Tunisia - Al via il dialogo nazionale

Dopo mesi di stallo è iniziato ufficialmente il “dialogo nazionale”.

di Lda
29 / 10 / 2013

Dopo mesi di stallo è iniziato ufficialmente il “dialogo nazionale”, grazie all’impegno di dimissioni preso, questa volta per iscritto, dal Governo di Ali Larayedh. Il dialogo nazionale dovrebbe portare alla creazione di un governo indipendente che traghetterà il Paese alle elezioni e che terminerà i lavori di redazione della nuova Costituzione.

Va ricordato che il Governo non ha tenuto fede alla promessa di dimettersi il 23 ottobre (secondo anniversario della nascita dell’Assemblea Nazionale Costituente), sostenendo la necessità di non poter lasciare il Paese in seguito al “massacro di Sidi Ali Ben Aoun”, nella regione di Sidi Bouzid, in cui 6 poliziotti sono stati uccisi da miliziani islamici di Ansar Al-Sharia.

Questa curiosa coincidenza, che di fatto ha permesso al governo di legittimare la persistenza al potere, è stata letta da alcuni mezzi di informazione tunisini come l’ennesima riprova della contiguità tra Ennahda, il partito islamico (apparentemente moderato), con i gruppi jihadisti. Se queste supposizioni si rivelassero fondate significherebbe che nelle prossime tre settimane, che rappresentano il limite alla legittimità del governo in carica, ci si potrebbe aspettare fatti analoghi, o ancor più gravi, che darebbero nuovamente al governo un motivo per restare al proprio posto e posticipare nuovamente le dimissioni.

Nei giorni scorsi sono emersi ulteriori dettagli di quella che si è configurata come una vera a propria trappola ai danni della Guardia Nazionale: secondo il Ministero dell’Interno la polizia sarebbe stata informata da un salafita che un gruppo terrorista stava pianificando un attentato e sarebbe stata indicata la casa da perquisire. All’arrivo della prima pattuglia, i cecchini nascosti nelle vicinanze dell’edificio avrebbero aperto il fuoco sulle forze dell’ordine, colpendo testa e cuore, da professionisti, uccidendo tutti gli effettivi.

Poi l’arrivo di altri uomini, elicotteri e mezzi corazzati avrebbero permesso l’uccisione di 2 terroristi e l’arresto di altri.

E’ emerso un ulteriore fatto che desta preoccupazioni, ovvero che gli estremisti islamici autori dell’agguato proverrebbero dall’Algeria, consolidando così i timori che la jihad islamica nel Maghreb si stia connotando come un processo ampio in cui la Tunisia rappresenta un nuovo punto di partenza. Inoltre il ritorno in patria di migliaia di giovani tunisini dalla Siria, combattenti in seno alle milizie islamiche radicali, potrebbe rendere il prossimo futuro ancora più instabile.

Alcuni altri terroristi sarebbero stati arrestati in queste ore a Sidi Bouzid e a Menzel Bousaiane, così come alcune automobili cariche di armi ed esplosivi sarebbero state individuate in diverse località della Tunisia.

C’è chi sostiene inoltre che uno dei dirigenti tra i poliziotti uccisi sia stato eliminato per impedirgli di diffondere informazioni rilevanti sulle relazioni tra Ennahda e i salafiti, in particolare facendo riferimento al fatto che gli sarebbe stata negata l’autorizzazione a neutralizzare un esponente di spicco di Ansar al-Sharia. Per ovvi motivi queste informazioni non sono più verificabili, ma quel che conta in termini di analisi è la pressoché totale mancanza di fiducia, anche di una parte di alcune istituzioni come la Guardia Nazionale, nei confronti del partito islamico al potere.

Dopo questi avvenimenti parte della polizia sindacalizzata ha contestato il governo e ha richiesto che gli esponenti della Troika di Governo non fossero presenti ai funerali di quelli che ora vengono considerati, dalle opposizioni, come martiri contro il terrorismo e per la democrazia. Anche in questo caso va notato un particolare importante, ovvero che, in nome della lotta all’islamizzazione della società, sono state messe da parte la diffidenza e l’astio per la polizia che, a differenza dell’esercito, ha represso nel sangue i movimenti rivoluzionari e le rivolte e le lotte sociali post rivoluzionarie.

Oggi 29 ottobre il principale movimento studentesco di sinistra, l’Uget, ha indetto uno sciopero generale nelle università, per denunciare la violenza delle ultime settimane e per spingere il Governo a prendere in considerazione le richieste degli studenti.

Ma ieri sera la sede dell’Uget di El Manar, Tunisi, è stata assediata e data alle fiamme da membri dell’Ugte (il sindacato islamico degli studenti) con l’aiuto dei miliziani della Lega della Protezione della Rivoluzione (facente anch’esso capo a Ennahda) e di un gruppo di salafiti, estranei all’Università.

Il bilancio è drammatico e si parla di 5 studenti gravemente feriti. Va ricordato anche che pochi giorni fa un gruppo di compagni-e dell’Uget è stato attaccato a colpi di mazze di ferro e bastoni da alcuni esponenti dell’Ugte, capitanati dal figlio del primo ministro in carica.

A di là dell’enfatizzazione mediatica di tali avvenimenti è chiaro che la situazione è potenzialmente sull’orlo di una crisi di cui non si possono prevedere le conseguenze dato la complessità delle relazioni tra gli attori in campo. E’ nostra convinzione inoltre che, come si è già visto, non saranno le elezioni libere e la costituzione di un governo eletto legittimamente a far uscire la Tunisia da questa situazione.

Il vero motore del cambiamento è infatti rappresentato dalla società civile organizzata, dai movimenti studenteschi e apartitici, che hanno determinato la caduta del regime di Ben Ali e che ancora lottano per la costruzione di alternative al sistema attuale, con l’obiettivo di scatenare una rivoluzione culturale e sociale che, anche a nostro avviso, sarà l’unico mezzo per determinare la realizzazione di che per ora è ancora solo il sogno della Rivoluzione, ovvero la costruzione di una vera democrazia in cui la giustizia sociale sia la base di ogni riforma.