre donne razzializzate? Perché sottopaghiamo e svalutiamo cura e riproduzione?

La filosofia occidentale, fatta per molto tempo da uomini, opera una scissione profonda tra mente e corpo, un buon esempio per capirci è il dualismo di Cartesio. Ancora oggi questa scissione opera nel quadro concettuale capitalista. Anche con il passaggio al post-fordismo vediamo che a vincere è la narrazione dell’economia come immateriale e cognitiva, come se i corpi sparissero perché a lavoro c’è solo il cervello. E invece no, per il postumanesimo femminista ha ragione Spinoza: la mente è corpo.

Balzano ricorda poi che sarebbe errato vedere nella tecnoscienza in sé il problema e cita Donna Haraway come autrice in grado di mostrarci il bright e il dark side della tecnoscienza. Vedere nelle tecnologie riproduttive in sé il mezzo per l’autodeterminazione sessuale e riproduttiva è arduo, soprattutto in un paese come l’Italia dove esiste la legge 40/2004 sulla procreazione assistita, in cui c’è ancora il divieto di accesso alle tecniche per le persone single e le coppie non eterosessuali. Il potenziale sovversivo delle tecnologie riproduttive si scontra quindi con la normazione di Stato perché ne circoscrive l’uso alla famiglia etero monogama. In questo quadro lo stato usa le tecnologie riproduttive solo come mezzo per contrastare la soglia di denatalità e riprodurre la forma classica di famiglia bianca.

Intanto, mentre lo Stato parla di soglia di denatalità la popolazione mondiale è di 8 miliardi, si estinguono 1000 specie all’anno da quando abbiamo cominciato a crescere senza limiti e siamo alla sesta estinzione di massa.

Questo tema però, secondo Balzano, non deve scontrarsi con i desideri di maternità e genitorialità. Nessun* deve essere obbligat* a riprodursi se non lo vuole, nessun* deve essere obbligat* a non riprodursi se intende farlo. Occorre, secondo Balzano, spostare l’asse del discorso, spostare il focus dalla soglia di denatalità alla qualità della vita: rivendicare la possibilità di avere una vita sana in territori non intossicati, perché la salute riproduttiva è strettamente legata al territorio.

Un altro tema importante è capire perché il desiderio di genitorialità sia ammesso dallo Stato solo quando si tratta di donne cis-et e maschi cis-et che si sposano: le tecnologie riproduttive che dovrebbero servire per tutt* possono essere usate solo da qualcun*. Le tecnologie riproduttive come la GPA non vanno solo a erodere il ruolo della “famiglia tradizionale“, ma permettono alle comunità marginalizzate di rompere dei limiti biologici: lo xenofemminismo ha ragione quando afferma “se la natura è ingiusta: cambiala!”

La fantascienza femminista ci mostra molti altri versanti positivi. Anche se basterebbe ricordare che la fantascienza e la realtà non hanno confini, Haraway lo diceva già in Manifesto cyborg. Oggi esistono tecniche come la CRISPR/Cas9, una tecnica di editing genomico che permette una sorta di copia e incolla di DNA a cavallo di specie diverse. Questa tecnica può essere usata in molti modi, e l’autrice, ispirata da Haraway, afferma che se una donna volesse impiantare nel suo utero un ovulo contenente genomi di specie tecnicamente potrebbe farlo. Per l’autrice esiste anche un desiderio di genitorialità transpecie, Balzano lo afferma per sé stessa dicendo: “io ho il desiderio di partorire delle diatomee, alghette unicellulari che producono ossigeno da vive e da morte stoccano il carbonio sul fondale marino, diminuendo così le emissioni”. Con la tecnoscienza questi sono orizzonti percorribili, o almeno Balzano non vede perché orientare le scienze della vita solo a favore della riproduzione umana.

Un altro esempio di ingiustizia riproduttiva quando si parla di tecnoscienza è la contraccezione. È ancora in corso oggi la sperimentazione per la contraccezione ormonale maschile. Gli uomini etero che si offrono come volontari oggi vengono pagati, a differenza delle donne che negli anni 60 hanno sperimentato sui propri corpi la prima pillola anticoncezionale. La sperimentazione per la pillola anticoncezionale è iniziata nel 1953 e nel 1960 è stata approvata la sua commercializzazione”, in soli sette anni di sperimentazioni, per molte di dubbia eticità, in un momento storico in cui la ricerca non disponeva neppure di mezzi tecnoscientifici e strumenti giuridici all’altezza della sfida, si è deciso che le donne potevano correre alti rischi di salute. La sperimentazione per il “pillolo” è iniziata nel 1990 e oggi, ventinove anni dopo, non è ancora terminata. Questa cosa è se non un enorme ingiustizia tecnoscientifica e riproduttiva?

L’ultimo tema è sulle relazioni con altre specie animali proprio per fermare la grande accelerazione e applicare una decrescita produttiva e riproduttiva, con il conseguente rischio di umanizzazione delle altre specie.

Balzano parte dal fatto che tutte siamo nate nel suprematismo di specie, e quando parliamo del rischio di umanizzare altri animali stiamo partendo dal presupposto di non essere animali. Per un certo poststrutturalismo francese, si leggano Deleuze e Guattari, il divenire animale è vicino al divenire impercettibile e al divenire donna. La biologia non androcentrica anche, in particolare Lynn Margulis, ci ricorda che noi siamo animali tra altri animali.

“Noi siamo i signori della natura”, scrive Kant nella Critica del giudizio, e tutte siamo cresciute con questo paradigma dove non siamo animali tra altri ma siamo meglio. Linneo diceva che biologicamente siamo Homo sapiens. Balzano pensa invece che sia giusto rivendicare di essere animali alla pari e cita Federica Timeto che nel Bestiario riprende su questo nodo Derrida.
Balzano aggiunge che anche rileggere Bennett in particolare Materia vibrante è utile, perché lei fa un uso politico della redistribuzione dell’agency, spiegando che quando riconosciamo facoltà intellettuali e intenzionali al vivente non umano non si sta umanizzando o antropomorfizzando stiamo redistribuendo facoltà di cui come sapiens le persone umane si sono indebitamente appropriate.

Un’altra prova viene dalla biologia: “i batteri prendono decisioni”, Lynn Margulis diceva che viviamo in un mondo costruito da batteri. Anche se i batteri funzionano in modo diverso perché non hanno un cervello localizzato in un esemplare unico della specie, non possiamo negare che la loro sia un’intelligenza collettiva. Anche Darwin del resto, in La formazione della terra vegetale per l’azione dei lombrici riconosce l’agency dei vermi.

Sarà forse arduo per noi ammettere che altre forme di vita hanno intelligenze e processi decisionali collettivi orientati al bene comune, tanto siamo chiusi nei nostri soggetti egocentrati, ma in una prospettiva filosofica post-strutturalista la cosa importante è il concatenamento, le alleanze tra attrici/ori ecosistemici, l’intenzionalità intesa come pratica desiderante in comune. Se dall’illuminismo il capitalismo ha fatto coincidere homo sapiens e homo economicus, noi oggi sappiamo che chi sa e chi conta non è solo il maschio bianco della specie.  Il postumanesimo femminista intende farla finita con questo paradigma e praticare la giustizia riproduttiva multispecie.