Ecuador - Alle elezioni vince la Pachamama

22 / 8 / 2023

L’attesa giornata elettorale ecuadoriana si chiude con un importante risultato: non si tratta del nuovo presidente, per il quale bisognerà attendere il ballottaggio di ottobre, ma della vittoria del SÌ nei quesiti referendari per la salvaguardia del Parque Nacional del Yasuní e della Reserva de la Bíosfera del Chocó Andino, due tra gli ecosistemi con più biodiversità nel Pianeta. Una vittoria, non scontata, “por la vida”, per un’altra idea di Paese, ma non solo, che rompe radicalmente con l’estrattivismo fossile selvaggio promosso trasversalmente da quasi tutte le forze politiche ecuadoriane.

Una giornata elettorale a due facce: da una parte “los de arriba” che lottano per accaparrarsi il potere, con ricette politiche, sociali, ambientali che si discostano di poco tra loro e tutte nel solco del capitalismo, dall’altra parte un voto per la Pachamama, per la difesa degli ecosistemi, degli animali, che rompe con il sistema e propone la costruzione di un “nuovo mondo” partendo dalla difesa di quello che abbiamo.

Sul piano politico, l’elezione per la nomina del nuovo presidente si è conclusa senza particolari sorprese: in testa, come preventivato, c’è la correista Luisa Gonzalez con il 33,31%. A contendere la poltrona presidenziale sarà Daniel Noboa, esponente di una ricca famiglia imprenditoriale e politica di Guayaquil che, a sorpresa, ha sbaragliato la concorrenza conservatrice ottenendo il 23,66%. A seguire Christian Zurita del Movimiento Construye dell’ex candidato Fernando Villavicencio ucciso in una sparatoria a pochi giorni dalle elezioni con il 16,51% e l’ex militare Jan Topic (il più radicale nella galassia della destra ecuatoriana) con il 14,68%.

Più indietro, Otto Sonnenholzner, già vicepresidente durante l’era Moreno, che ha ottenuto solamente il 7,06% delle preferenze. Tracollo invece di Yaku Perez, che ha ottenuto solo il 3,93%, sostenuto da alcuni piccoli partiti di sinistra e dalla faccia istituzionale di Pachakutik, senza però avere il sostegno della base indigena della CONAIE, il potente movimento dei popoli originari che, a causa di dispute interne, ha preferito astenersi dall’appoggio a qualsiasi candidato in questa tornata elettorale concentrandosi nel sostenere la battaglia a difesa del Yasuní e del Chocó Andino. Infine, sparisce dalla scena politica Xavier Hervas (ha preso solo lo 0,43%) che alle precedenti elezioni era arrivato ad oltre il 15%.

Da queste elezioni presidenziali si possono trarre alcuni spunti di riflessione. Innanzitutto, come già successo nel 2021, il correismo rischia di vedersi sfuggire la presidenza: è facile prevedere infatti che le varie anime della destra si coalizzeranno per sconfiggere lo “spauracchio comunista” e se così fosse, facendo rapidi calcoli delle percentuali, il risultato appare abbastanza chiaro. Un’eventualità questa che riproporrebbe l’attuale situazione, con il presidente “ostaggio” di una maggioranza parlamentare in mano proprio al correismo. Un aspetto sicuramente positivo è che non ha sfondato la destra radicale, rappresentata dal candidato Jan Topic, ex militare. Tra tutti i candidati, Topic era quello che prometteva più militarizzazione per frenare l’ondata di violenza che ha travolto il Paese da alcuni anni a questa parte.

La vittoria di una o dell’altro candidato non sembra comunque poter dare il necessario cambio radicale all’attuale situazione di violenza e crisi che attraversa il Paese: innanzitutto per le proposte politiche che si somigliano e che offrono come “ricetta” l’ulteriore militarizzazione di un paese già abbondantemente militarizzato. Inoltre, il nuovo presidente governerà in “campagna elettorale”, dal momento che queste elezioni anticipate concluderanno nel 2025 la legislatura iniziata nel 2021 con la nomina di Lasso.

Il vero dato importante di queste elezioni è dunque quello dei quesiti referendari sul Parque Nacional del Yasuní e sulla Reserva de la Bíosfera del Chocó Andino dove hanno trionfato i SÍ che significano salvaguardia degli ecosistemi e divieto di nuovi progetti estrattivisti nelle due aree. La vittoria del SÍ (con il 59%) nel quesito sullo Yasuní ha bloccato a tempo indeterminato le future estrazioni petrolifere nel cosiddetto “bloque 43” all’interno del parco nazionale. I quattro SÍ (con dati attorno al 68%) dei quesiti sul Chocó Andino hanno invece fermato le piccole, medie, grandi estrazioni di metalli nelle parrocchie che compongono l’area del Chocó Andino, nei pressi della capitale Quito. Un risultato storico e, appunto, importantissimo, che sbarra la strada ai progetti capitalisti di sfruttamento intensivo dei territori e apre la porta a un “nuovo mondo” e a un nuovo modo di rapportarsi, vivere con l’ambiente che ci circonda. Un risultato che sarà senz’altro di esempio per tante comunità e popoli, originari e non, in tutto il continente latinoamericano.

Così, mentre desde arriba litigano per il potere, diventando strumenti di un sistema di morte, miseria, violenza e distruzione, grazie a una grandissima mobilitazione e campagna desde abajo vince la Pachamama, vincono i diritti della natura, vincono i giaguari, gli orsi, le foreste, i ruscelli, il futuro, la Vita. Vince l’idea di salvaguardia e cura della propria terra. Una vittoria che è anche un esempio per tutti i popoli originari e non, nel continente latinoamericano e non solo, che mostra che l’estrattivismo si può fermare con la mobilitazione, costruendo reti e immaginario.

Lontano dall’alta politica a volte incomprensibile e inaccessibile, qualcosa di concreto per cui spendersi, sacrificarsi, lottare, qualcosa che ostacolerà i progetti estrattivisti di morte di chiunque prenda le redini del Paese, qualcosa di cui anche il più cieco, corrotto e violento de arriba dovrà tener conto.

Immagine di copertina: Vilmatraca